TRADOTTI
IL RICERCATORE COME AGENTE DEL CAMBIAMENTO. FONDAMENTI DI UNA PSICHIATRIA SOCIALE. STRATIFICAZIONE BIOLOGICA DELLA SOCIETA'. GESTALT, RIFLESSOLOGIA, PSICOANALISI E PSICOLOGIA SOCIALE.
Lezione dettata dal Dr. Enrique Pichon-Rivière, il 09/05/1966 (Primo anno)
SCUOLA PRIVATA DI PSICHIATRIA SOCIALE, Lezione n. 3
(Il titolo originale della lezione, ripresa dal sito www.espiraldialectica.com, è “El investigador como agente de cambio / Fundamentos de una psiquiatría social / Estratificación biológica de la sociedad. / Gestalt, Psicoanálisis, Reflexología y Psicología social" ed è stata tradotta dallo spagnolo da Lorenzo Sartini)
Oggi continueremo con l’enunciazione e la chiarificazione dello schema di riferimento della scuola, e parleremo, soprattutto, dell’origine della nostra didattica che è una miscela di didattica di nucleo basico e gruppale. Abbiamo visto che la funzione che gioca la nostra scuola è, fondamentalmente, quella di insegnare a pensare, che forse è uno dei comportamenti più angoscianti che l’essere umano realizza, poiché ogni pensiero è il confronto con una situazione che può risultare nuova e, pur non proponendoselo, il soggetto può fare delle scoperte e delle invenzioni, e promuovere il cambiamento. Questi cambiamenti provocano ansietà di perdita e di attacco e possono trasformare l'allievo in ‘capro espiatorio’, ossia in agente di cambiamento. Vale a dire che ogni agente di cambiamento sociale, alla fine, si trasforma in capro espiatorio sul quale si collocano le ansie provenienti da questa situazione di cambiamento. Questa è una delle spiegazioni sul capro espiatorio (o del perturbatore come persona sabotatrice dello stereotipo tradizionale) che, per il fatto di mobilizzare stereotipi e conoscenze, provoca ansietà persecutorie negli altri che gli si scagliano contro, come persecuzione del responsabile del cambiamento sociale.
Questa interpretazione l’abbiamo proposta in un lavoro che abbiamo presentato in un Congresso Internazionale sull’antisemitismo. In realtà, la persecuzione antisemita si deve, studiando i disturbi emotivi, al fatto che l’ebreo è vissuto come agente del cambiamento sociale. Prendendo l’esempio di Einstein, Marx, Freud e Chaplin, si vede che ciascuno di essi, nel proprio campo e con uno stile particolare, comporta cambiamenti fondamentali: si rompe lo stereotipo della fisica, con Einstein, di tutta una concezione dell’universo, con Marx, dell’intera concezione dell’uomo, in Freud, e tutta la burla, la satira e l’umorismo ebraico[1] che c’è in Chaplin sulla società capitalista meccanizzata (per esempio, nel film “Tempi moderni”).
Attraverso questi processi di cambiamento realizzati da questi quattro ebrei, si produce in essi un processo interno di abbandono della tradizione perché il ricercatore è così incluso nella ricerca che, per forza, cambia a sua volta. Così vediamo Marx scrivere il suo primo lavoro sulla questione ebraica, che è un costume completamente rivoluzionario dal punto di vista della tradizione cristiana ed ebraica allo stesso tempo.
Se studiamo la vita di ciascuno di essi vediamo le difficoltà che hanno avuto: nel caso di Chaplin, per esempio, il suo allontanamento definitivo dagli Stati Uniti, dove la persecuzione è stata istituita a livello dei redditi, pur avendoli in regola. Marx, solamente uscendo dal suo ambiente, di famiglia borghese, e prendendone distanza sposandosi con una donna di origine aristocratica, si colloca come osservatore della realtà (vale a dire che sempre è necessario un allontanamento dal campo). Freud, è evidentemente il critico e l’osservatore di tutte le conseguenze della modalità Vittoriana a Vienna, dove quella morale tende a rompersi per un comportamento collettivo.
Ciò significa che ciascun ricercatore, nel suo contesto, può essere compreso ed effettivamente captato dal resto, organizzandosi così, una cospirazione contro gli agenti del cambiamento sociale. Cospirazione che si estende, per una legge di generalizzazione, alle persone della sua propria casta o razza, meglio detto, in questo caso, della sua religione.
Chaplin. Come vendetta si accasa con una donna giovane ed ha molti figli per realizzare la sua onnipotenza. Forse uno dei casi più drammatici è quello di Einstein, il cui figlio, malato di schizofrenia, denuncia giustamente uno dei conflitti tipici della comunità ebraica, che è il conflitto generazionale. Proprio secondo Einstein, suo figlio, malato di schizofrenia, rimase con un difetto cronico per una lotta ideologica all’interno del circolo familiare, dove sua moglie, che rappresentava la tradizione ebraica, lo obbligava al rituale, mentre Einstein rappresentava l’apertura (vedremo quanto c’è di vero nella nascita di una nevrosi, sul conflitto delle ideologie internalizzate dei genitori che entrano in contraddizione).
Possiamo vedere che la prima cosa che bruciò Hitler, tra le altre cose, furono i libri di Freud e, sicuramente, quelli di Marx e di Einstein, così come quelli di arte moderna o astratta, che, per lo più, hanno ebrei come iniziatori.
Si potrebbe anche dire che la grande preoccupazione dell’Inghilterra, con tutta la sua ambivalenza nel creare lo stato di Israele, è la soluzione che ha trovato di fronte a questa crescita dell’agente del cambiamento sociale, proveniente da una minoranza che, per le sue ansietà e per le sue necessità di organizzarsi, doveva acquisire rapidamente un tipo di pensiero operativo. L’Inghilterra, allora, fu il paese che più favorì lo stato di Israele ma, allo stesso tempo, a cui creò più difficoltà.
Nel caso di Freud, non diremo che il cancro fu diretto dall’esterno da qualche antisemita o che il cancro era ariano di nazionalità però, evidentemente, le difficoltà che dovette sopportare e le resistenze nel potersi esprimere, potrebbero far pensare che il cancro che Freud ebbe alla bocca, ossia l’organo incaricato di esplicitare l’implicito, abbia un significato simbolico dal punto di vista sociale.
Uno dei più intelligenti discepoli di Freud fu Abraham, e morì nello stesso modo, per una spina di pesce.
Se prendiamo ciascuna cosa separatamente, si potrebbe dire che ciò che si introduce in un luogo proibito e segreto si carica di colpa, come il bambino che guarda dalla serratura. Questo bambino costruisce un mondo determinato, partendo dal nulla, dalla solitudine nella quale si ritrova al vedere i genitori insieme, e dà origine al punto di partenza di tutta la filosofia moderna che ruota attorno alla solitudine, alla morte, all’ansietà e al nulla. Così, possiamo vedere gli emergenti di differenti campi come prodotti di determinate situazioni di tensione e che i portavoce di queste [ndt: situazioni] e le soluzioni di quelle tensioni subiscono un destino particolare.
D’altro lato, esiste l’enorme conflitto tra il creare ed il sottomettersi alle regole dell’ambiente, cioè, non creare o reprimere l’istinto creativo, che è curativo. Perciò, l’impostazione tra genio e creazione è stata generalmente poco affrontata. La creazione è la soluzione della follia. Noi non lo proponiamo in termini di equivalenza, ma in termini di carattere complementare o alternato tra due situazioni. Per esempio, nel contesto letterario abbiamo il caso di Rimbaud, che ha potuto scrivere fino ai ventiquattro anni e poi ha dovuto rifugiarsi in Africa per realizzare un’attività completamente differente, facendo il contrabbandiere e il piccolo commerciante.
Nel terreno delle matematiche abbiamo il caso di Kantor, che a ventiquattro anni aveva già formulato la teoria dei gruppi e degli insiemi e, per una difficoltà nevrotica, si ammalò di schizofrenia e terminò la sua attività. La stessa cosa possiamo vedere tra pittori che hanno avuto processi psicotici nei momenti di paralisi della creazione. Il caso di Van Gogh è il più tipico. Vuol dire che la relazione tra genio e follia deve porsi nel senso che il lavoro creativo è la miglior profilassi contro la follia.
C’è una cospirazione collettiva della società volta a impedire la creazione, perché la creazione è cambiamento, cioè ansietà per tutto il mondo. Il creatore si vede, quindi, chiuso dentro il suo ambiente o contesto specifico. Qualcosa di impressionante è la statistica nell’ufficio brevetti e invenzioni negli Stati Uniti; una quantità enorme di licenze concesse ai piccoli inventori che possono avere una grande ripercussione tecnologica ma che vengono comprate dalle imprese con la condizione che non siamo messe in esecuzione.
Ho avuto occasione di conoscere un uomo, a New York, che assistiva ai miei corsi, e che non era medico, ma assistiva per cercare di comprendere quello che aveva passato. Aveva inventato una nuova miscela di tessuti sintetici la cui licenza fu comprata da una grande industria e viveva così da circa dieci anni con un reddito e con la proibizione di fare qualcosa, trovandosi in uno stato di alienazione totale perché non poteva continuare a ricercare pur avendo in mente la formula di varie altre invenzioni. Vale a dire che la società competitiva arriva a tal grado da inibire l’iniziativa e la scoperta. Questo, visto nella scala delle piccole scoperte.
Il gruppo di Wright Mills, Merton e Riessman studiò dettagliatamente l’insieme di quelle invenzioni non eseguite e fecero un calcolo delle probabilità sulla misura e sull’intensità del cambiamento tecnologico che poteva avvenire se si fosse messo in marcia tutto questo. Il problema esiste anche qui. In una piccola ricerca che abbiamo fatto, abbiamo incontrato una percentuale enorme di queste invenzioni (è nel ramo tessile, che per sua tradizione è stato in permanente attività, dove si sono realizzate le più grandi invenzioni) attraverso, per esempio, l’analisi del contenuto di una cassetta dei suggerimenti. C’è un flusso umano non utilizzato che non si organizzerà mai per proprio conto e mai creerà una forma di competenza; giacché i gruppi dirigenti sono molto meno creativi dei gruppi sottostanti, cioè quelli che hanno a che fare con il compito specifico, nel qui ed ora. L’unico modo per fare scoperte è fare lavori sul campo, cioè fare ricerche sociali dirette in contatto con il materiale umano e no in base a giochi più o meno speculativi con le teorie già esistenti, prendendo, per esempio, come campo di elaborazione, il campo della mente dello stesso psicologo[2] che, come abbiamo già visto, sono denominati ‘psicologi di poltrona’ e non di campo.
È per questo che tutta la dialettica attuale tende a prendere una direzione operativa. A fare di quello che si apprende una cosa che possa essere utilizzata, basata su una prassi permanente (l’unione della teoria e della pratica, le cui contraddizioni si risolvono nel campo del compito creando un processo di apprendimento con una forma di spirale permanente basata su progressi e battute d’arresto e revisioni del processo stesso), si ottengono avanzamenti qualitativi all’interno del progresso tecnologico. In realtà, dal punto di vista tecnologico, c’è un agente di cambiamento sociale che ‘calcia nella propria porta’ e che è l’automazione.
Nella misura in cui l’uomo dispone di più tempo libero, giacché la macchina lo rimpiazza, si ha disoccupazione, più risentimento, più tensione, più apprendimento di altre discipline, più politicizzazione, vale a dire tutti i fattori che possono favorire il cambiamento e il salto qualitativo. È così a tal punto che l’interesse per le relazioni lavorative che uno psicologo sociale può avere, deve essere spostato su una cosa che sembra insolita e che è la pianificazione dell’ozio. Che fare nel tempo libero, nel tempo senza lavoro, che può essere impiegato in forma nevrotica, autodistruttiva, oppure creare una struttura sociale che tramuti tutti le forme di non occupazione in compiti utili[3], dal momento che l’apprendimento, nel tempo libero della creazione o ricreazione o di gioco, viene aumentato e aumenta considerevolmente. Si calcola che, in meno di dieci anni, la giornata lavorativa sarà di cinque ore di lavoro.
Quindi, il problema non è “Che fare nelle ore di lavoro?”, ma “Che fare nelle ore di ozio?”.
Tutta la sociologia attuale si è rivolta, con le proprie rispettive ideologie, a vedere che fare nel tempo libero e come pianificarlo. Uno dei nostri grandi compiti è la pianificazione, cioè la strategia, a qualsiasi livello di analisi.
C’è un primo livello che è quello che studia i vincoli del centro dell’Io con gli oggetti interni, con la realtà interna, non mescolando nel suo compito la realtà esterna. È questa una posizione solipsista e, generalmente, di una ideologia particolare, che tende a trasformare l’uomo dall’interno, senza l’interazione con l’esterno, che è una maniera di impedire la modificazione dell’esterno e del gioco permanente tra l’interno e l’esterno, che condiziona ciò che si chiama ‘adattamento attivo alla realtà’, unico criterio di guarigione o di miglioramento in psichiatria sociale. Non di adattamento passivo, come si suole parlare quando uno psichiatra dice che un paziente schizofrenico ha fatto progressi perché si veste o si lava meglio; e non è il contesto individuale. Questo miglioramento clinico è relativo e va innestato in un’attività, in un modello collettivo; se non ha modificato il suo comportamento familiare, per esempio, se non ha assunto nuovi ruoli, se non è riuscito ad attraversare la barriera della segregazione familiare. Nella misura in cui modifica l’ambiente si modifica se stesso e così si ha una spirale permanente dove le ‘cose in sé’ sono trasformate in le ‘cose per sé’, come dice Marx.
Curiosamente, appare negli Stati Uniti, in un’epoca di grande repressione come quella maccartista, un criterio operativo per il quale l’ottanta per cento dei professori, soprattutto quelli di psicologia sociale (sociologi ed economisti, curiosamente, meno) furono licenziati dai propri incarichi perché avevano parlato qualche volta di Marx. Esisteva, inoltre, l’impossibilità di uscire dal paese. Tra essi c’era Wright Mills, il più talentuoso dei sociologi che hanno avuto gli Stati Uniti, famoso per il suo libro “Ascolta, Yankee”.
La trappola per questi professori è stata quella di togliergli l’incarico e impedirgli di uscire. Naturalmente tutti piombarono su quei professori, ma l’uscita venne impedita (abbiamo fatto sforzi per portarli qui) e si dovettero rifugiare nell’insegnamento privato. E come si è formata la situazione gruppale, che era l’ideologia degli psicologi sociali, hanno cominciato ad avere difficoltà.
Ossia, ciò che nel campo della psicologia sociale è ed è stato permanentemente sabotato. Questo non è per intimorirvi ma per avvertirvi che c’è anche una contro-strategia per lavorare, che è basata su un lavoro serio, sistematico, che può essere trasmesso all’altro, che sia comprensibile e in una semantica comune. È molto frequente vedere che differenti autori usano termini che non sono equivalenti; la stessa cosa dovrebbe accadere nelle nostre aule e nei nostri gruppi, dove voi vi incontrate con una psichiatria che si spera vediate come nuova; in alcuni elementi almeno, nuovi e che è difficile comunicare nei termini di una psichiatria sociale e dinamica che si fonda, in realtà, su due concezioni: in quella di Freud e dei suoi discepoli e in quella di Kurt Lewin.
I primi per quanto riguarda l’aspetto storico-genetico e Lewin per l’aspetto immediato del qui ed ora della situazione, poiché per lui la psicologia nella situazione è a-storica; lo psicologo sociale deve agire con una strumentazione immediata per risolvere situazioni che deve considerare come a-storiche, come se fosse sempre una psichiatria di urgenza. Lewin non negò gli aspetti storici della situazione, però pose enfasi sul carattere di emergenza del disturbo e sulla necessità di comprenderlo e risolverlo nel qui ed ora di ciascuna situazione. L’ideologia di Lewin ha influito opponendosi al criterio storico che predomina nell’ideologia psicoanalitica. Questa incorpora la teoria a-storica attraverso Riessman ed altri psicoanalisti inglesi molto vicini a M. Klein, conoscitori di Lewin e interessati alla psicologia sociale.
Lo psicologo sociale più avanzato, potremmo dire, è, in questo momento, Elliott Jaques, discepolo prediletto di Melanie Klein, che ha prodotto gli apporti più interessanti alla teoria degli incentivi. Analizzò un’impresa nella sua totalità ed estrasse le conclusioni più profonde applicando la nozione delle ansietà basiche. Egli mantiene la teoria delle ansietà e degli istinti, mentre noi l’abbandoniamo in favore della teoria dei vincoli.
Le ansietà le chiamiamo paure, poiché la differenza che fenomenologicamente si suole fare tra ansietà e paura è che l’ansietà è nella mente, l’area 1; è angoscia se si trova nell’area 2, non si conosce l’oggetto temuto; mentre è paura quando si trova nell’area 3 e si conosce l’oggetto temuto, che può essere spostato su qualsiasi cosa. Però, così come siamo psicologi sociali siamo psicoanalisti, e consideriamo che l’oggetto della paura che sta dietro l’angoscia o l’ansietà, può essere riconsociuto o disoccultato. Dunque la paura è l’universale con cui lavoriamo. Cioè, dietro ogni ansietà c’è un oggetto, poiché non c’è nessuna relazione, in nessuna delle tre aree, che sia anogettuale.
Vale a dire che il carattere astorico della psicologia di Lewin si deve prenderlo in quanto all’operazione, mentre per la ricerca bisogna mantenersi sul metodo storico-genetico di Freud, facendo l’inserzione che propone Joan Rivière e che applica sistematicamente Susan Isaacs, che è la continuità genetica. Cioè, la comprensione va dal qui e ora indietro e non da indietro in avanti come propone il metodo tipicamente storico. Che, tra l’altro, è come si concepisce attualmente la storia. Si studia l’uomo nelle sue condizioni attuali e si fa la storia di questa circostanza e del contorno, ma senza perdere l’immagine attuale dell’uomo. Il paziente ha poi un’immagine attuale che, naturalmente, ci si fa più comprensibile conoscendo la sua infanzia, ma l’importante è conoscere dalle inferenze attuali e dai suoi comportamenti attuali. Questo è il metodo di continuità genetica.
Studiando la storia della psicoanalisi, in Inghilterra soprattutto, abbiamo visto questo passaggio dall’analisi individuale al sociale, attraverso Riessman, dai suoi discepoli e da uno degli ultimi scritti di Melanie Klein. L’ultimo articolo di Frida Von Reissman e l’ultimo di Melanie Klein, ambedue, curiosamente si chiamano: “La solitudine”. Ambedue sono state molto fruttifere. La prima è, forse, la psichiatra pià illuminata di questa metà di secolo, mentre, dall’altro lato, Melanie Klein è colei che ha più approfondito i meccanismi di questa psichiatria fenomenologica e analitica che maneggiò Frida Von Reissman, la cui cultura era fondamentalmente umanista e che si vede riflessa in tutta l’opera di Fromm, che fu suo marito e che, abbandonando le linee della ortodossia analitica, si trasformò, a poco a poco, in sociologo.
Poi, in psicoanalisi, l’interesse per il gruppo umano è sempre maggiore e la scoperta del gruppo esterno familiare si dà attraverso un’altra struttura che è il gruppo interno. Vale a dire che nella nostra mente funziona un gruppo, prodotto dell’internalizzazione o incorporazione degli oggetti esterni significativi, non solamente con le sue interrelazioni già esistenti, ma con relazioni continuative all’interno della mente, che costituiscono il pensare e le sue regole.
I tipi di vincoli e le sue norme costituiscono la logica che può essere formale o dialettica, però sempre sono vincoli dove la presenza di un terzo è qualcosa di importantissimo da vedere, il modello sul quale si appoggia la nostra mente, il nostro pensare, il comportamento e il nostro rapporto psicoterapeutico, per esempio; quello formulato nei termini di un vincolo bicorporale ma sempre tripersonale. Vuol dire che ci sono sempre tre persone che continuano il modello infantile della situazione triangolare che Freud chiamò ‘complesso di Edipo’.
Il vincolo con l’altro indica infallibilmente il funzionamento di un terzo che opera coscientemente o incoscientemente e che, nella teoria della comunicazione, è rappresentato dal rumore, l’interferenza nel messaggio. Questi vincoli internalizzati che continuano a lavorare in noi, costituisce l’attività della fantasia. Questo dà luogo a tutto il movimento all’interno del campo dell’epistemologia e della teoria della conoscenza che tende a rivalorizzare l’immaginazione come strumento di lavoro, tanto che uno degli ultimi libri di Wright Mills si chiama “Sociologia e immaginazione”.
Vedrete con frequenza l’incorporazione dell’immaginazione nel processo operativo della scoperta, cosa che per una mente comune non si discute ma che per la mente accademica continua ad essere la ‘pazza della casa’. Il ricercatore, poi, sente una grande inquietudine per il fatto di aver osato formulare un’ipotesi di lavoro, e crede che quell’ipotesi non possa essere provata, essendo il prodotto della sua mente chiamata ‘soggettiva’. Un altro conflitto sollevato continuamente è quello dell’oggettivo e del soggettivo, sollevato soprattutto riguardo alla conoscenza per i marxisti che disconoscono l’esistenza di questo mondo interiore e la dialettica interna che regola i vincoli con gli oggetti interni e che è in permanente interazione con la dialettica esterna.
All’interno del campo del marxismo, Sartre pone l’enfasi sulla dialettica interna e Garaudy la pone sulla dialettica esterna, della natura, seguendo rigorosamente le orme di Engels. Queste antinomie nel campo della conoscenza devono essere risolte prima di iniziare la comprensione del resto. Esiste anche l’antinomia tra individuo e società, ciò che, con lo schema della situazione triangolare basica, è risolta nella misura in cui a ciascun angolo del triangolo aderiscono persone dello stesso sesso, e questo triangolo, che rappresenta una situazione individuale, si trasforma così in sociale. Uno è il soggetto, il ‘Sé’, il centro dell’io del soggetto; due è la relazione con la madre e tre è il padre. All’uno aderiscono i fratelli che formano un gruppo ogni volta più esteso che può arrivare ad essere un gruppo generazionale. Al due aderiscono tutte le donne, prima quella che hanno un ruolo materno e dopo, allargando i confini dall’endogamia all’esogamia, tutte le altre donne. Dall’altro lato abbiamo il padre, tre, con i suoi differenti rappresentanti nella società, cioè, gli uomini secondo la loro gerarchia, status, ecc.
Questo schema ci introduce alla vita comunitaria nella quale 1, 2 e 3 possono essere molteplici. Di quei tre strati si compone la stratificazione biologica della società. Naturalmente, allora c’è una stratificazione di classe, di età, ecc., che interessano alla sociologia, ma il punto di partenza riguarda la Psicologia Sociale, che è la chiave principale per comprendere quello che abbiamo chiamato, tuttavia, Psicologia Individuale, e che è Psicologia Sociale propriamente detta, che è anche lo studio dei piccoli gruppi o Microsociologia, e Macrosociologia, che studia l’istituzionalizzazione di questi tre strati. Abbiamo, allora, istituzioni di contenuto fraterno, paterno e materno. Inoltre questo schema risolve un’altra contraddizione[4] nel campo della psicologia che è quella che esiste, apparentemente, tra la teoria della Gestalt e la Psicoanalisi. Se a quella teoria non diamo un contenuto, è una teoria astratta che indica solamente la forma e non la figura della propria teoria. Di solito accade che una disciplina fornisce, senza proporselo, gli elementi per poterla mettere in questione. Allora, il contenuto che diamo alla Gestalt è quello del triangolo, dove si applica perfettamente il primo principio, per cui la modificazione di una delle parti comporta la modificazione del tutto. Questo triangolo è un’unità, una struttura funzionale che ha la caratteristica di totalità.
Un’altra delle contraddizioni tra le teorie psicologiche si dà tra Riflessologia e Psicoanalisi, ciò che ha suscitato i maggiori malintesi. Generalmente, per un’incomprensione o un’ignoranza da parte dei riflessologi di ciò che è la psicoanalisi, essendo rimasti fissati alla prima fase di Freud, quella della teoria traumatica delle nevrosi, che continuano a ripetere ancora attraverso le loro teorie. Il problema si risolve con la teoria dell’apprendimento. Lì, sì, la riflessologia ci insegna molto, con gli apporti di Pavlov e della sua scuola. Ci insegna i meccanismi neurobiologici della teoria dell’apprendimento. Nel considerare l’apprendimento il vettore essenziale che nelle sue perturbazioni comporta le nevrosi, le psicosi, ecc., possiamo assumere tutta la conoscenza tratta dalla riflessologia se la ritraduciamo in termini psicologici. La riflessologia, così come è formulata, non può servire di base per configurare una concezione dell’uomo e per operare su di esso perché, in fondo, è profondamente meccanicistica. La concezione del riflesso è meccanicistica nel senso che non include l’esperienza e l’accumulazione dell’esperienza, che è il mondo interno con la sua dialettica interiore. Vale a dire che, in ciascuna azione, il soggetto mette in gioco la sua esperienza, il suo flusso precedente e la sua ricchezza interiore regolata da una dialettica propria che non è il riflesso meccanico specchio della realtà esterna ma va a seguire una forma particolare di vedere il mondo, uno stile di visione della realtà che sarà espresso nelle forme in cui viene distorto il mondo interno. In psicologia si chiama “bias”[5], parola che significa “ritiro/isolamento” e misura l’indice di distorsione della realtà con l’indice di apertura del “bias” in qualsiasi ricerca. Ossia, la deformazione, soggettiva, che ciascuno fa di un’esperienza concreta. Questo è molto chiaro nella teoria della testimonianza, dove la realtà concreta non si cerca in alcuna testimonianza ma solo nella ricostruzione, come pezzi di un puzzle che si incastrano l’uno nell’altro, fin quando appare la realtà concreta.
Questa parola, ‘concreta’, ci porta a parlare della Psicologia Concreta. Per noi la Psicologia è sempre operativa. Studiamo la psicologia e le sue applicazioni, in qualsiasi ramo, in forma di comportamenti. Nell’attualità, la grande rivoluzione nell’Economia è data dall’intromissione dello psicologo che tende a distruggere tutti i sistemi astratti dell’economia e a vedere l’economia come comportamento economico, che rende comprensibile il vincolo del soggetto con l’oggetto, sia in termini di consumatore che di produttore. Cosi anche tutte le tecniche di propaganda sono viste in termini di comunicazione.
In questo modo si possono studiare tutti i problemi ed i fenomeni sociali come emergenti di una struttura socio-economica determinata, da cui emerge il ricercatore, sullo stesso piano; se questi è vittima dell’accadere di quella struttura, indagherà solamente entro i limiti che questa gli consente, ponendo così un grave problema al ricercatore. Anche il contraente dell’operazione o dell’indagine psicosociale di un’impresa, per esempio, lo limita. Dato che l’indagine è operativa, allora il ricercatore opera nel campo per portare modificazioni che impediscono conflitti per il salario, o incentivi al lavoro, per esempio, che lo fanno stare proprio al limite con la militanza.
Quindi c’è una zona dove è difficile transitare e che è controllata dal capitale, mentre chi lavora, lo fa per modificare, per portare dei cambiamenti che, naturalmente, non sempre coincidono con i desideri del contraente. Ecco perché si sono avute sempre molte difficoltà a lavorare nel settore industriale e lo psicologo si vedeva limitato e agglutinato in un’operazione che gli era proibita per legge, cioè la psicoterapia. Ciò accade per la restrizione del campo e per la mancanza di chiarezza del campo di lavoro da parte degli incaricati di farlo nelle università.
L’università dovrebbe realizzare un tipo di giornalismo pedagogico chiamato “House organ”[6] per chiarire il compito, i ruoli, le funzioni, ecc.
La Francia sta realizzando qualcosa del genere nelle università, ma solamente la Jugoslavia ha un “House organ” nell’università, con coordinatori in tutti i corsi universitari, e la didattica gruppale è arrivata a prendere l’intero contesto dell’insegnamento.
Noi continuiamo a chiarire i campi di lavoro possibile per lo Psicologo Sociale e per lo Psichiatra Sociale, che devono lavorare non ‘in équipe’, nel senso che gli si dà e che è uno slogan, ma in gruppo. Perché se l’équipe non funziona come gruppo è una cattiva équipe, con compartimenti stagni dove non si coordina il compito nella sua totalità, e dove non si può, allora, crearsi un’ideologia nè dal punto di vista teorico e né dal punto di vista operativo.
Il giorno in cui funziona bene sarà perché si è trasformata in un gruppo. È la stessa cosa che succede con la squadra (équipe) di calcio che, nel momento in cui gioca bene è un gruppo e quando smette di farlo è una squadra (équipe).
Note:
[1] Nello scritto in spagnolo si trova “humos judìo”; “humos” significa “fumi”. Ritengo sia un refuso e che si intendesse “humor judìo”, che ho tradotto con “umorismo ebraico”.
[2] In questo caso, nel testo in spagnolo si trova “sociólogo” ma, nella lezione precedente, la numero 2, si parla di “psicólogo de sillon”, e non di “sociólogo de sillon”. La sostanza, comunque sia, non mi pare cambi granché, però mi sembra più appropriato continuare con “psicólogo de sillon” vista anche la non favorevole posizione di Pichon-Rivière, come esprimeva nella lezione precedente, appunto, verso lo “psicologo di poltrona”.
[3] Il periodo in spagnolo recita “creando la estructura social actual todos los medios de no ocupación en tareas útiles”; non sono riuscito a comprenderne pienamente il senso e dubito che la forma utilizzata ne abbia uno e sia corretta. L’unico modo che ho trovato per dare un senso al periodo, pensando alla possibilità di qualche errore, è stato quello di considerare che al posto di “actual” (attuale) potesse esserci scritto “actuar” (agire), che ho poi modificato in “transformar” (transformare) e prendendomi la licenza di aggiungere “oppure” all’inizio del periodo per rendere più comprensibile il senso.
[4] Nel testo originale si trova “condición”, “condizione”, ma si tratta, con tutta probabilità di un altro refuso: il termine “contraddición”, “contraddizione”, mi pare risolvere bene il senso della frase.
[5] Probabilmente qui, nel testo in spagnolo, si incontra un altro refuso: nel testo veniva riportato “by as”, ma è noto l’utilizzo del termine “bias”, cioè tendenza, distorsione, appunto, nel linguaggio scientifico.
[6] Periodico pubblicato da un'azienda o da un ente per aggiornare il personale sulle attività e sugli obiettivi da raggiungere.
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