TRADOTTI
MOMENTI DEL GRUPPO
di Armando J. Bauleo
(Il titolo originale dell'articolo è "Momentos del grupo", e si tratta di una lezione che il Prof. Armando J. Bauleo ha tenuto all'interno del Corso di aggiornamento e perfezionamento per insegnanti presso la Universidad Nacional del Nordeste e pubblicata sulla rivista Illusión Grupal nel 1990. E' stato tradotto dallo spagnolo da Lorenzo Sartini).
Avendo già parlato in termini generali di una serie di questioni che sono concetti fondamentali all'interno della Scuola, oggi cercherei di continuare: in primo luogo, chiarendo per voi una serie di questioni sollevate la volta scorsa sui diversi periodi che attraversa un gruppo in funzione, e poi cercando di stabilire un certo tipo di processo che si verifica all’interno dell'apprendimento gruppale.
La volta scorsa abbiamo detto che, ciò che abbiamo visto all'interno di un gruppo che iniziava a funzionare, era che passava attraverso diversi periodi, vale a dire che il gruppo passava attraverso due momenti precedenti che possiamo chiamare indiscriminazione e discriminazione, fino a raggiungere un momento che possiamo chiamare SINTESI.
Innanzitutto, questi momenti seguiranno una successione cronologica, si verificheranno uno dopo l'altro: prima il momento dell'indiscriminazione, poi quello della discriminazione, poi quello della sintesi. Ma una volta arrivato il momento della sintesi, ognuno di questi momenti precedenti potrà comparire in qualsiasi circostanza e in situazioni diverse: in altre parole, non seguiranno più una successione cronologica. La loro comparsa potrà essere alternata e dipenderà da condizioni interne e da condizioni esterne, intendendo con condizioni esterne, il luogo e le condizioni economiche, e con condizioni interne, i membri del gruppo e l'esplicitazione del compito.
Il primo periodo - cioè il periodo di indiscriminazione - è un periodo in cui gli obiettivi del gruppo sono oscuri. Se si chiede ai partecipanti cosa vengono a fare o cosa stanno facendo, risponderanno o diranno: "Stiamo facendo il compito". Ma questa affermazione è solo un modo per razionalizzare o intellettualizzare il compito, poiché non ci sono ragioni per farlo, ossia la concettualizzazione dei diversi elementi che appartengono al compito non è ancora fondata sull'esperienza reale del gruppo.
Quando ogni partecipante interviene, lo fa con quella che Asch chiama "Tecnica della panchina", cioè parla individualmente di gruppi precedenti, di esperienze precedenti, e si ha la sensazione che sta parlando al vento. Inoltre, gli altri membri del gruppo lo osservano o lo ascoltano, senza partecipare al dialogo (che di fatto è un monologo), e quando qualcuno partecipa lo fa in modo bi-personale, cioè senza la presenza del gruppo nel suo insieme. I ruoli appaiono con un significato preso in prestito: che cosa significa questo?
Questo significa che colui che fa il coordinatore, colui che fa l'osservatore, così come coloro che fanno gli integranti, sono così perché così è stato disposto dall'esterno, perché così è stato disposto il gruppo, ma non c'è ancora un apprezzamento del lavoro di ciascuno, del fatto che ogni ruolo ha un lavoro da svolgere e di come questo lavoro che ogni ruolo deve svolgere ha una relazione con il compito. Da tutto questo, come si può vedere, ciò che appare chiaro è la relazione o il vincolo tra gruppo e compito. Da tutto questo, come si può vedere, ciò che non appare chiaro è la relazione con il vincolo tra gruppo e compito; inoltre, la finalità, gli obiettivi, appaiono ancora come qualcosa di non compreso, solo enunciato; e le indicazioni, le segnalazioni o le interpretazioni del coordinatore devono essere centrate in questo momento sulla relazione tra inquadramento e compito. Che cosa si denomina inquadramento?
Inquadramento è il nome dato alle varianti fisse (tempo, luogo, ruolo).
Quando compare il secondo momento, quello della discriminazione, potremmo dire che compaiono i ruoli e il compito. In altre parole, ciò che osserveremo in questo periodo è: da un lato, un chiarimento delle funzioni e, dall'altro, un chiarimento sul tema. Il compito viene esplicitato, cioè, da un lato, appare il motivo per cui il gruppo si è riunito, ma dall'altro, iniziano a diventare chiare un certo tipo di aspirazioni e di aspettative che le diverse persone o il gruppo stesso potrebbero avere rispetto a quell'incontro.
Inoltre, è il momento in cui è più probabile che si verifichino situazioni dilemmatiche; situazioni dilemmatiche che ho ritrovato in un vecchio lavoro di Anzieu sul metodo dialettico nei gruppi ristretti e che mostra una serie di posizioni dilemmatiche.
L'opposizione tra l'astratto e il concreto, l'opposizione tra il personale e l'impersonale, cioè tra quelli che fanno riferimento alle proprie esperienze e quelli che vogliono parlare di compiti senza coinvolgere questioni personali.
L'opposizione tra logici e psicologi; i logici sarebbero gli individui che vogliono ordinare il tema in un modo determinato, mentre gli psicologi cercherebbero di enfatizzare i contenuti esperienziali. L'opposizione tra i prolifici e i silenziosi: i prolifici sarebbero coloro che hanno bisogno di parlare per poter pensare e che, all'interno di un gruppo, si oppongono a coloro che hanno bisogno di silenzio per poter pensare.
L'opposizione tra i formalisti e gli agitatori: i formalisti pretenderebbero regole fisse di funzionamento del gruppo, mentre gli altri, gli agitatori, chiederebbero di discutere "a tutta forza". L'opposizione tra quelli che si preoccupano degli obiettivi e quelli che si preoccupano del metodo.
L'opposizione tra chi è dipendente e chi è indipendente: i dipendenti sarebbero quelli che hanno bisogno dell'approvazione del leader, mentre gli indipendenti sarebbero quelli che si oppongono sempre a ciò che dice il leader (in questo caso il coordinatore). L'opposizione tra favoritismo e cameratismo, cioè tra coloro che cercano di essere i preferiti del coordinatore in un momento determinato e coloro che cercano di concentrarsi sui diversi compagni all'interno del gruppo.
Tutte queste situazioni dilemmatiche, o almeno simili, devono essere riviste e rielaborate in modo da mostrare come entrambe le opposizioni corrispondano effettivamente ai termini del compito e, lungi dall'escludersi a vicenda, formano l'unità degli opposti. È in questo stesso periodo che diventano chiari i problemi di appartenenza al gruppo.
È solo qui che può iniziare a essere stabilito o sollevato il problema dell'appartenenza, della pertinenza, della cooperazione, perché se viene stabilito nel periodo precedente sarà solo un’intellettualizzazione, e non ci sarà una comprensione da parte degli integranti di questo tipo di postulati. È solo qui che compaiono l'ansietà di fronte alla perdita e l'ansietà di fronte all'attacco. Nella fase dell'indiscriminazione, ciò che appare è un'ansietà confusionale. È anche in questo periodo che inizia a manifestarsi il problema dell'emergenza.
Quando si entra nella fase successiva, cioè quella della sintesi, il gruppo ha già completato o ha maggiormente organizzato il codice di cui necessita per parlare del compito; per di più, i membri del gruppo possono collocarsi [NdT: in rapporto agli altri partecipanti] e ognuno comincia ad avere, rispetto agli altri, un'immagine più compiuta. E, a partire da questo momento di sintesi, si ripeteranno i momenti precedenti descritti, cioè possono apparire di nuovo il momento dell'indiscriminazione o della discriminazione, ma hanno una caratteristica essenziale di differenza con la prima volta che sono apparsi. In questo momento, poiché il gruppo ha già un'esperienza di un periodo che è passato e si è concluso, ha la nozione, il vissuto, l'esperienza interna (comunque la si voglia chiamare), che si tratta solo di periodi; quando sono apparsi per la prima volta, sono stati presi come "il tutto". Con questo intendo dire che quando per la prima volta appare l'indiscriminazione, o quando si passa alla discriminazione, il gruppo - e lo abbiamo visto - ha spesso caratteristiche disperate (chiamiamole così, in termini drammatici) di angoscia, ha la sensazione di non riuscire a uscirne.
Una volta fatta l'esperienza, avendo già passato i diversi periodi, quando riappaiono hanno già un altro significato e un altro contenuto, sia per gli integranti che per il coordinatore e l'osservatore.
C'è anche un altro tipo di esperienza, che è quella della verticalità e dell'orizzontalità. Vale a dire che ognuno degli integranti - anche se per poco - ha sperimentato come integrare la propria storicità nel presente del compito e, dall'altro lato, ha iniziato a costruire una coscienza dell'interazione, cioè ha iniziato a comprendere meglio le presenze e le assenze degli altri. Per esempio, possono avere un valore nel modo in cui stanno affrontando il tema in una particolare riunione.
Questo momento di sintesi, o questo momento finale di questi tre periodi, è stato chiamato il momento della produttività, il momento dell'insight; ora ripeto che è solo un momento, e poi il gruppo tornerà ai momenti precedenti; vale a dire che la comparsa di ciascuno di questi periodi è necessaria per lo sviluppo e l'evoluzione del gruppo.
D'altra parte, come capirete, l'aspetto di ogni momento di queste fasi avrà un significato completamente diverso per il gruppo, perché dipenderà dalle circostanze della situazione, dalla posizione e da come la questione viene affrontata in quel momento.
L'altro aspetto che emerge e che deve essere esaminato è il problema dell'apprendimento; in altre parole, che cosa vengono ad apprendere. Le domande che ci si può porre sono almeno quelle che mi sono posto io quando ho voluto pensare all'apprendimento nel gruppo: cosa vuole imparare il gruppo di fronte a un compito e come avviene l'apprendimento del compito in un gruppo? Per fare questo, dobbiamo innanzitutto porre il compito come una costante, come fisso; cioè, che si tratti di un gruppo di lavoro o di un gruppo di cura, lasceremo da parte il compito, sapendo che questo è un difetto, ma è un difetto metodologico perché sappiamo bene che il compito modificherà necessariamente l'apprendimento. Ma se vogliamo studiare le variabili dell'apprendimento all'interno di un gruppo, dobbiamo permetterci di vedere alcune caratteristiche generali che questa variabile offre; ecco perché dico: lasciamo da parte il compito e vediamo come avviene l'apprendimento in un gruppo.
Un gruppo viene da noi per affrontare un certo argomento, per lavorare su un certo tema; quindi, riprendendo le due domande precedenti, possiamo dire che la mia ipotesi è: che un gruppo viene ad apprendere totalmente l'esercizio del compito e postula la parola "totale" perché è quella che ci permetterà di seguire una doppia linea.
"Totale" lo prendiamo dal lato della fantasia, cioè della fantasia onnipotente del gruppo di imparare tutto in riferimento al compito, al di là della possibilità dei suoi limiti, o meglio, senza l'apprezzamento della possibilità dei suoi limiti.
Nella fase di indiscriminazione la confusione tra fantasia e realtà è evidente quando un gruppo che viene ad affrontare il compito, dopo qualche incontro lo tratta come se lo conoscesse già, come se lo avesse già superato. Sembrava che il volerlo fare equivalesse ad averlo fatto; questa cosa si vede spesso in questi gruppi che ci presentano il momento in cui si trovano; si potrebbe dire che sono al di là di ogni momento.
Chiaro che, una volta che il gruppo si mette in funzione, appaiono i veri limiti. I veri limiti sono dati dalla strumentazione di cui il gruppo dispone e dalle tecniche che deve stabilire per quella strumentazione. Cioè, quando il gruppo prende coscienza della realtà, o meglio, quando comincia a funzionare nel gruppo il principio di realtà, può accettare che, essendo integrato in ciò su cui sta lavorando, ha una strumentazione determinata e che di fronte a questa strumentazione è necessario proporre le tecniche che gli sono utili.
Posso già dirvi che il funzionamento stesso del gruppo modificherà sia gli strumenti che il gruppo ha, sia le tecniche che mette in atto.
L'altro punto di "totale", dobbiamo prenderlo attraverso la capacità di esercitare un'azione totalizzante sul compito. Vale a dire, poter utilizzare al massimo le sue possibilità strumentali da un lato e, dall'altro, che queste possibilità strumentali permettano di variare il lavoro nel senso di poter vedere tutte le sfaccettature che questa strumentazione permette. Lavoreremo necessariamente cercando di far superare al gruppo la prima connotazione, se è in grado di soddisfarla; se entriamo in questa seconda connotazione, possiamo allora dire che un gruppo, di fronte a un compito, arriva a imparare come agire, come verbalizzare e come emozionarsi, rispetto ad esso.
Nel periodo di indiscriminazione, sentimento e verbo nel compito appaiono non solo senza alcuna relazione fra loro, ma ciascuno funziona quasi separatamente dagli altri. In altre parole, si parlava più del dovuto, si agiva al di fuori dei limiti corrispondenti, l'emotività traboccava dal compito; questo ci mostra tre cose:
Primo. Quando un gruppo vuole affrontare un compito, vuole lavorare, è perché non solo non sa come lavorarci intellettualmente, ma non sa nemmeno come affrontarlo emotivamente, e di fronte al compito ha anche un'inibizione dell'azione, e quando dico inibizione dell'azione è nei due i termini: da un lato, la paralisi, ma dall'altro, anche le condotte sfrenate. Questi poli parlano di inibizione dell'azione, l'azione reale è sempre pensata.
Ora, quello che abbiamo osservato è che i gruppi hanno iniziato a funzionare, hanno raggiunto lo stadio di sintesi e sono potuti comparire tre tipi di distorsioni a livello di emozione, distorsioni a livello di azione. Vedrete dalla vostra esperienza che il gruppo, o il momento in cui siete in un gruppo, è un momento di sospensione delle cose, cioè è un momento che assomiglia al movimento dell'astrazione; vale a dire che l'azione concreta sulle cose è sospesa, ma quello che abbiamo visto è che, molte volte, questo campo del "come se" si è trasformato nel vero campo di azione. Anche in questo caso si tratterebbe di questo: che gli integranti dei gruppi hanno imparato a intellettualizzare il compito, a parlare dell'azione e a confondere questo parlare dell'azione con l'azione stessa; e al di fuori della riunione del gruppo c'era una paralisi dell'azione. Quindi, ciò che è emerso chiaramente è che c'è stata una confusione tra ciò che si dice e ciò che si fa, e si confonde il campo del "come se" in cui si sviluppa il gruppo con il campo reale delle circostanze esterne. Naturalmente, tutto ciò ha molto a che fare con l'ideologia strumentale in gioco. In che senso?
Nel senso seguente: se ritengo che quando un gruppo si sta sviluppando è uguale a un bambino, se prendo il gruppo e, per fare un esempio estremo, uso le categorie di Piaget, cioè, passando nella fase sensorio-motoria da rappresentazioni semplici a composte, ai pensieri concreti, dai pensieri concreti ai pensieri astratti, ecc., penserò che la meta del gruppo sarà quella di arrivare alla possibilità di un pensiero astratto; cioè, quella che io stabilisco. Inoltre, il gruppo percepirà attraverso i miei atteggiamenti o le mie interpretazioni che questo è il risultato, quindi, il gruppo sentirà l'intellettualizzazione come risultato.
Anche se il risultato passa attraverso un periodo di indiscriminazione, mai il gruppo, né un bambino, ma esistono sempre elementi sensoriomotori (come le posture del gruppo), rappresentazioni semplici, e possono emergere sia pensieri concreti che astratti; ma quello che è certo è che, anche se questi elementi sono assemblati in modo incoerente, esistono nel bambino e vengono messi insieme (almeno, all'interno della teoria di Piaget). Naturalmente, questo ci porta all'altra deviazione, la deviazione dell'azione, cioè i gruppi che credono di dover agire, che il ritardo è una perdita di tempo, che vengono per imparare solo l’azione; e nel mezzo, ci sono quelli che potremmo chiamare i gruppi delle esperienze personali, cioè i membri che vogliono lavorare in gruppo, come se fossimo tra un gruppo di amici in cui ognuno racconta le esperienze di ciò che ha vissuto e non di ciò che un gruppo deve apprendere. Cosa intendo dire con questo?
Con questo intendo quanto segue: in un gruppo si deve imparare a concettualizzare il compito, ma si deve anche iniziare a delineare, pensare ed elaborare modelli di azione sul compito e anche essere in grado di inquadrare l'emotività che corrisponde a quel compito. Se uno di questi tre elementi viene scisso o rimarcato nel gruppo, questo non sarà in grado di soddisfare il principio per cui è stato riunito, cioè raggiungere le caratteristiche totalizzanti di fronte al compito su cui si voleva lavorare.
Queste deviazioni dipendono, da un lato, da ciò che il gruppo vuole raggiungere, ma dall'altro - e necessariamente – interviene l'ideologia del coordinatore che lavora con quel gruppo; cioè, nei momenti di un gruppo, vediamo quale fase o periodo sta attraversando e quali sono gli obiettivi o le mete e le realizzazioni che si è proposto, e possiamo fare una caratterizzazione tanto del gruppo, da un lato, quanto del coordinatore, dall'altro. Naturalmente, i problemi che appaiono e che appaiono più di una volta, non è solo perché qualcuno vuole fare così; inoltre, in quello che sto toccando non ci sono sanzioni morali; non vi sto dicendo se è giusto o sbagliato; quello che stiamo cercando di vedere è una cosa: ricordate Goldmann, quando ha sollevato tutto il problema della coscienza possibile, cioè quando l'informazione raggiunge un gruppo. Cosa succede?
Goldmann ha detto che: primo, c'è direttamente l'informazione precedente che hanno su quell'informazione; secondo, ci sono le caratteristiche sociologiche del gruppo; terzo, ci sono le caratteristiche psicologiche degli integranti; quarto, sarebbe il limite della coscienza possibile - cioè, quando il gruppo deve ristrutturarsi per essere in grado di assimilare l'informazione. In altre parole, quello che vi dicevo oggi e che sto dicendo è che questo è ciò che stiamo osservando nei gruppi e che non è così facile da realizzare; non appare come un ideale, non appare come una cosa possibile da raggiungere, ma più di una volta richiede molte strutturazioni in un gruppo, per essere in grado di gestire i modelli di azione, così come la concettualizzazione e l'emozione.
Ora, le possibilità di cambiare o meno il gruppo dipendono anche dalla tecnica che si utilizza. In altre parole, queste domande che vi sto ponendo oggi, e che vi faranno pensare in gruppo, ci hanno fatto pensare anche alla funzione che abbiamo, cioè fino a che punto le diverse tecniche possono avere come presupposti di base certe ideologie che pongono il fare su alcuni di questi elementi, cioè l'azione, il verbo o il sentire, scotomizzando gli altri. Il problema è quindi duplice per voi, ma anche per noi.
(Il titolo originale dell'articolo è "Momentos del grupo", e si tratta di una lezione che il Prof. Armando J. Bauleo ha tenuto all'interno del Corso di aggiornamento e perfezionamento per insegnanti presso la Universidad Nacional del Nordeste e pubblicata sulla rivista Illusión Grupal nel 1990. E' stato tradotto dallo spagnolo da Lorenzo Sartini).
Avendo già parlato in termini generali di una serie di questioni che sono concetti fondamentali all'interno della Scuola, oggi cercherei di continuare: in primo luogo, chiarendo per voi una serie di questioni sollevate la volta scorsa sui diversi periodi che attraversa un gruppo in funzione, e poi cercando di stabilire un certo tipo di processo che si verifica all’interno dell'apprendimento gruppale.
La volta scorsa abbiamo detto che, ciò che abbiamo visto all'interno di un gruppo che iniziava a funzionare, era che passava attraverso diversi periodi, vale a dire che il gruppo passava attraverso due momenti precedenti che possiamo chiamare indiscriminazione e discriminazione, fino a raggiungere un momento che possiamo chiamare SINTESI.
Innanzitutto, questi momenti seguiranno una successione cronologica, si verificheranno uno dopo l'altro: prima il momento dell'indiscriminazione, poi quello della discriminazione, poi quello della sintesi. Ma una volta arrivato il momento della sintesi, ognuno di questi momenti precedenti potrà comparire in qualsiasi circostanza e in situazioni diverse: in altre parole, non seguiranno più una successione cronologica. La loro comparsa potrà essere alternata e dipenderà da condizioni interne e da condizioni esterne, intendendo con condizioni esterne, il luogo e le condizioni economiche, e con condizioni interne, i membri del gruppo e l'esplicitazione del compito.
Il primo periodo - cioè il periodo di indiscriminazione - è un periodo in cui gli obiettivi del gruppo sono oscuri. Se si chiede ai partecipanti cosa vengono a fare o cosa stanno facendo, risponderanno o diranno: "Stiamo facendo il compito". Ma questa affermazione è solo un modo per razionalizzare o intellettualizzare il compito, poiché non ci sono ragioni per farlo, ossia la concettualizzazione dei diversi elementi che appartengono al compito non è ancora fondata sull'esperienza reale del gruppo.
Quando ogni partecipante interviene, lo fa con quella che Asch chiama "Tecnica della panchina", cioè parla individualmente di gruppi precedenti, di esperienze precedenti, e si ha la sensazione che sta parlando al vento. Inoltre, gli altri membri del gruppo lo osservano o lo ascoltano, senza partecipare al dialogo (che di fatto è un monologo), e quando qualcuno partecipa lo fa in modo bi-personale, cioè senza la presenza del gruppo nel suo insieme. I ruoli appaiono con un significato preso in prestito: che cosa significa questo?
Questo significa che colui che fa il coordinatore, colui che fa l'osservatore, così come coloro che fanno gli integranti, sono così perché così è stato disposto dall'esterno, perché così è stato disposto il gruppo, ma non c'è ancora un apprezzamento del lavoro di ciascuno, del fatto che ogni ruolo ha un lavoro da svolgere e di come questo lavoro che ogni ruolo deve svolgere ha una relazione con il compito. Da tutto questo, come si può vedere, ciò che appare chiaro è la relazione o il vincolo tra gruppo e compito. Da tutto questo, come si può vedere, ciò che non appare chiaro è la relazione con il vincolo tra gruppo e compito; inoltre, la finalità, gli obiettivi, appaiono ancora come qualcosa di non compreso, solo enunciato; e le indicazioni, le segnalazioni o le interpretazioni del coordinatore devono essere centrate in questo momento sulla relazione tra inquadramento e compito. Che cosa si denomina inquadramento?
Inquadramento è il nome dato alle varianti fisse (tempo, luogo, ruolo).
Quando compare il secondo momento, quello della discriminazione, potremmo dire che compaiono i ruoli e il compito. In altre parole, ciò che osserveremo in questo periodo è: da un lato, un chiarimento delle funzioni e, dall'altro, un chiarimento sul tema. Il compito viene esplicitato, cioè, da un lato, appare il motivo per cui il gruppo si è riunito, ma dall'altro, iniziano a diventare chiare un certo tipo di aspirazioni e di aspettative che le diverse persone o il gruppo stesso potrebbero avere rispetto a quell'incontro.
Inoltre, è il momento in cui è più probabile che si verifichino situazioni dilemmatiche; situazioni dilemmatiche che ho ritrovato in un vecchio lavoro di Anzieu sul metodo dialettico nei gruppi ristretti e che mostra una serie di posizioni dilemmatiche.
L'opposizione tra l'astratto e il concreto, l'opposizione tra il personale e l'impersonale, cioè tra quelli che fanno riferimento alle proprie esperienze e quelli che vogliono parlare di compiti senza coinvolgere questioni personali.
L'opposizione tra logici e psicologi; i logici sarebbero gli individui che vogliono ordinare il tema in un modo determinato, mentre gli psicologi cercherebbero di enfatizzare i contenuti esperienziali. L'opposizione tra i prolifici e i silenziosi: i prolifici sarebbero coloro che hanno bisogno di parlare per poter pensare e che, all'interno di un gruppo, si oppongono a coloro che hanno bisogno di silenzio per poter pensare.
L'opposizione tra i formalisti e gli agitatori: i formalisti pretenderebbero regole fisse di funzionamento del gruppo, mentre gli altri, gli agitatori, chiederebbero di discutere "a tutta forza". L'opposizione tra quelli che si preoccupano degli obiettivi e quelli che si preoccupano del metodo.
L'opposizione tra chi è dipendente e chi è indipendente: i dipendenti sarebbero quelli che hanno bisogno dell'approvazione del leader, mentre gli indipendenti sarebbero quelli che si oppongono sempre a ciò che dice il leader (in questo caso il coordinatore). L'opposizione tra favoritismo e cameratismo, cioè tra coloro che cercano di essere i preferiti del coordinatore in un momento determinato e coloro che cercano di concentrarsi sui diversi compagni all'interno del gruppo.
Tutte queste situazioni dilemmatiche, o almeno simili, devono essere riviste e rielaborate in modo da mostrare come entrambe le opposizioni corrispondano effettivamente ai termini del compito e, lungi dall'escludersi a vicenda, formano l'unità degli opposti. È in questo stesso periodo che diventano chiari i problemi di appartenenza al gruppo.
È solo qui che può iniziare a essere stabilito o sollevato il problema dell'appartenenza, della pertinenza, della cooperazione, perché se viene stabilito nel periodo precedente sarà solo un’intellettualizzazione, e non ci sarà una comprensione da parte degli integranti di questo tipo di postulati. È solo qui che compaiono l'ansietà di fronte alla perdita e l'ansietà di fronte all'attacco. Nella fase dell'indiscriminazione, ciò che appare è un'ansietà confusionale. È anche in questo periodo che inizia a manifestarsi il problema dell'emergenza.
Quando si entra nella fase successiva, cioè quella della sintesi, il gruppo ha già completato o ha maggiormente organizzato il codice di cui necessita per parlare del compito; per di più, i membri del gruppo possono collocarsi [NdT: in rapporto agli altri partecipanti] e ognuno comincia ad avere, rispetto agli altri, un'immagine più compiuta. E, a partire da questo momento di sintesi, si ripeteranno i momenti precedenti descritti, cioè possono apparire di nuovo il momento dell'indiscriminazione o della discriminazione, ma hanno una caratteristica essenziale di differenza con la prima volta che sono apparsi. In questo momento, poiché il gruppo ha già un'esperienza di un periodo che è passato e si è concluso, ha la nozione, il vissuto, l'esperienza interna (comunque la si voglia chiamare), che si tratta solo di periodi; quando sono apparsi per la prima volta, sono stati presi come "il tutto". Con questo intendo dire che quando per la prima volta appare l'indiscriminazione, o quando si passa alla discriminazione, il gruppo - e lo abbiamo visto - ha spesso caratteristiche disperate (chiamiamole così, in termini drammatici) di angoscia, ha la sensazione di non riuscire a uscirne.
Una volta fatta l'esperienza, avendo già passato i diversi periodi, quando riappaiono hanno già un altro significato e un altro contenuto, sia per gli integranti che per il coordinatore e l'osservatore.
C'è anche un altro tipo di esperienza, che è quella della verticalità e dell'orizzontalità. Vale a dire che ognuno degli integranti - anche se per poco - ha sperimentato come integrare la propria storicità nel presente del compito e, dall'altro lato, ha iniziato a costruire una coscienza dell'interazione, cioè ha iniziato a comprendere meglio le presenze e le assenze degli altri. Per esempio, possono avere un valore nel modo in cui stanno affrontando il tema in una particolare riunione.
Questo momento di sintesi, o questo momento finale di questi tre periodi, è stato chiamato il momento della produttività, il momento dell'insight; ora ripeto che è solo un momento, e poi il gruppo tornerà ai momenti precedenti; vale a dire che la comparsa di ciascuno di questi periodi è necessaria per lo sviluppo e l'evoluzione del gruppo.
D'altra parte, come capirete, l'aspetto di ogni momento di queste fasi avrà un significato completamente diverso per il gruppo, perché dipenderà dalle circostanze della situazione, dalla posizione e da come la questione viene affrontata in quel momento.
L'altro aspetto che emerge e che deve essere esaminato è il problema dell'apprendimento; in altre parole, che cosa vengono ad apprendere. Le domande che ci si può porre sono almeno quelle che mi sono posto io quando ho voluto pensare all'apprendimento nel gruppo: cosa vuole imparare il gruppo di fronte a un compito e come avviene l'apprendimento del compito in un gruppo? Per fare questo, dobbiamo innanzitutto porre il compito come una costante, come fisso; cioè, che si tratti di un gruppo di lavoro o di un gruppo di cura, lasceremo da parte il compito, sapendo che questo è un difetto, ma è un difetto metodologico perché sappiamo bene che il compito modificherà necessariamente l'apprendimento. Ma se vogliamo studiare le variabili dell'apprendimento all'interno di un gruppo, dobbiamo permetterci di vedere alcune caratteristiche generali che questa variabile offre; ecco perché dico: lasciamo da parte il compito e vediamo come avviene l'apprendimento in un gruppo.
Un gruppo viene da noi per affrontare un certo argomento, per lavorare su un certo tema; quindi, riprendendo le due domande precedenti, possiamo dire che la mia ipotesi è: che un gruppo viene ad apprendere totalmente l'esercizio del compito e postula la parola "totale" perché è quella che ci permetterà di seguire una doppia linea.
"Totale" lo prendiamo dal lato della fantasia, cioè della fantasia onnipotente del gruppo di imparare tutto in riferimento al compito, al di là della possibilità dei suoi limiti, o meglio, senza l'apprezzamento della possibilità dei suoi limiti.
Nella fase di indiscriminazione la confusione tra fantasia e realtà è evidente quando un gruppo che viene ad affrontare il compito, dopo qualche incontro lo tratta come se lo conoscesse già, come se lo avesse già superato. Sembrava che il volerlo fare equivalesse ad averlo fatto; questa cosa si vede spesso in questi gruppi che ci presentano il momento in cui si trovano; si potrebbe dire che sono al di là di ogni momento.
Chiaro che, una volta che il gruppo si mette in funzione, appaiono i veri limiti. I veri limiti sono dati dalla strumentazione di cui il gruppo dispone e dalle tecniche che deve stabilire per quella strumentazione. Cioè, quando il gruppo prende coscienza della realtà, o meglio, quando comincia a funzionare nel gruppo il principio di realtà, può accettare che, essendo integrato in ciò su cui sta lavorando, ha una strumentazione determinata e che di fronte a questa strumentazione è necessario proporre le tecniche che gli sono utili.
Posso già dirvi che il funzionamento stesso del gruppo modificherà sia gli strumenti che il gruppo ha, sia le tecniche che mette in atto.
L'altro punto di "totale", dobbiamo prenderlo attraverso la capacità di esercitare un'azione totalizzante sul compito. Vale a dire, poter utilizzare al massimo le sue possibilità strumentali da un lato e, dall'altro, che queste possibilità strumentali permettano di variare il lavoro nel senso di poter vedere tutte le sfaccettature che questa strumentazione permette. Lavoreremo necessariamente cercando di far superare al gruppo la prima connotazione, se è in grado di soddisfarla; se entriamo in questa seconda connotazione, possiamo allora dire che un gruppo, di fronte a un compito, arriva a imparare come agire, come verbalizzare e come emozionarsi, rispetto ad esso.
Nel periodo di indiscriminazione, sentimento e verbo nel compito appaiono non solo senza alcuna relazione fra loro, ma ciascuno funziona quasi separatamente dagli altri. In altre parole, si parlava più del dovuto, si agiva al di fuori dei limiti corrispondenti, l'emotività traboccava dal compito; questo ci mostra tre cose:
Primo. Quando un gruppo vuole affrontare un compito, vuole lavorare, è perché non solo non sa come lavorarci intellettualmente, ma non sa nemmeno come affrontarlo emotivamente, e di fronte al compito ha anche un'inibizione dell'azione, e quando dico inibizione dell'azione è nei due i termini: da un lato, la paralisi, ma dall'altro, anche le condotte sfrenate. Questi poli parlano di inibizione dell'azione, l'azione reale è sempre pensata.
Ora, quello che abbiamo osservato è che i gruppi hanno iniziato a funzionare, hanno raggiunto lo stadio di sintesi e sono potuti comparire tre tipi di distorsioni a livello di emozione, distorsioni a livello di azione. Vedrete dalla vostra esperienza che il gruppo, o il momento in cui siete in un gruppo, è un momento di sospensione delle cose, cioè è un momento che assomiglia al movimento dell'astrazione; vale a dire che l'azione concreta sulle cose è sospesa, ma quello che abbiamo visto è che, molte volte, questo campo del "come se" si è trasformato nel vero campo di azione. Anche in questo caso si tratterebbe di questo: che gli integranti dei gruppi hanno imparato a intellettualizzare il compito, a parlare dell'azione e a confondere questo parlare dell'azione con l'azione stessa; e al di fuori della riunione del gruppo c'era una paralisi dell'azione. Quindi, ciò che è emerso chiaramente è che c'è stata una confusione tra ciò che si dice e ciò che si fa, e si confonde il campo del "come se" in cui si sviluppa il gruppo con il campo reale delle circostanze esterne. Naturalmente, tutto ciò ha molto a che fare con l'ideologia strumentale in gioco. In che senso?
Nel senso seguente: se ritengo che quando un gruppo si sta sviluppando è uguale a un bambino, se prendo il gruppo e, per fare un esempio estremo, uso le categorie di Piaget, cioè, passando nella fase sensorio-motoria da rappresentazioni semplici a composte, ai pensieri concreti, dai pensieri concreti ai pensieri astratti, ecc., penserò che la meta del gruppo sarà quella di arrivare alla possibilità di un pensiero astratto; cioè, quella che io stabilisco. Inoltre, il gruppo percepirà attraverso i miei atteggiamenti o le mie interpretazioni che questo è il risultato, quindi, il gruppo sentirà l'intellettualizzazione come risultato.
Anche se il risultato passa attraverso un periodo di indiscriminazione, mai il gruppo, né un bambino, ma esistono sempre elementi sensoriomotori (come le posture del gruppo), rappresentazioni semplici, e possono emergere sia pensieri concreti che astratti; ma quello che è certo è che, anche se questi elementi sono assemblati in modo incoerente, esistono nel bambino e vengono messi insieme (almeno, all'interno della teoria di Piaget). Naturalmente, questo ci porta all'altra deviazione, la deviazione dell'azione, cioè i gruppi che credono di dover agire, che il ritardo è una perdita di tempo, che vengono per imparare solo l’azione; e nel mezzo, ci sono quelli che potremmo chiamare i gruppi delle esperienze personali, cioè i membri che vogliono lavorare in gruppo, come se fossimo tra un gruppo di amici in cui ognuno racconta le esperienze di ciò che ha vissuto e non di ciò che un gruppo deve apprendere. Cosa intendo dire con questo?
Con questo intendo quanto segue: in un gruppo si deve imparare a concettualizzare il compito, ma si deve anche iniziare a delineare, pensare ed elaborare modelli di azione sul compito e anche essere in grado di inquadrare l'emotività che corrisponde a quel compito. Se uno di questi tre elementi viene scisso o rimarcato nel gruppo, questo non sarà in grado di soddisfare il principio per cui è stato riunito, cioè raggiungere le caratteristiche totalizzanti di fronte al compito su cui si voleva lavorare.
Queste deviazioni dipendono, da un lato, da ciò che il gruppo vuole raggiungere, ma dall'altro - e necessariamente – interviene l'ideologia del coordinatore che lavora con quel gruppo; cioè, nei momenti di un gruppo, vediamo quale fase o periodo sta attraversando e quali sono gli obiettivi o le mete e le realizzazioni che si è proposto, e possiamo fare una caratterizzazione tanto del gruppo, da un lato, quanto del coordinatore, dall'altro. Naturalmente, i problemi che appaiono e che appaiono più di una volta, non è solo perché qualcuno vuole fare così; inoltre, in quello che sto toccando non ci sono sanzioni morali; non vi sto dicendo se è giusto o sbagliato; quello che stiamo cercando di vedere è una cosa: ricordate Goldmann, quando ha sollevato tutto il problema della coscienza possibile, cioè quando l'informazione raggiunge un gruppo. Cosa succede?
Goldmann ha detto che: primo, c'è direttamente l'informazione precedente che hanno su quell'informazione; secondo, ci sono le caratteristiche sociologiche del gruppo; terzo, ci sono le caratteristiche psicologiche degli integranti; quarto, sarebbe il limite della coscienza possibile - cioè, quando il gruppo deve ristrutturarsi per essere in grado di assimilare l'informazione. In altre parole, quello che vi dicevo oggi e che sto dicendo è che questo è ciò che stiamo osservando nei gruppi e che non è così facile da realizzare; non appare come un ideale, non appare come una cosa possibile da raggiungere, ma più di una volta richiede molte strutturazioni in un gruppo, per essere in grado di gestire i modelli di azione, così come la concettualizzazione e l'emozione.
Ora, le possibilità di cambiare o meno il gruppo dipendono anche dalla tecnica che si utilizza. In altre parole, queste domande che vi sto ponendo oggi, e che vi faranno pensare in gruppo, ci hanno fatto pensare anche alla funzione che abbiamo, cioè fino a che punto le diverse tecniche possono avere come presupposti di base certe ideologie che pongono il fare su alcuni di questi elementi, cioè l'azione, il verbo o il sentire, scotomizzando gli altri. Il problema è quindi duplice per voi, ma anche per noi.
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