DALLA VACCINAZIONE CONTRO IL COVID-19 ALLE TRANSIZIONI ISTITUZIONALI: UN VIAGGIO
di Lorenzo Sartini, Simona Bernasconi, Cristina Toscano, Michele Trevisanato
Lavoro presentato nella III Assemblea Internazionale di Ricerca sulla Concezione Operativa di Gruppo, Salvador de Bahía, 8-10 settembre 2022
Lavoro presentato nella III Assemblea Internazionale di Ricerca sulla Concezione Operativa di Gruppo, Salvador de Bahía, 8-10 settembre 2022
Con l’obbligo vaccinale contro il Covid-19 imposto dai governi di vari paesi europei, si è creato un aspro conflitto tra i sostenitori dell’obbligo e coloro che invece lo rifiutavano. Si sono costituite due fazioni in contrapposizione: l’una composta da coloro che erano favorevoli all’obbligo vaccinale, e l’altra costituita da coloro che rifiutavano tale obbligo, i cosiddetti “no-vax”. L’aspetto interessante di questa dinamica è che, in ognuna delle due parti, si sono ritrovate, fianco a fianco, persone che appoggiavano partiti politici tradizionalmente antagonisti.
Il conflitto sociale, prima organizzato attorno a partiti politici istituzionali che assumevano posizioni definite e chiare a favore delle varie parti sociali in causa, con la crisi pandemica sembrava essersi organizzato attorno a queste nuove istanze: a favore del vaccino o contro il vaccino. Questo mutamento delle idee e delle convinzioni ha comportato un inaspettato rimescolamento delle vecchie appartenenze istituzionali. Questo è stato uno degli eventi sorprendenti che ha dato il là al lavoro di questo gruppo di ricerca.
Per quanto gli obblighi di Legge non potessero che suscitare posizioni manichee, facendo ritenere alcuni di essere dalla parte giusta della Storia e facendo sperimentare ad altri una potente rabbia ed un vissuto di impotenza, abbiamo nondimeno avuto l’impressione che gli obblighi vaccinali evocassero in entrambe le posizioni una “eccedenza” di sentimento che fungeva da fuga rispetto ad una quotidianità vissuta come noiosa, altamente alienante, ed incapace di contenere frustrazioni individuali e collettive. Aspetti con i quali il Covid poco c’entrava, a meno di non considerarlo come un potente catalizzatore del risentimento generale.
Inizialmente, il compito che ci siamo dati è stato quello di chiarire con una osservazione di tipo psicoanalitico gruppale cosa stava succedendo all’interno delle organizzazioni “no-vax”, in termini di rimescolamento delle appartenenze istituzionali individuali e gruppali. Abbiamo registrato che le nuove aggregazioni si sono andate formando attorno al concetto del “no”, coese nell’essere “contro” il pensiero maggioritario proposto dalle istituzioni ufficiali esistenti. Chi ha espresso quel “no”, non si è sentito riconosciuto nelle posizioni istituzionali che tali organizzazioni pretendevano venissero assunte.
Pensiamo che, con la pandemia, sia stata la paura a funzionare da aggregatore sociale, stimolando una coesione contro un pericolo che si percepiva vivido e concreto. La paura della morte: ogni sera davanti ai nostri occhi scorrevano continuamente immagini che parlavano dell’assedio del virus e della morte. Sia per i gruppi che hanno detto “si” ai vaccini o al dispositivo del “Green pass”, sia per quelli che hanno espresso dissenso, la paura sembrava aver avuto un ruolo aggregativo fondamentale. Le angosce di morte interrogano continuamente l’essere umano, la cui ricerca ha sempre avuto come sfondo l’obiettivo di sconfiggere la “nera signora”. Nessuno vorrebbe più morire, come avviene nel libro di José Saramago, “Le intermittenze della morte”, che racconta la storia di un piccolo paese nel quale, da un giorno all’altro, non muore più nessuno. Ora, siamo passati da questo pensiero che concerne l’illusione di poter sconfiggere la morte, al suo contrario: improvvisamente, ci siamo trovati a confrontarci nuovamente con l’idea della finitezza dell’uomo. Domande che, d’un tratto, in modo traumatico, hanno iniziato a riguardarci non solo sul piano individuale ma rispetto al genere umano nella sua interezza: riuscirà l’essere umano a sopravvivere? Una domanda che, come ci ricorda Franco Berardi ne “Il terzo inconscio”, non riguarda solo l’evento pandemico poiché già da tempo si sta parlando di estinzione del genere umano: molteplici sono gli studi che sostengono che l’eccessivo sfruttamento delle risorse del pianeta e il conseguente riscaldamento del clima ci porteranno all’estinzione in breve tempo.
Durante un incontro, una collega racconta il “caso” di una situazione istituzionale a cui presta supervisione: un’associazione dedicata alle persone con disabilità in cui sono esplosi seri conflitti proprio in riferimento a schieramenti relativi al vaccino e al “Green pass”. Quando è stato istituito l’obbligo di essere vaccinati o aver eseguito un tampone diagnostico nelle ultime 24 ore, dentro l’associazione sono sorte forti conflittualità: i genitori volevano sapere se gli operatori si fossero vaccinati, anche se questi potevano dimostrare di essere negativi al Covid-19 poiché si sottoponevano al tampone di controllo così come previsto dalla legge.
Prima di allora, i legami tra genitori e operatori sembravano essere connotati da una certa fiducia; con l’istituzione del “Green pass”, sono stati messi completamente in discussione. Quei genitori, i cui figli erano presi in carico dagli operatori dell’associazione, erano anche tra i soci fondatori dell’associazione stessa, fin dall’origine costituita da tre “anime”: famiglie, operatori, volontari.
Il Consiglio Direttivo, formato appunto da rappresentanti di tutte e tre le “anime”, ha regolamentato all’interno dell’associazione l’istituzione dello strumento di controllo del “Green pass”, e questo ha aperto dei forti conflitti senza che fosse letteralmente cambiato nulla nel concreto rapporto tra genitori/rappresentanti dell’associazione ed operatori. Dopo quella richiesta dei genitori/rappresentanti, una coordinatrice della struttura ha telefonato alla nostra collega che faceva le supervisioni dicendole “Io lascio”. Ciò che per quella coordinatrice era stato possibile gestire fino a quel momento (come altri conflitti più o meno sopiti del passato), con l’irruzione di questa dinamica di potere istituzionale non è più stato possibile accettarlo. L’associazione non andava più bene per lei: da una parte aveva subito un attacco in quanto rappresentante del “contenitore” istituzionale, tanto da sentirsi in qualche modo espulsa; dall’altra, conseguentemente, non le conferiva più la sicurezza necessaria affinché lei potesse assumerla come depositaria delle sue angosce psicotiche, per dirla con Pichon-Rivière e Bleger.
Questo ci pare dipinga bene la dinamica soggetto-istituzioni sociali che si è palesata in quest’ultimo periodo. Le istituzioni esterne sono ancora lì, in crisi, certo, ma sempre presenti. Sono le istituzioni interne ad essere crollate: ovvero, le certezze che ciascuno viveva in rapporto alla sfera istituzionale. È crollata la fiducia che prima si aveva rispetto alle istituzioni sociali ed ora, non riconoscendo più la funzione sociale delle istituzioni politiche, giuridiche, sanitarie, ecc., presenti nella nostra quotidianità, queste non sono più vissute come depositari istituzionali affidabili. Per cui, ci si trova costretti a cercare qualche altra situazione che possa rispondere a questa necessità.
Registriamo che, in questo periodo di crisi sociale in cui la pandemia parrebbe essere solo un’epifania, non abbiamo avuto a che fare con istituzioni plastiche, “transitanti”, bensì con forme istituzionali fisse e burocratizzate: dogmatiche. In altre parole, ci sembra che le istituzioni, in questa fase, non siano state in grado di tollerare la complessa ambiguità dovuta allo stato di crisi in cui siamo caduti con l’emergenza pandemica, potendo così fungere da depositari delle ansie psicotiche. Senza voler generalizzare, diremo che la funzione di contenimento (cfr. Bion) sia stata svolta solo in parte. Al contrario, ci sembra che le istituzioni sociali siano incorse in una serie di acting-out, agendo il potere attraverso il controllo sulla popolazione ed espellendo coloro che non condividevano le posizioni istituzionali ufficiali. In sostanza, sembra che le istituzioni non siano riuscite a raccogliere la molteplicità delle espressioni e delle manifestazioni soggettive e gruppali, e che non abbiano saputo accompagnare le persone nel processo di transito necessario per affrontare una situazione così incerta e complessa come quella attuale. Istituzioni, dunque, nelle quali l’“istituito” sembra aver completamente soppiantato la componente “istituente”, decretando, nello stesso tempo in cui cerca di scongiurarla, la morte di quelle medesime istituzioni, ovvero il loro decadimento e la necessità di un loro superamento.
Abbiamo a che fare con istituzioni che, come gli uomini da cui sono formate, non vogliono cambiare forma: non vogliono lasciare il posto a nuove configurazioni istituzionali, al nuovo, all’inedito, nonostante questo processo, giocoforza, sia già in atto.
Di fronte ad una tale presa di posizione istituzionale, portata avanti facendo leva sul potere che le stesse istituzioni evidentemente si riconoscono, una delle risposte possibili è quella di prendere distanza, ritirare il deposito psicotico (cfr. Bleger) e di allontanarsi, pur sapendo che transitare da un luogo (anche psichico) all’altro produce incertezza poiché ci si confronta con il dover sopportare una condizione di ambiguità nella quale le parti psichiche indiscriminate non trovano possibilità di essere depositate. Una condizione di ambiguità vissuta con una forte angoscia confusionale poiché cambiano improvvisamente di significato il tempo e lo spazio, le funzioni ed i compiti sociali, ovvero le coordinate esistenziali entro le quali ci si è abitualmente mossi. Un crollo delle certezze che mette in discussione anche il proprio passato nel quale si fa fatica a riconoscersi.
In questa fase di transito, o migrazione istituzionale, le angosce catastrofiche connesse con il senso di disorientamento e di smarrimento prevalgono. Ma il transito apre anche a nuove opportunità e alla possibilità di sperimentare una nuova operatività: “Il transito apre uno spazio laddove ogni cosa è non segmentata in termini binari”, scrivono Valerio Calzolaio e Telmo Pievani in un piccolo testo, “Libertà di migrare”, nel quale sottolineano come la migrazione sia sempre stata un fattore evolutivo fondamentale per l’essere umano.
Nella migrazione e nell’incontro con l’Altro il soggetto si apre alla possibilità di prendere contatto con altre parti di sé. Parti prima dimenticate, negate, marginalizzate. Rimaniamo incagliati nell’immagine di noi stessi che l’istituzione alla quale apparteniamo ci rimanda, narcisisticamente prigionieri di quell’immagine riflessa dallo specchio “istituzionale”. Ma, come suggerisce il noto fisico Carlo Rovelli, “L’immagine del mondo nitida e solida della vecchia fisica è un’illusione. Alla scala delle molecole, il netto spigolo di un coltello d’acciaio è fluttuante e impreciso come il bordo di un oceano in tempesta che si sfrangia su una spiaggia di sabbia bianca”. La geometria frattale, la meccanica quantistica, la logica fuzzy di Bart Kosko rappresentano potenti “suggestioni” epistemologiche per non rimanere impigliati nelle maglie della logica aristotelica binaria (A o non-A, “pro-vax” o “no-vax”). Così come la logica fluida delle transizioni di cui ci parla il filosofo Paul Preciado in “Un appartamento su Urano – Cronache del transito”. Questo Autore sottolinea la dinamica di potere inscritta nella logica binaria: la “violenza prodotta dall’epistemologia binaria dell’Occidente. L’universo intero tagliato solo in 2”. Un taglio che, fino ad ora, sembra aver agito togliendo ogni possibilità di pensarsi come qualcosa di diverso rispetto alle due alternative istituzionalmente consentite. Preciado sostiene che è sulla cicatrice di questa cesura che si fonda la nostra società, una cicatrice sulla quale si assesta la famiglia, la proprietà e l’eredità e che va oltre le generazioni (il trans-generazionale), ed esprime la possibilità di pensare a quella terza alternativa, per mezzo del proprio corpo. Diviene “corporalmente” altro. Quello stesso corpo sul quale hanno decisamente insistito le misure precauzionali governative assunte durante questi due anni di Covid-19, richiamandoci anche al ruolo che il corpo, o meglio dire il suo controllo (della sessualità, divisione in razze, il controllo medico e psichiatrico), ha avuto nella costituzione dello stato moderno, come ci ricorda Franz Fanon in “Decolonizzare la follia”.
La possibilità di pensare in modo complesso, e non in termini semplicemente binari, i dispositivi della vaccinazione obbligatoria e del “Green pass”; mutare le proprie appartenenze gruppali e istituzionali a seconda di ciò che viene sentito in linea con la propria storia e le proprie idee; la migrazione degli esseri umani da un paese all’altro in cerca di sicurezza o di migliori condizioni di vita; la transizione da un genere all’altro in cerca di un corpo che rispecchi il proprio sentire e che permetta di sviluppare altre possibilità: questi ci sembrano essere “emergenti” estremamente significativi della società attuale che conducono alla necessità di pensare istituzioni in grado di accogliere la differenza e la molteplicità, che siano in grado di accompagnare i processi di transito costantemente in atto e che, in definitiva, possano accompagnare nel difficile compito di contenere quelle parti psicotiche sempre più necessariamente stimolate da comunità sociali in continuo mutamento.
Bibliografia:
Bauleo A. (1999), Psicoanalisi e gruppalità, Roma, Borla, 2000
Berardi F. (2022), Il terzo inconscio. La psicosfera nell’era virale, Milano, Nottetempo
Bion W.R. (1962), Apprendere dall’esperienza, Roma, Armando Editore, 1990
Bion W. R. (1967), Analisi degli schizofrenici e metodo psicoanalitico, Roma, Armando Editore, 2009
Bleger J. (1966), Psicoigiene e psicologia istituzionale, Bari, La Meridiana Edizioni, 2011
Calzolaio V., Pievani T. (2016), Libertà di migrare, Torino, Einaudi Editore
Esposito R. (2021), Istituzione, Bologna, Il Mulino
Fanon F. (2011), Decolonizzare la follia. Scritti sulla psichiatria coloniale, Verona, Ombre Corte, 2020
Hess R., Weigand G. (2008), Corso di analisi istituzionale, Roma, Sensibili alle Foglie
Kosko B. (1993), Il fuzzy-pensiero, Milano, Dalai Editore, Milano, 2010
Pichon-Rivière E. (1985), Teoria del vincolo, Roma, Armando Editore, 2021
Preciado P. (2020), Un appartamento su Urano – Cronache del transito, Roma, Fandango Libri, 2019
Rovelli C. (2020), Helgoland, Milano, Adelphi Edizioni
Saramago J. (2005), Le intermittenze della morte, Milano, Feltrinelli, 2013
(Da www.area3.org.es, Numero Especial 5, Inverno 2023)
Il conflitto sociale, prima organizzato attorno a partiti politici istituzionali che assumevano posizioni definite e chiare a favore delle varie parti sociali in causa, con la crisi pandemica sembrava essersi organizzato attorno a queste nuove istanze: a favore del vaccino o contro il vaccino. Questo mutamento delle idee e delle convinzioni ha comportato un inaspettato rimescolamento delle vecchie appartenenze istituzionali. Questo è stato uno degli eventi sorprendenti che ha dato il là al lavoro di questo gruppo di ricerca.
Per quanto gli obblighi di Legge non potessero che suscitare posizioni manichee, facendo ritenere alcuni di essere dalla parte giusta della Storia e facendo sperimentare ad altri una potente rabbia ed un vissuto di impotenza, abbiamo nondimeno avuto l’impressione che gli obblighi vaccinali evocassero in entrambe le posizioni una “eccedenza” di sentimento che fungeva da fuga rispetto ad una quotidianità vissuta come noiosa, altamente alienante, ed incapace di contenere frustrazioni individuali e collettive. Aspetti con i quali il Covid poco c’entrava, a meno di non considerarlo come un potente catalizzatore del risentimento generale.
Inizialmente, il compito che ci siamo dati è stato quello di chiarire con una osservazione di tipo psicoanalitico gruppale cosa stava succedendo all’interno delle organizzazioni “no-vax”, in termini di rimescolamento delle appartenenze istituzionali individuali e gruppali. Abbiamo registrato che le nuove aggregazioni si sono andate formando attorno al concetto del “no”, coese nell’essere “contro” il pensiero maggioritario proposto dalle istituzioni ufficiali esistenti. Chi ha espresso quel “no”, non si è sentito riconosciuto nelle posizioni istituzionali che tali organizzazioni pretendevano venissero assunte.
Pensiamo che, con la pandemia, sia stata la paura a funzionare da aggregatore sociale, stimolando una coesione contro un pericolo che si percepiva vivido e concreto. La paura della morte: ogni sera davanti ai nostri occhi scorrevano continuamente immagini che parlavano dell’assedio del virus e della morte. Sia per i gruppi che hanno detto “si” ai vaccini o al dispositivo del “Green pass”, sia per quelli che hanno espresso dissenso, la paura sembrava aver avuto un ruolo aggregativo fondamentale. Le angosce di morte interrogano continuamente l’essere umano, la cui ricerca ha sempre avuto come sfondo l’obiettivo di sconfiggere la “nera signora”. Nessuno vorrebbe più morire, come avviene nel libro di José Saramago, “Le intermittenze della morte”, che racconta la storia di un piccolo paese nel quale, da un giorno all’altro, non muore più nessuno. Ora, siamo passati da questo pensiero che concerne l’illusione di poter sconfiggere la morte, al suo contrario: improvvisamente, ci siamo trovati a confrontarci nuovamente con l’idea della finitezza dell’uomo. Domande che, d’un tratto, in modo traumatico, hanno iniziato a riguardarci non solo sul piano individuale ma rispetto al genere umano nella sua interezza: riuscirà l’essere umano a sopravvivere? Una domanda che, come ci ricorda Franco Berardi ne “Il terzo inconscio”, non riguarda solo l’evento pandemico poiché già da tempo si sta parlando di estinzione del genere umano: molteplici sono gli studi che sostengono che l’eccessivo sfruttamento delle risorse del pianeta e il conseguente riscaldamento del clima ci porteranno all’estinzione in breve tempo.
Durante un incontro, una collega racconta il “caso” di una situazione istituzionale a cui presta supervisione: un’associazione dedicata alle persone con disabilità in cui sono esplosi seri conflitti proprio in riferimento a schieramenti relativi al vaccino e al “Green pass”. Quando è stato istituito l’obbligo di essere vaccinati o aver eseguito un tampone diagnostico nelle ultime 24 ore, dentro l’associazione sono sorte forti conflittualità: i genitori volevano sapere se gli operatori si fossero vaccinati, anche se questi potevano dimostrare di essere negativi al Covid-19 poiché si sottoponevano al tampone di controllo così come previsto dalla legge.
Prima di allora, i legami tra genitori e operatori sembravano essere connotati da una certa fiducia; con l’istituzione del “Green pass”, sono stati messi completamente in discussione. Quei genitori, i cui figli erano presi in carico dagli operatori dell’associazione, erano anche tra i soci fondatori dell’associazione stessa, fin dall’origine costituita da tre “anime”: famiglie, operatori, volontari.
Il Consiglio Direttivo, formato appunto da rappresentanti di tutte e tre le “anime”, ha regolamentato all’interno dell’associazione l’istituzione dello strumento di controllo del “Green pass”, e questo ha aperto dei forti conflitti senza che fosse letteralmente cambiato nulla nel concreto rapporto tra genitori/rappresentanti dell’associazione ed operatori. Dopo quella richiesta dei genitori/rappresentanti, una coordinatrice della struttura ha telefonato alla nostra collega che faceva le supervisioni dicendole “Io lascio”. Ciò che per quella coordinatrice era stato possibile gestire fino a quel momento (come altri conflitti più o meno sopiti del passato), con l’irruzione di questa dinamica di potere istituzionale non è più stato possibile accettarlo. L’associazione non andava più bene per lei: da una parte aveva subito un attacco in quanto rappresentante del “contenitore” istituzionale, tanto da sentirsi in qualche modo espulsa; dall’altra, conseguentemente, non le conferiva più la sicurezza necessaria affinché lei potesse assumerla come depositaria delle sue angosce psicotiche, per dirla con Pichon-Rivière e Bleger.
Questo ci pare dipinga bene la dinamica soggetto-istituzioni sociali che si è palesata in quest’ultimo periodo. Le istituzioni esterne sono ancora lì, in crisi, certo, ma sempre presenti. Sono le istituzioni interne ad essere crollate: ovvero, le certezze che ciascuno viveva in rapporto alla sfera istituzionale. È crollata la fiducia che prima si aveva rispetto alle istituzioni sociali ed ora, non riconoscendo più la funzione sociale delle istituzioni politiche, giuridiche, sanitarie, ecc., presenti nella nostra quotidianità, queste non sono più vissute come depositari istituzionali affidabili. Per cui, ci si trova costretti a cercare qualche altra situazione che possa rispondere a questa necessità.
Registriamo che, in questo periodo di crisi sociale in cui la pandemia parrebbe essere solo un’epifania, non abbiamo avuto a che fare con istituzioni plastiche, “transitanti”, bensì con forme istituzionali fisse e burocratizzate: dogmatiche. In altre parole, ci sembra che le istituzioni, in questa fase, non siano state in grado di tollerare la complessa ambiguità dovuta allo stato di crisi in cui siamo caduti con l’emergenza pandemica, potendo così fungere da depositari delle ansie psicotiche. Senza voler generalizzare, diremo che la funzione di contenimento (cfr. Bion) sia stata svolta solo in parte. Al contrario, ci sembra che le istituzioni sociali siano incorse in una serie di acting-out, agendo il potere attraverso il controllo sulla popolazione ed espellendo coloro che non condividevano le posizioni istituzionali ufficiali. In sostanza, sembra che le istituzioni non siano riuscite a raccogliere la molteplicità delle espressioni e delle manifestazioni soggettive e gruppali, e che non abbiano saputo accompagnare le persone nel processo di transito necessario per affrontare una situazione così incerta e complessa come quella attuale. Istituzioni, dunque, nelle quali l’“istituito” sembra aver completamente soppiantato la componente “istituente”, decretando, nello stesso tempo in cui cerca di scongiurarla, la morte di quelle medesime istituzioni, ovvero il loro decadimento e la necessità di un loro superamento.
Abbiamo a che fare con istituzioni che, come gli uomini da cui sono formate, non vogliono cambiare forma: non vogliono lasciare il posto a nuove configurazioni istituzionali, al nuovo, all’inedito, nonostante questo processo, giocoforza, sia già in atto.
Di fronte ad una tale presa di posizione istituzionale, portata avanti facendo leva sul potere che le stesse istituzioni evidentemente si riconoscono, una delle risposte possibili è quella di prendere distanza, ritirare il deposito psicotico (cfr. Bleger) e di allontanarsi, pur sapendo che transitare da un luogo (anche psichico) all’altro produce incertezza poiché ci si confronta con il dover sopportare una condizione di ambiguità nella quale le parti psichiche indiscriminate non trovano possibilità di essere depositate. Una condizione di ambiguità vissuta con una forte angoscia confusionale poiché cambiano improvvisamente di significato il tempo e lo spazio, le funzioni ed i compiti sociali, ovvero le coordinate esistenziali entro le quali ci si è abitualmente mossi. Un crollo delle certezze che mette in discussione anche il proprio passato nel quale si fa fatica a riconoscersi.
In questa fase di transito, o migrazione istituzionale, le angosce catastrofiche connesse con il senso di disorientamento e di smarrimento prevalgono. Ma il transito apre anche a nuove opportunità e alla possibilità di sperimentare una nuova operatività: “Il transito apre uno spazio laddove ogni cosa è non segmentata in termini binari”, scrivono Valerio Calzolaio e Telmo Pievani in un piccolo testo, “Libertà di migrare”, nel quale sottolineano come la migrazione sia sempre stata un fattore evolutivo fondamentale per l’essere umano.
Nella migrazione e nell’incontro con l’Altro il soggetto si apre alla possibilità di prendere contatto con altre parti di sé. Parti prima dimenticate, negate, marginalizzate. Rimaniamo incagliati nell’immagine di noi stessi che l’istituzione alla quale apparteniamo ci rimanda, narcisisticamente prigionieri di quell’immagine riflessa dallo specchio “istituzionale”. Ma, come suggerisce il noto fisico Carlo Rovelli, “L’immagine del mondo nitida e solida della vecchia fisica è un’illusione. Alla scala delle molecole, il netto spigolo di un coltello d’acciaio è fluttuante e impreciso come il bordo di un oceano in tempesta che si sfrangia su una spiaggia di sabbia bianca”. La geometria frattale, la meccanica quantistica, la logica fuzzy di Bart Kosko rappresentano potenti “suggestioni” epistemologiche per non rimanere impigliati nelle maglie della logica aristotelica binaria (A o non-A, “pro-vax” o “no-vax”). Così come la logica fluida delle transizioni di cui ci parla il filosofo Paul Preciado in “Un appartamento su Urano – Cronache del transito”. Questo Autore sottolinea la dinamica di potere inscritta nella logica binaria: la “violenza prodotta dall’epistemologia binaria dell’Occidente. L’universo intero tagliato solo in 2”. Un taglio che, fino ad ora, sembra aver agito togliendo ogni possibilità di pensarsi come qualcosa di diverso rispetto alle due alternative istituzionalmente consentite. Preciado sostiene che è sulla cicatrice di questa cesura che si fonda la nostra società, una cicatrice sulla quale si assesta la famiglia, la proprietà e l’eredità e che va oltre le generazioni (il trans-generazionale), ed esprime la possibilità di pensare a quella terza alternativa, per mezzo del proprio corpo. Diviene “corporalmente” altro. Quello stesso corpo sul quale hanno decisamente insistito le misure precauzionali governative assunte durante questi due anni di Covid-19, richiamandoci anche al ruolo che il corpo, o meglio dire il suo controllo (della sessualità, divisione in razze, il controllo medico e psichiatrico), ha avuto nella costituzione dello stato moderno, come ci ricorda Franz Fanon in “Decolonizzare la follia”.
La possibilità di pensare in modo complesso, e non in termini semplicemente binari, i dispositivi della vaccinazione obbligatoria e del “Green pass”; mutare le proprie appartenenze gruppali e istituzionali a seconda di ciò che viene sentito in linea con la propria storia e le proprie idee; la migrazione degli esseri umani da un paese all’altro in cerca di sicurezza o di migliori condizioni di vita; la transizione da un genere all’altro in cerca di un corpo che rispecchi il proprio sentire e che permetta di sviluppare altre possibilità: questi ci sembrano essere “emergenti” estremamente significativi della società attuale che conducono alla necessità di pensare istituzioni in grado di accogliere la differenza e la molteplicità, che siano in grado di accompagnare i processi di transito costantemente in atto e che, in definitiva, possano accompagnare nel difficile compito di contenere quelle parti psicotiche sempre più necessariamente stimolate da comunità sociali in continuo mutamento.
Bibliografia:
Bauleo A. (1999), Psicoanalisi e gruppalità, Roma, Borla, 2000
Berardi F. (2022), Il terzo inconscio. La psicosfera nell’era virale, Milano, Nottetempo
Bion W.R. (1962), Apprendere dall’esperienza, Roma, Armando Editore, 1990
Bion W. R. (1967), Analisi degli schizofrenici e metodo psicoanalitico, Roma, Armando Editore, 2009
Bleger J. (1966), Psicoigiene e psicologia istituzionale, Bari, La Meridiana Edizioni, 2011
Calzolaio V., Pievani T. (2016), Libertà di migrare, Torino, Einaudi Editore
Esposito R. (2021), Istituzione, Bologna, Il Mulino
Fanon F. (2011), Decolonizzare la follia. Scritti sulla psichiatria coloniale, Verona, Ombre Corte, 2020
Hess R., Weigand G. (2008), Corso di analisi istituzionale, Roma, Sensibili alle Foglie
Kosko B. (1993), Il fuzzy-pensiero, Milano, Dalai Editore, Milano, 2010
Pichon-Rivière E. (1985), Teoria del vincolo, Roma, Armando Editore, 2021
Preciado P. (2020), Un appartamento su Urano – Cronache del transito, Roma, Fandango Libri, 2019
Rovelli C. (2020), Helgoland, Milano, Adelphi Edizioni
Saramago J. (2005), Le intermittenze della morte, Milano, Feltrinelli, 2013
(Da www.area3.org.es, Numero Especial 5, Inverno 2023)