SCRITTI
- di Lorenzo Sartini -
DALLA VACCINAZIONE CONTRO IL COVID-19 ALLE TRANSIZIONI ISTITUZIONALI: UN VIAGGIO
Con l’obbligo vaccinale contro il Covid-19 imposto dai governi di vari paesi europei, si è creato un aspro conflitto tra i sostenitori dell’obbligo e coloro che invece lo rifiutavano. Si sono costituite due fazioni in contrapposizione: l’una composta da coloro che erano favorevoli all’obbligo vaccinale, e l’altra costituita da coloro che rifiutavano tale obbligo, i cosiddetti “no-vax”. L’aspetto interessante di questa dinamica è che, in ognuna delle due parti, si sono ritrovate, fianco a fianco, persone che appoggiavano partiti politici tradizionalmente antagonisti.
Il conflitto sociale, prima organizzato attorno a partiti politici istituzionali che assumevano posizioni definite e chiare a favore delle varie parti sociali in causa, con la crisi pandemica sembrava essersi organizzato attorno a queste nuove istanze: a favore del vaccino o contro il vaccino. Questo mutamento delle idee e delle convinzioni ha comportato un inaspettato rimescolamento delle vecchie appartenenze istituzionali. Questo è stato uno degli eventi sorprendenti che ha dato il là al lavoro di questo gruppo di ricerca.
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Il conflitto sociale, prima organizzato attorno a partiti politici istituzionali che assumevano posizioni definite e chiare a favore delle varie parti sociali in causa, con la crisi pandemica sembrava essersi organizzato attorno a queste nuove istanze: a favore del vaccino o contro il vaccino. Questo mutamento delle idee e delle convinzioni ha comportato un inaspettato rimescolamento delle vecchie appartenenze istituzionali. Questo è stato uno degli eventi sorprendenti che ha dato il là al lavoro di questo gruppo di ricerca.
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LA SOTTILE OPEROSITA' DEL TEMPO SOSPESO
“Il terremoto non è come ti lascia, ma come ti trova”, è la frase che disse un’anziana signora che viveva sola, ad una psicologa che lavorava sull’emergenza prodotta dal terremoto che aveva scosso la terra e le vite delle persone che abitavano in quel piccolo paese del centro Italia.
Quando accadono situazioni catastrofiche, come il terremoto, si è preda, nell’immediato, di una grande paura: la paura di perdere la propria vita. Nel caso del terremoto è un qualcosa che, in genere, ci accompagna in modo intenso per qualche secondo, forse per pochi minuti. Più propriamente, possiamo forse sostenere che si scateni una situazione di panico: è il panico che connota meglio quei momenti, venendo letteralmente a mancare la terra sotto ai propri piedi. Non si sa che cosa accadrà, quanto durerà e quali saranno le conseguenze che il terremoto lascerà.
Se il trauma è fare l’esperienza di una situazione inaspettata che viene vissuta come minaccia rispetto alla propria sopravvivenza e che tracima la possibilità di comprenderla cognitivamente e di contenerla emotivamente, suscitando paura e impotenza, l’avvento di un grave terremoto costituisce, senza ombra di dubbio, un evento traumatico.
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Quando accadono situazioni catastrofiche, come il terremoto, si è preda, nell’immediato, di una grande paura: la paura di perdere la propria vita. Nel caso del terremoto è un qualcosa che, in genere, ci accompagna in modo intenso per qualche secondo, forse per pochi minuti. Più propriamente, possiamo forse sostenere che si scateni una situazione di panico: è il panico che connota meglio quei momenti, venendo letteralmente a mancare la terra sotto ai propri piedi. Non si sa che cosa accadrà, quanto durerà e quali saranno le conseguenze che il terremoto lascerà.
Se il trauma è fare l’esperienza di una situazione inaspettata che viene vissuta come minaccia rispetto alla propria sopravvivenza e che tracima la possibilità di comprenderla cognitivamente e di contenerla emotivamente, suscitando paura e impotenza, l’avvento di un grave terremoto costituisce, senza ombra di dubbio, un evento traumatico.
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LA SCUOLA DEI CAPRI ESPIATORI
Questo lavoro di ricerca, su cui sto continuando ad interrogarmi, parte dall’esperienza che ho avuto modo di fare all’interno di una scuola secondaria di primo grado nella quale ho lavorato per circa 10 anni. Lavoravo in quella scuola da appena un anno quando l’insegnante che ricopriva anche il ruolo di coordinatrice per l’integrazione ed il disagio mi parla dell’esistenza di una situazione complicata in una 2° classe, in cui un ragazzino, preso come capro espiatorio, veniva trattato male dai suoi compagniche lo ricoprivano di offese ed insulti. Mi descrive la situazione in questi termini: parla di capro espiatorio.
Decidiamo di attivare un laboratorio con il compito di lavorare sulle modalità di socializzazione all’interno di quella classe. Il laboratorio consisteva in quattro incontri, senza alcuno schema preordinato, con l’idea di lavorare sui temi emergenti dal gruppo: l’intento era di lavorare sulle dinamiche relazionali interne alla classe per provare a cambiare la situazione che vedeva incastrato Matteo, quel ragazzino, nel ruolo di capro espiatorio.
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Decidiamo di attivare un laboratorio con il compito di lavorare sulle modalità di socializzazione all’interno di quella classe. Il laboratorio consisteva in quattro incontri, senza alcuno schema preordinato, con l’idea di lavorare sui temi emergenti dal gruppo: l’intento era di lavorare sulle dinamiche relazionali interne alla classe per provare a cambiare la situazione che vedeva incastrato Matteo, quel ragazzino, nel ruolo di capro espiatorio.
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IL TEMPO LIBERO TRA L'ISTITUZIONE E L'ANGOSCIA
“…la noia è quella sgradevole ‘bonaccia dell’anima’, che precede il viaggio felice e i venti giulivi;
egli la deve sopportare, deve attenderne in sé gli effetti:
proprio questo è ciò che le nature inferiori non riescono assolutamente a ottenere da se medesime!
Fuggire con tutti i mezzi la noia è volgare: come è volgare lavorare senza piacere”
(Friederich Nietszche, La gaia scienza e Idilli di Messina).
Ritrovo la motivazione alla stesura di questo lavoro in due stimoli che mi hanno toccato qualche tempo fa, nel giro di pochissimi giorni di distanza l’uno dall’altro: il primo, durante un colloquio che ho svolto con un paziente, del quale farò menzione più avanti; e il secondo, nel corso della presentazione di un libro che, seppur avesse altro oggetto come tema, mi ha dato l’occasione di riflettere ulteriormente su quel medesimo pensiero. Ciò che fondamentalmente mi ha colpito, in ambedue le circostanze, è stata l’idea di una piatta assenza di pensiero riguardo a quei momenti che fanno parte della vita delle persone e che comunemente vengono indicati con la formula "tempo libero", ovvero un tempo connotato dalla non direttività e dalla non obbligatorietà, e che per ciò stesso viene sovente inteso come vuoto. Un tempo che spesso viene dato per scontato e a cui si fa fatica a dare un senso, e nel quale pare essere la stereotipia, l’automaticità priva di prospettive, a guidare le vite e le condotte dei protagonisti di quei momenti. Ma che tipo di rapporto intercorre tra l’uomo e questo tempo nel quale, potremmo dire, egli ha disponibilità di se stesso? Che cosa produce in lui e come viene affrontato questo tempo scevro da impegni e doveri?
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egli la deve sopportare, deve attenderne in sé gli effetti:
proprio questo è ciò che le nature inferiori non riescono assolutamente a ottenere da se medesime!
Fuggire con tutti i mezzi la noia è volgare: come è volgare lavorare senza piacere”
(Friederich Nietszche, La gaia scienza e Idilli di Messina).
Ritrovo la motivazione alla stesura di questo lavoro in due stimoli che mi hanno toccato qualche tempo fa, nel giro di pochissimi giorni di distanza l’uno dall’altro: il primo, durante un colloquio che ho svolto con un paziente, del quale farò menzione più avanti; e il secondo, nel corso della presentazione di un libro che, seppur avesse altro oggetto come tema, mi ha dato l’occasione di riflettere ulteriormente su quel medesimo pensiero. Ciò che fondamentalmente mi ha colpito, in ambedue le circostanze, è stata l’idea di una piatta assenza di pensiero riguardo a quei momenti che fanno parte della vita delle persone e che comunemente vengono indicati con la formula "tempo libero", ovvero un tempo connotato dalla non direttività e dalla non obbligatorietà, e che per ciò stesso viene sovente inteso come vuoto. Un tempo che spesso viene dato per scontato e a cui si fa fatica a dare un senso, e nel quale pare essere la stereotipia, l’automaticità priva di prospettive, a guidare le vite e le condotte dei protagonisti di quei momenti. Ma che tipo di rapporto intercorre tra l’uomo e questo tempo nel quale, potremmo dire, egli ha disponibilità di se stesso? Che cosa produce in lui e come viene affrontato questo tempo scevro da impegni e doveri?
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ADOLESCENTI TRA PERDITE, INCERTEZZE E CAMBIAMENTI
Penso sia interessante partire dal significato etimologico del termine adolescenza: deriva da “adolescere” e significa crescere. E il participio passato di adolescere, che poi significherebbe “cresciuto” o “che ha finito di crescere”, è adulto.
In genere, si è concordi nel ritenere la fase dell’adolescenza come una fase di passaggio e di transizione tra due fasi: da una parte l’età infantile, caratterizzata fondamentalmente dal rapporto che si intrattiene con il mondo esterno, mediato da quelle figure genitoriali che costituiscono dei punti di riferimento certi e sicuri; e dall’altra parte l’età adulta, nella quale confluirebbe il periodo adolescenziale e nella quale si dovrebbe riuscire a trovare, forse in maniera anche un po’ mitica, come sostiene Georges Lapassade nel suo primo libro “Il mito dell’adulto”, una propria sicurezza e stabilità.
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In genere, si è concordi nel ritenere la fase dell’adolescenza come una fase di passaggio e di transizione tra due fasi: da una parte l’età infantile, caratterizzata fondamentalmente dal rapporto che si intrattiene con il mondo esterno, mediato da quelle figure genitoriali che costituiscono dei punti di riferimento certi e sicuri; e dall’altra parte l’età adulta, nella quale confluirebbe il periodo adolescenziale e nella quale si dovrebbe riuscire a trovare, forse in maniera anche un po’ mitica, come sostiene Georges Lapassade nel suo primo libro “Il mito dell’adulto”, una propria sicurezza e stabilità.
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ALCUNE SUGGESTIONI SU BLEGER E L'ISTITUZIONE DELLA PSICOANALISI
Nel 1969 Josè Bleger scrive un articolo, “Teoria e pratica in psicoanalisi: la prassi psicoanalitica”, nel quale cerca di evidenziare alcuni problemi relativi al rapporto tra teoria e pratica nella psicoanalisi. L’analisi di Bleger inizia affrontando la questione da un punto di vista epistemologico, sottolineando l’ingenuità di un pensiero (che definirà naturalista) che sancisca la netta separazione tra soggetto ed oggetto, per il quale “i fatti sono lì” e semplicemente osservandoli, in modo decisamente s-vincolato, si ha la possibilità di formulare ipotesi o teorie sull’oggetto di studio. Una questione, sottolinea lo psicoanalista argentino, che riguarda tutte le scienze umane e che la disciplina psicoanalitica ripercorre.
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L'EVOLUZIONE OPERATIVA DI UN PENSIERO: PICHON-RIVIERE, BLEGER, BAULEO
La Concezione Operativa di Gruppo è una psicologia sociale a matrice psicoanalitica che si basa sulla tecnica dei gruppi operativi. Il gruppo operativo è un dispositivo gruppale fondato dallo psichiatra e psicoanalista Enrique Pichon-Rivière in Argentina, a partire dal 1948, e messo a punto e concettualizzato una decina di anni più tardi.
Sul versante teorico, oltre alla forte impronta della psicoanalisi di Sigmund Freud e di Melanie Klein e alla psicosociologia di Kurt Lewin, ritroviamo, nelle fondamenta dei gruppi operativi, apporti concettuali provenienti dal materialismo dialettico di Karl Marx, dall'esistenzialismo di Jean Paul Sartre, dalla fenomenologia di Maurice Merleau-Ponty, dalla sociologia di Henri Lefevbre e da quella interazionista di George H. Mead.
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Sul versante teorico, oltre alla forte impronta della psicoanalisi di Sigmund Freud e di Melanie Klein e alla psicosociologia di Kurt Lewin, ritroviamo, nelle fondamenta dei gruppi operativi, apporti concettuali provenienti dal materialismo dialettico di Karl Marx, dall'esistenzialismo di Jean Paul Sartre, dalla fenomenologia di Maurice Merleau-Ponty, dalla sociologia di Henri Lefevbre e da quella interazionista di George H. Mead.
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L'ISTITUZIONE IMPLICATA. ISTITUZIONE, IMPLICAZIONE E IDEOLOGIA
Il lavoro qui presentato è stato realizzato da uno dei gruppi di ricerca all’interno del Centro Studi e Ricerche “Josè Bleger” di Rimini; nasce dalla necessità di interrogarsi sui fattori che favoriscono o limitano le collaborazioni fra le istituzioni che, a vario titolo e con metodologie diverse, si attivano per promuovere e realizzare interventi di prevenzione in ambito socio-sanitario.
Se prendiamo le mosse dalla “Teoria degli ambiti” di Bleger tale studio si colloca nell’ambito istituzionale, seppure nel corso del processo di ricerca più volte ci siamo chiesti se la sua collocazione fosse corretta o se dovessimo rivalutarla per inserirla nell’ambito comunitario.
L’applicazione della metodologia della concezione operativa ha accompagnato costantemente il nostro lavoro, in una continua tensione dialettica tra il fare ed il pensare; ha attraversato in modo trasversale il compito, il setting, i ruoli ed il nostro gruppo interno ed esterno. La complessità di un oggetto di studio fortemente collegato alle tematiche della ideologia e dell’implicazione rispetto ai ruoli ci ha portato a creare un dispositivo che permettesse una sorta di dissociazione strumentale per leggere, comprendere come queste tematiche agissero anche all’interno del gruppo di ricerca. Lavorare intorno alla questione dell’implicazione, soprattutto, è risultato particolarmente ostico: il problema si è posto fin dall’inizio, ma solamente alla fine del percorso è stato possibile recuperarlo in tutta la sua pregnanza e rielaborarlo.
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Se prendiamo le mosse dalla “Teoria degli ambiti” di Bleger tale studio si colloca nell’ambito istituzionale, seppure nel corso del processo di ricerca più volte ci siamo chiesti se la sua collocazione fosse corretta o se dovessimo rivalutarla per inserirla nell’ambito comunitario.
L’applicazione della metodologia della concezione operativa ha accompagnato costantemente il nostro lavoro, in una continua tensione dialettica tra il fare ed il pensare; ha attraversato in modo trasversale il compito, il setting, i ruoli ed il nostro gruppo interno ed esterno. La complessità di un oggetto di studio fortemente collegato alle tematiche della ideologia e dell’implicazione rispetto ai ruoli ci ha portato a creare un dispositivo che permettesse una sorta di dissociazione strumentale per leggere, comprendere come queste tematiche agissero anche all’interno del gruppo di ricerca. Lavorare intorno alla questione dell’implicazione, soprattutto, è risultato particolarmente ostico: il problema si è posto fin dall’inizio, ma solamente alla fine del percorso è stato possibile recuperarlo in tutta la sua pregnanza e rielaborarlo.
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UNA POSSIBILE LETTURA DEL GIOCO D'AZZARDO PATOLOGICO (O LUDOPATIA)
Con il termine ludopatia si intende il gioco d’azzardo patologico (GAP), ossia il desiderio compulsivo di giocare scommettendo dei soldi.
Si deve specificare che quando si parla di "gioco d’azzardo" non ci si riferisce solamente ai giochi che si possono fare all’interno dei luoghi notoriamente adibiti a tali attività come i casinò (le slot-machine, la roulette, i vari giochi con le carte), ma a tutte quelle situazioni particolari che permettono la possibilità di scommettere dei soldi in un’attività la cui vincita è, di fatto, pressoché totalmente aleatoria.
Se il gioco d’azzardo classicamente inteso (appunto quello che si fa nei casinò) è vietato sul territorio italiano, dunque illegale, sono invece ammessi e considerati legali tutta una serie di "giochi", alcuni di essi proposti e finanziati direttamente dallo Stato, che non vengono comunemente definiti d’azzardo ma che, pure, sono fortemente connotati dalla componente aleatoria che può determinare la vincita: dalle varie tipologie di schedine e di scommesse sportive, al lotto, enalotto e Superenalotto, da Win for life a tutta la serie dei Gratta e vinci, dalle sale Bingo ai giochi on line (soprattutto il poker).
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Si deve specificare che quando si parla di "gioco d’azzardo" non ci si riferisce solamente ai giochi che si possono fare all’interno dei luoghi notoriamente adibiti a tali attività come i casinò (le slot-machine, la roulette, i vari giochi con le carte), ma a tutte quelle situazioni particolari che permettono la possibilità di scommettere dei soldi in un’attività la cui vincita è, di fatto, pressoché totalmente aleatoria.
Se il gioco d’azzardo classicamente inteso (appunto quello che si fa nei casinò) è vietato sul territorio italiano, dunque illegale, sono invece ammessi e considerati legali tutta una serie di "giochi", alcuni di essi proposti e finanziati direttamente dallo Stato, che non vengono comunemente definiti d’azzardo ma che, pure, sono fortemente connotati dalla componente aleatoria che può determinare la vincita: dalle varie tipologie di schedine e di scommesse sportive, al lotto, enalotto e Superenalotto, da Win for life a tutta la serie dei Gratta e vinci, dalle sale Bingo ai giochi on line (soprattutto il poker).
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LA RICERCA E L'ABDUZIONE
Charles Sanders Peirce, in “Some consequences of four incapacities” (trad. it. “Alcune conseguenze di quattro incapacità”), sostiene che il motore che muove l’essere umano alla ricerca è il dubbio: è la situazione di dubbio che stimola nell’uomo l’attivazione di un processo psichico, il pensiero, con il fine di porre fine alla situazione di dubbio e ricreare una situazione di tranquillità e quiete.
Questo motore può essere inteso in tre modi:
1. come stimolo che viene dalla realtà, una cosa di cui bisogna occuparsi;
2. una passione soggettiva che viene da lontano, legata alle relazioni sociali del vissuto;
3. l’egotismo, la soddisfazione derivante dal far parte di un gruppo che si occupa di un certo oggetto.
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Questo motore può essere inteso in tre modi:
1. come stimolo che viene dalla realtà, una cosa di cui bisogna occuparsi;
2. una passione soggettiva che viene da lontano, legata alle relazioni sociali del vissuto;
3. l’egotismo, la soddisfazione derivante dal far parte di un gruppo che si occupa di un certo oggetto.
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RIDUZIONE DEI DANNI E LIMITAZIONI DEI RISCHI
In Olanda ed Inghilterra si è cominciato a parlare di politiche di riduzione del danno negli anni ’80. In Italia si è iniziato a discutere in maniera più rilevante di riduzione del danno (o dei danni) nel 1993, sull’onda dell’allarme rappresentato dalla diffusione dell’HIV, ed è allora che si è iniziato a pensare di poter andare nei luoghi dove, tra gli altri, la diffusione dell’HIV poteva essere più significativa: ossia, in strada.
La riduzione del danno è una strategia di intervento nata per arginare il propagarsi di malattie infettive tra i consumatori di sostanze illecite per via endovenosa. In seguito, data la sua efficacia, questa strategia di intervento è stata estesa anche ad ambiti diversi da quello delle sostanze stupefacenti: per esempio, la si è utilizzata anche per intervenire nel mondo della prostituzione.
Nella realtà italiana i modelli di “intervento di strada” sperimentati e consolidati per intervenire sulle problematiche comunitarie emergenti e per favorire il benessere della collettività, e che rappresentano dunque il riferimento teorico-metodologico utilizzato nei progetti che vengono generalmente messi in atto, sono i seguenti:
La riduzione del danno è una strategia di intervento nata per arginare il propagarsi di malattie infettive tra i consumatori di sostanze illecite per via endovenosa. In seguito, data la sua efficacia, questa strategia di intervento è stata estesa anche ad ambiti diversi da quello delle sostanze stupefacenti: per esempio, la si è utilizzata anche per intervenire nel mondo della prostituzione.
Nella realtà italiana i modelli di “intervento di strada” sperimentati e consolidati per intervenire sulle problematiche comunitarie emergenti e per favorire il benessere della collettività, e che rappresentano dunque il riferimento teorico-metodologico utilizzato nei progetti che vengono generalmente messi in atto, sono i seguenti:
- modello di sviluppo di comunità, legato alla tradizione e ai riferimenti della psicologia di comunità, che vede l’azione in strada come parte di un processo di sviluppo complessivo della comunità locale, volto all’assunzione dei problemi da parte dei cittadini e all’adozione delle soluzioni legate alla sicurezza sociale, alla vivibilità delle aree urbane e al senso di appartenenza, di partecipazione e di cambiamento della comunità stessa. In questa area, gli interventi sono volti alla costruzione di percorsi di empowerment (aumento del senso dell’auto-efficacia) sociale e comunitario.
QUOTIDIANA CONFLITTUALITA'
Credo sia d’uopo iniziare con la derivazione etimologica del termine conflitto: da conflictus, urto, cozzo; che deriva da con-fligere, urtare una cosa contro un’altra; composto da con = cum, insieme, e fligere, percuotere, da cui flictus, percussione, collisione.
Solitamente il termine conflitto viene usato con un’accezione negativa: il conflitto viene considerato come qualcosa di male, come qualcosa di sbagliato, come qualcosa che non si deve fare e che è meglio, per quanto possibile, evitare.
Si dice conflitto e subito si pensa alla guerra: si pensa ad un comportamento che possa nuocere a qualcuno o qualcosa e la cui finalità sia soltanto la distruzione e la degenerazione (guerra: azione di eserciti nemici che si offendono in ogni guisa avendo per fine la vittori; e, più in generale, dissidio tra due o più stati, il quale, non potendosi definire per via di giustizia, si definisce per quella delle armi).
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Solitamente il termine conflitto viene usato con un’accezione negativa: il conflitto viene considerato come qualcosa di male, come qualcosa di sbagliato, come qualcosa che non si deve fare e che è meglio, per quanto possibile, evitare.
Si dice conflitto e subito si pensa alla guerra: si pensa ad un comportamento che possa nuocere a qualcuno o qualcosa e la cui finalità sia soltanto la distruzione e la degenerazione (guerra: azione di eserciti nemici che si offendono in ogni guisa avendo per fine la vittori; e, più in generale, dissidio tra due o più stati, il quale, non potendosi definire per via di giustizia, si definisce per quella delle armi).
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LA VINCOLATA LIBERTA' DEL VOLONTARIO
1. Quali necessità nell’azione del volontario?
Ciò che contraddistingue le associazioni di volontariato fra le altre organizzazioni che agiscono per scopi di utilità sociale è, naturalmente, la dimensione dell’agire per fini di solidarietà: un’azione intrapresa gratuitamente in sostegno e aiuto a persone, gruppi o collettività che si trovano in una qualche condizione di sofferenza o disagio (nella maggior parte dei casi si tratta di disagio di tipo sociale).
Già questo genere di azione racchiude in sé una grande complessità in quanto si possono riscontrare in essa tutta una serie di implicazioni che, in effetti, è molto difficile districare ed analizzare.
Più o meno costante è la domanda relativa alle motivazioni del volontario, di chi fa volontariato: perché lo si fa? A quali necessità va incontro l’azione intrapresa volontariamente? Detta in altro modo, potrebbe essere: a quali necessità risponde l’azione intrapresa volontariamente? L’azione intrapresa volontariamente è veramente un "dono”, così come spesso si dice, di una persona verso un’altra?
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Ciò che contraddistingue le associazioni di volontariato fra le altre organizzazioni che agiscono per scopi di utilità sociale è, naturalmente, la dimensione dell’agire per fini di solidarietà: un’azione intrapresa gratuitamente in sostegno e aiuto a persone, gruppi o collettività che si trovano in una qualche condizione di sofferenza o disagio (nella maggior parte dei casi si tratta di disagio di tipo sociale).
Già questo genere di azione racchiude in sé una grande complessità in quanto si possono riscontrare in essa tutta una serie di implicazioni che, in effetti, è molto difficile districare ed analizzare.
Più o meno costante è la domanda relativa alle motivazioni del volontario, di chi fa volontariato: perché lo si fa? A quali necessità va incontro l’azione intrapresa volontariamente? Detta in altro modo, potrebbe essere: a quali necessità risponde l’azione intrapresa volontariamente? L’azione intrapresa volontariamente è veramente un "dono”, così come spesso si dice, di una persona verso un’altra?
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LA FORZA DEL PASSATO NELLA TEORIA DI JOSE' BLEGER
Josè Bleger, all’inizio del suo scritto “Psicoanalisi dell’inquadramento psicoanalitico”, sostiene che la situazione psicoanalitica sia da intendersi come la “totalità dei fenomeni compresi nella relazione terapeutica tra analista e paziente”. Afferma poi che questa situazione consta di un processo, ossia di ciò che avviene all’interno di questa relazione, e di un non-processo, ossia l’inquadramento (o setting), determinato da alcune costanti (tempo, spazio, ruolo e compito) nel cui ambito si dipana il processo medesimo (l’utente che pone la domanda e l’analista che la ascolta e la analizza).
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SINTESI DE "IL COLLOQUIO PSICOLOGICO" DI JOSE' BLEGER
Il colloquio è uno strumento fondamentale del metodo clinico e costituisce una tecnica di indagine scientifica della psicologia. Questo strumento fa confluire nello psicologo le funzioni del ricercatore e dell’operatore poiché la tecnica è il punto di interazione fra la scienza e le esigenze di carattere pratico.
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SINTESI DE "IL GRUPPO COME ISTITUZIONE E IL GRUPPO NELLE ISTITUZIONI" DI JOSE' BLEGER
Si può considerare il gruppo come “un insieme di individui che interagiscono attenendosi a determinate norme nello svolgimento di un compito”.
In ogni gruppo c’è un tipo di relazione che è, paradossalmente, una non-relazione, ossia una non-individuazione che si impone come matrice fondamentale e strutturante di ogni gruppo e che persiste in maniera variabile per tutta la vita di quest’ultimo.
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In ogni gruppo c’è un tipo di relazione che è, paradossalmente, una non-relazione, ossia una non-individuazione che si impone come matrice fondamentale e strutturante di ogni gruppo e che persiste in maniera variabile per tutta la vita di quest’ultimo.
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