TRADOTTI
INTRODUZIONE ALLA TEORIA DELLO SCHEMA CONCETTUALE, DI RIFERIMENTO E OPERATIVO
Lezione dettata dal Dr. Enrique Pichon-Rivière, il 18/04/1966 (Primo anno)
SCUOLA PRIVATA DI PSICHIATRIA SOCIALE - Lezione n. 1
(Il titolo originale dell’articolo, è “Introducciòn a la teorìa del esquema conceptual, referencial y operativo” ed è stato tradotto dallo spagnolo da Lorenzo Sartini)
[Ndt: alcuni passaggi dell'articolo non sono propriamente fluidi e di facile comprensione: anzi, in diversi punti mi sono posto delle domande sul senso del discorso fatto da Enrique Pichon-Rivière durante la lezione rivolta agli/alle alunni/e del primo anno della Scuola Privata di Psichiatria Sociale da lui fondata. I certi limiti di conoscenza della lingua spagnola da parte dell'improvvisato traduttore sono stati messi a dura prova dal fatto che si tratta di appunti della lezione presi da un/a allievo/a del corso. Nonostante in alcuni tratti la lettura sia piuttosto impervia, certamente non rendendone agevole la comprensione, penso che emergano ugualmente stimoli e sollecitazioni piuttosto interessanti. Tra l'altro, penso che un elemento di sicuro interesse sia dato dal fatto che, un documento così compilato, permette anche di immaginare qualcosa dello stile retorico di Pichon.]
Oggi mi sento in un luogo assolutamente confortevole e accogliente, grazie a un compito erculeo, potrei dire, perché il lavoro realizzato qui, grazie alla Dra. Bianchi e al Dr. Tarsitano, è stato veramente erculeo, poiché nel lasso di una settimana si è acquistato e montato tutto questo, per poter continuare con il mio lavoro nelle condizioni più ottimali. Penso che siamo definitivamente sistemati, che smetteremo di essere viaggiatori di commercio o immigrati, vittime di segregazioni o meno.
Il Dr. Teper ha insistito sulla presentazione, sul compito di apprendimento.
Evidentemente non si smette mai di imparare, sopratutto se si insegna, così chi non insegna non apprende, non si arricchisce. Qualcuno può credere che io possa arricchirmi nel senso comune della parola, ma non è il valore del denaro ciò che interessa (anche se interessa), è soprattutto il contatto con voi, che ci portate l’informazione etereogenea e a diversi livelli, diversi aspetti della realtà sociale. Perché qui andiamo a lavorare sull’emergente sociale, non sull’emergente individuale. Dunque, questa è una Scuola di Psichiatria Sociale, che forse in futuro denomineremo Scuola Privata di Psicologia Sociale, per evitare malintesi prodotti dal nome di Scuola di Psichiatria, che fa supporre che il nostro compito sia solamente lo studio dei casi patologici. È soprattutto nella profilassi che i nostri obiettivi convergono con quelli degli operatori sociali, l’ultima fase del nostro obiettivo ed è inutile dirlo agli psicologi, la cui funzione tende, per mancanza di apertura in certi settori, a limitarsi alla terapia come unico sbocco alle proprie necessità di operare per esercitare il loro strumento professionale attraverso la prassi, solo così si trasformerebbe, che lavorano in un’ufficio in affitto in base al loro status di efficenza. Il cosiddetto lavoro in équipe è veramente fallace. Lo psicologo sociale sembra, o gli si esige, una subordinazione al medico, molto meno preparato per una molteplicità di compiti dello psicologo sociale, il quale, per la sua formazione, è più vicino a molteplici campi operativi (gruppi, comunità, istituzioni). Alla fine, lo si dovrà denominare Gruppo di lavoro, dove l’interazione comporta arricchimenti interdisciplinari e dove i membri del gruppo assumono ruoli funzionali. La leadership (guida) funzionale si caratterizza per il fatto che è aggiudicabile; tutto dipende dal momento dell’operazione. Quindi, la leadership è situazionale, strumentale, mobile.
Il materiale deve essere lavorato con la tecnica dei gruppi operativi, si produce così una rialimentazione e la produttività del gruppo di lavoro aumenta per il suo carattere eterogeneo o interdisciplinario in una produzione che non è solo aritmetica ma geometrica. E, alla fine, si raggiunge una integrazione attraverso il sociale, con ruoli situazionali o strumentali in un clima democratico, dove, come sempre, ma ancora di più con questa tecnica, coincidono la ricerca e l’operatività. Durante l’incontro (Medici, Psicologi, Operatori sociali, ecc.) dentro il campo del lavoro concreto (ciascuno ha un ruolo istituzionalizzato, uno status simile), tanto nella diagnosi quanto nella prognosi, nel trattamento e nella profilassi, si potrebbe raggiungere, finalmente, la risoluzione di questa disputa, sterile e bizantina, dietro la quale si nascondono interessi meschini; ma, ciò che è più grave, la comunità, invece di essere campo di lavoro, deve conformarsi rimanendo in coda e assumendo il ruolo di spettatore senza comprendere la rappresentazione alla quale si vede obbligata ad assistere. E condividendo, questa comunità, la fantasia di assistere ad una sessione altamente competitiva configurata più come una lotta (altro malinteso) che come un gruppo che dovrebbe assumere un ruolo operativo (Psicologia concreta) e che ignora le necessità reali e si configura, a sua volta, come un gruppo in difficoltà (di prestigio e di denaro, ruolo, status, terapia).
Nel frattempo aumenta la coda, e l’indice di incertezza o genesi di eventuali difficoltà di adattamento sociale aumenta, insieme alla disillusione (altra fonte di insicurezza). A volte è difficile discriminare quale dei due gruppi, quello che attende o quello che discute, è più malato, meno situato e dove i tre sentimenti basici di ogni gruppo (sentimento di appartenenza, di cooperazione, di pertinenza) sono più perturbati.
Tornando alla nostra scuola, evidentemente la nostra ideologia è l’apprendimento e, insieme a questo, in binomio, in coppia, un ponte indissolubile con la didattica. La nostra didattica differisce completamente dalla didattica classica e, nella misura in cui non differisce, è un prodotto della nostra influenza. Sarebbe a dire che abbiamo creato una ideologia della didattica come gruppo. La didattica è gruppale e interdisciplinaria, può essere dipartimentale, sarebbe il caso di una università, ed è fondata soprattutto sulla dinamica di gruppo, sull’apprendimento in gruppo, sul compito attivo del gruppo. L’apprendimento non segue un corso lineare ma dialettico, cioè una spirale permanente dove c’è uno scambio, un dialogo permanente tra l’alunno e il professore (coordinatore). Credo che quest’anno andremo a realizzare l’ideale che è quello di stabilire una comunicazione molto più efficiente e operativa, la cosiddetta analisi verticale in un’impresa, in grado di connettersi con tutti i livelli e lavorare su ciò che costituisce il nucleo fondamentale che è un’altra corrente della pedagogia attuale, ciò che noi chiamiamo E.C.R.O., ossia lo schema concettuale, di riferimento e operativo che voi apprendete qui.
Se si chiede perché si viene qui, potremmo rispondere che venite qui a comprare un piccolo apparato che si chiama E.C.R.O., dentro cui è incluso e compromesso ciascuno degli operatori con il proprio stile personale. Vuol dire che ciò che insegniamo e che è il nucleo fondamentale, sono universali. Noi insegniamo a pensare in termini psicosociali, voglio dire, di fronte ad un caso determinato, ciò che si apprende qui serve per porsi nel campo stesso del compito, delle possibilità e delle ipotesi che sorgono come interpretazioni, perché ogni interpretazione di un fatto psicologico è un’ipotesi dell’accadere sottostante che la comunità o il soggetto ci pongono. Nella misura in cui possiamo rendere cosciente quella fantasia (il contenuto sottostante) che è implicita e non esplicita, allora questo è il nostro compito. Voglio dire che ci basiamo su un’altra caratteristica della nostra didattica che è la maieutica, nel senso che gli davano i greci, a questo tipo di compito, che è ispirato dal metodo socratico. Attraverso Socrate si può vedere che la buona maniera di insegnare ha come vettore principale l’amore, cioè l’affetto per l’altro, per l’oggetto, un transfert positivo. Diremmo, in termini psicoanalitici, come circola l’informazione e l’apprendimento, per affrontare il problema universale da un punto di vista individuale, gruppale o comunitario e la resistenza al cambiamento.
Un’altra cosa che si può rispondere al perché si viene qui è: imparare a rompere gli stereotipi. Ossia, è la maniera stereotipata, rigida, di pensare, di un sistema arcaico che non risponde alle aspirazioni e né alle aspettative dell’epoca attuale. È importante pensare che l’uomo è definitivamente immerso nella società, che ha interiorizzato il suo mondo e, così come c’è un’ecologia umana, c’è un’ecologia interna umana, il suo habitat è all’interno, dal momento che nell’analisi dei sogni possiamo vedere perfettamente come la trama temporo-spaziale è in relazione con il luogo, con la casa, con il qui e ora, cioè tutto è incluso, le tre dimensioni di presente, passato e futuro, e le posizioni spaziali.
Quello che voi, allora, riceverete qui, è uno schema (ora discuteremo di questo schema) concettuale, nel senso che avrà una serie di universali, non solamente in psicologia individuale, ma tali confini si traspongono al sociale e alla sociologia con facilità. Barriere che sono state costruite dai cospiratori del blocco sostenitore della resistenza al cambiamento individuale e sociale, che separano in un modo così formale e passano la vita cercando di costruire una barriera per evitare che la comunicazione abbia luogo con maggior libertà. Per noi non esistono questi reparti a tenuta stagna, ma sono solo aree di lavoro, campi di lavoro con tecniche specifiche in alcuni casi, per affrontare problemi che sono dati dal numero, dalla quantità degli inclusi nell’operazione, ma che non si differenziano da quelle usate con un individuo in una sessione di psicoterapia. E se enunciamo i vettori sui quali lavoriamo, questi sono: l’apprendimento, la comunicazione e la valutazione con le motivazioni corrispondenti, ciò che applichiamo, esattamente lo stesso, sia nella psicoterapia individuale che nell’analisi di una comunità. Tutto questo è per affrontare il cambiamento, perché il cambiamento comporta perturbazioni, paure, insicurezze, dal momento che l’uomo ha a che fare con l’abbandono delle strutture precedenti, situazione che può essere definita con un detto: meglio un uccello in mano che cento in volo.
La risposta è, quindi, abbandonare le vecchie forme di pensiero che uno già si trova, per cui non entra in conflitto con la società né con gli altri, teme il cambiamento per la perdita di queste strutture e per le nuove strutture che ancora non conosce, e teme i nuovi campi che non è ancora organizzato ad affrontare. L’esempio più tipico sono le baraccopoli. Quello che accade in queste è esattamente uguale alla resistenza di un’analisi individuale; vale a dire, ciò che Freud chiama la resistenza che si oppone a rendere conscio l’inconscio, opera, a livello comunitario, come una resistenza al cambiamento, poiché la gente che viene dall’interno soffre un sentimento di perdita. Per quanto precariamente uno abbia vissuto, ha interiorizzato l’habitat costituito dalla sua casa, dal suo ambiente, dal suo contorno, e nell’affrontare il cambiamento vive una sensazione di disgregazione che provoca un sentimento catastrofico e, dopo, nell’affrontare nuovi cambiamenti, appaiono le paure che sono: la paura della perdita e la paura dell’attacco, che sono le paure che condizionano ogni patologia. Quindi, la perdita è l’abbandono dell’habitat primitivo e l’attacco è il timore della città competitiva e, quanto più è multitudinaria, tanto più la solitudine è maggiore. È il grande paradosso del nostro tempo: quanta più gente ci circonda, più soli ci sentiamo, perché al non essere riconosciuti abbiamo l’esperienza di perdita o di ambiguità della nostra identità, mentre in piccole comunità o in piccoli gruppi accade che tutti si conoscono (amici o nemici).
Quando si lavora con gruppi ristretti li si chiama gruppi faccia a faccia o fianco a fianco, come li chiamano i francesi, ma l’importante è che, nel compito in piccoli gruppi, si osserva che è costituito come indica il suo nome, da una quantità di individui centrati su un compito comune e il numero ottimale calcolato da Kurt Lewin gira intorno ai 10, 20 o 15 membri, che sono le persone che possono abitare in forma differenziata la nostra mente (gruppo interno) e si possono stabilire interrelazioni con essi e tra essi dentro lo spazio interno, coordinati dal nostro essere. Possiamo analizzare in questo modo tutta la teoria del pensiero poiché ha perso o ha ottenuto di sfumare l’oggetto o lo ha fatto sparire per gestirsi meglio strumentalmente. Dietro questa organizzazione che regola le leggi del pensare, ci sono le motivazioni di questo pensare (fantasie inconsce di Melanie Klein).
Nei malati nei quali osserviamo una confusione tra il simbolo e il simbolizzato, creandosi il così chiamato ‘pensiero psicotico’, riappare un tipo di pensiero concreto e magico, nel quale è molto più facile osservare la prestazione di tutto un gruppo della nostra mente, diviso in sottogruppi in conflitto, come, per esempio, sottogruppi generazionali, allora studiamo i conflitti generazionali che impediscono il cambiamento. Quindi non è tanto facile rompere la barriera di resistenza al cambiamento, nonostante esistano tecniche individuali e sociali, e una delle tecniche di comunità è la conoscenza perfetta del luogo e poter elaborare poi una strategia, una tecnica, una tattica, una logistica per poter saltare il muro, introdursi nel contesto del cambiamento, senza timore del fatto che dall’altro lato del muro esistano dei nemici.
La psicologia è stata vittima delle stesse fantasie della Muraglia cinese che, in realtà, fu costruita per i nemici che, come dopo fu dimostrato, non esistevano da questo lato ma dall’altro. Vuol dire che fu un compito tremendo che costò mille vite, occupazioni e preoccupazioni, per una muraglia costruita senza senso, come lo fu la linea Maginot per esempio, che non causarono ai tedeschi che un ritardo di un giorno e costò un sacrificio enorme al popolo francese. Cioè, tutti abbiamo la nostra Maginot inutile, ma si deve scoprirla e sapere come oltrepassarla, e disgraziatamente dobbiamo usare una terminologia militare.
Il momento iniziale, necessario e condiviso da tutta la psicologia, oltre al campo, è l’osservazione, ovverosia ogni tecnica per scoprire indizi che noi, nel nostro campo, utilizziamo per costruire l’interpretazione, perché alla fine dei conti, il paziente è un soggetto la cui trama temporo-spaziale è viziata e perturbata, e ha perso la nozione di distanza, di riconoscimento e di discriminazione, la funzione più operativa all’interno della nostra mente. Sono le sue alterazioni, la confusione portata, l’inizio dei veri stadi psicotici.
Vuol dire che, frequentemente, voi sentirete termini come logistica, che è un termine che confonde un poco perché deriva dal corso di logica e c’è anche una logica matematica, ma, in termini militari, è la valutazione del potere offensivo. In termini terapeutici, il potere operativo dell’operatore e il potere di attacco o resistenza dall’altro, del paziente; cioè, la prognosi di un caso non dipende tanto dal paziente, dalla sua struttura, ma dalla struttura e dall’informazione del terapeuta, se gestisce bene la sua logistica.
Eravamo abituati a considerare che i quadri psicotici fossero più gravi dei nevrotici, che fossero irriducibili alla psicoterapia; Freud stesso, che non analizzò psicotici, che analizzò momenti psicotici nei nevrotici, ma senza la presenza dello psicotico che sicuramente lo angosciava, ha fatto gli studi più profondi della psicosi in analisi applicate. Per esempio, nell’analisi del caso Sever (Schreber, ndt) e nell’analisi della Gradiva, una novella di Jensen. Il tipo di comprensione applicato qui da Freud è il modello di codifica dell’inconscio, attraverso le fantasie, i sogni, l’azione e nella funzione terapeutica eseguita; così anche la sintomatologia della nevrosi, con la sua corrispondente operazione correttiva.
Una delle operazioni che studieremo è quella che determina il tipo di malattia o struttura che voi, fenomenologicamente, dovete imparare a differenziare poiché in un caso si tratta di un’isteria, in un altro di una nevrosi ossessiva, o una schizofrenia. E la tendenza attuale è pianificare la terapia in accordo con le strutture che si presentano nel qui e ora di ciascun caso particolare. Poi, questo aspetto strutturale deve essere conservato per poter differenziare e per poter dialogare con psichiatri di altre correnti; perché se uno parla in termini di contenuto manifesto, evidentemente il dialogo si trasforma in un pezzo di Ionesco o qualcosa del genere e, da lì, l’incomunicabilità, il malinteso che esiste tra psichiatri chiamati classici; ma, in ogni modo, hanno un linguaggio che siamo obbligati a comprendere e, applicando il nostro strumento di lavoro tanto agli psichiatri come ai pazienti, alla fine riusciremo a rendere esplicito l’implicito. E nell’implicito è depositata tutta un’esperienza psichiatrica mai trascurabile, anzi. Questo atteggiamento migliorerebbe considerevolmente le relazioni umane tra psichiatri e psicoanalisti, potendo, i secondi, avvicinare l’esperienza dei primi, e questi, a propria volta, collocarsi con un miglior atteggiamento di fronte alla psicoanalisi.
Il compito dello psichiatra dinamico con formazione sociale, sociologica, è quello di essere capace di comunicare nonostante le difficoltà dell’altro, poter decodificare il suo pensiero, nel livello nel quale l’altro possa codificarlo, non creandosi così il malinteso, situazione universale che è fedelmente riflessa nel pezzo di Camus: “Il malinteso”.
Qui, inciampiamo su uno dei primi universali dell’E.C.R.O., nel quale sono inclusi, come componenti abituali, altri universali quali la paura della perdita, la paura dell’attacco e la resistenza al cambiamento, rappresentazione della Grande Barriera che deve essere tracciata tanto nella comprensione quotidiana quanto in quella terapeutica. Poco a poco andremo a costruire questo apparato concettuale che è l’E.C.R.O., con il quale gestirete tanto la comprensione del processo dell’ammalarsi quanto del processo correttivo o processo terapeutico, poiché se non si comprende l’ammalarsi, molto poco può essere inteso a correggere l’ammalarsi. Voglio dire che la contro-strategia del terapeuta con il malato consiste nell’avere una scala di operazioni simili per contrastare e comprendere la tattica e la strategia di quell’ammalarsi. In termini militari, sarebbe il furto del codice dell’avversario per poter codificare i suoi messaggi. Nel caso del terapeuta, per operare in senso costruttivo, mentre l’altro è negativo. Rubare il codice dell’altro, funzione delle spie e di tutto il servizio di intelligenza, è necessario per ogni operazione bellica, per poter trasmettere e non essere compresi dall’altro (il nemico). Le grandi trappole che si sono fatte nel contesto della teoria della comunicazione erano soprattutto intorno all’esistenza di codici o chiavi. L’uso internazionale del codice scoperto dal nemico era usato tanto per codificare quanto per decodificare messaggi che contribuivano a configurare la situazione ‘trappola’. Mentre nel compito terapeutico accade il contrario, ci sforziamo per costruire un sistema di decodificazione attraverso messaggi che il paziente emette, attraverso i suoi sogni, così come attraverso il linguaggio verbale o corporale, gestuale, ecc. Sono messaggi codificati e, perciò, impliciti, non espliciti, e il compito del terapeuta o del ricercatore sociale consiste nell’indagare o realizzare questo compito attraverso indizi o messaggi emessi dal ‘leader’ del gruppo o della comunità. Qualcuno assume il ruolo di ‘portavoce’ ed è l’incaricato di diffondere questa informazione segreta. Si deve chiarire che questo processo è quasi del tutto inconscio, contando sulla ricettività del portavoce legata alla sua storia e alle sue ideologie personali. Possiamo citare un recente fatto che richiamò molto l’attenzione: il personaggio fu denominato ‘il macellaio’ da uno consociuto umorista. Il fatto è il seguente: un soggetto sale sul cornicione di un alto edificio con la manifesta intenzione di gettarsi, inizia allora la concentrazione di una gran quantità di gente che si divide in due settori. Quelli che cercano di impedire il suicidio e gli altri che lo spingono a gettarsi. Questo personaggio che ha ottenuto un pubblico numeroso (con un atteggiamento francamente esibizionista) realizzava sondaggi di opinione pubblica ogni volta che faceva il gesto di gettarsi. Ciò che cercava di indagare era come sarebbe stato accolto se si presentava, in modo insolito, alla città. Tra le due bande si creò una tensione che culminò in alcuni incidenti personali. Col passare del tempo sono state coinvolte diverse persone con il proposito di dissuaderlo, tra cui un sacerdote, un ipnotizzatore, e un’équipe di psichiatria d’urgenza che fu ostacolata.
Infine, apparirono simboli molto tipici dell’ideologia che era compromessa nell’operazione, tamburi, canti e atteggiamenti che ricordavano modelli di condotta collettivi precedenti. Ciò che facilitò l’esito coincise con la creazione di un clima particolare e l’apparizione di un familiare. In realtà, ‘il macellaio’ aveva raggiunto il suo scopo e scese tranquillamente, venendo applaudito all’uscita dell’edificio. Se era la ripetizione di un modello collettivo precedente, avrebbe dovuto essere rappresentato un altro personaggio di questo modello collettivo. In realtà, ci fu e il ruolo fu assunto dalla sposa del ‘macellaio’, che aveva caratteristiche fisiche, professionali e psicologiche simili al personaggio del primo modello. Così, si completava la ripetizione di un qui e ora significativo dove l’obiettivo era il sondaggio di opinione realizzato non da un ricercatore sociale ma da qualcuno che assunse il ruolo di ‘leader’ e lo rappresentò. Le reazioni del pubblico che corrispondevano a ciò che stava avvenendo, avevano anche le caratteristiche di essere più o meno inconscie. Cioè, non c’era stata una consegna precedente. Questo prova che fu un’emergente naturale e un’esperienza collettiva politica, vissuta e trasmessa in modo subliminale, per mezzo di un sistema di comunicazione latente.
Quindi, questo vuol dire che sono tutti messaggi sociali intensamente cifrati e che, se sono interpretati direttamente in profondità senza dare gli elementi sui quali l’interpretazione si baserà (come con il paziente individuale con il quale si devono fare prima le segnalazioni, l’esplicitazione della comprensione fenomenologica e poi le interpretazioni), non può prodursi l’insight senza questo primo passaggio, cioè senza una comprensione dell’accadere immediato, peché la distanza tra l’implicito e l’esplicito è considerevole quando si tratta di vedere il punto di urgenza (timing). Ogni operazione, dopo, in qualsiasi livello, è rendere esplicito l’implicito, sulla base di ipotesi che il ricercatore realizza formulandole come interpretazioni e misurandole attraverso il nuovo emergente che appare, utilizzando determinati criteri di valutazione: non si tratta di criteri di verità ma di criteri operativi. Le discussioni che possono stabilirsi sul fatto se un’interpretazione sia certa o no possono arrivare ad essere interminabili. La discussione bisogna farla sul piano dell’operatività e sull’apparizione del nuovo emergente, quello nuovo che appare dopo l’interpretazione. Questo costituisce l’unità fondamentale di lavoro che è costituito da: 1) ciò che il paziente o la comunità esprimono nell’emergente di questo momento, di questo qui e ora, 2) l’interpretazione che ricade sull’anteriore (riferito all’emergente, ndt) e 3) il nuovo emergente che sorge dopo come prodotto dell’impatto dell’interpretazione.
Qualsiasi indagine o lavoro scientifico che voi realizziate o leggiate all’interno del contesto delle scienze dell’uomo, che non includa questi tre elementi, non è scientifico. Non sarà possibile fare predizioni che soddisfino pienamente i requisiti delle scienze naturali o degli scienziati della natura, guardiani estremamente gelosi del metodo sperimentale.
Ossia, la psicologia sociale ha sofferto una evoluzione e si trova in pieno sviluppo con il pomposo nome di Psicologia Concreta e, come se ci fosse altro, tanto il campo come il ricercatore sono inclusi in questo processo che si denomina ‘cambiamento’ (resistenza all’ansietà di fronte al cambiamento).
Dove lo possiamo apprezzare con chiarezza è nei sogni, soprattutto nei periodi di confronto con la barriera di resistenza al cambiamento. La teoria dei sogni ha una dimensione sociale enorme e dove essere considerata da questo punto di vista, dove sono sempre inclusi elementi di apprendimento, dal momento che si sono fatte molte scoperte, soprattutto sul terreno della matematica, durante il sonno e il sogno, in cui si stabiliscono nuovi vincoli facilitati da una maggior flessibilità e regressione dell’io.
Nel sonno si può affrontare il cambiamento e questo può manifestarsi in forma di incubo. In ciò si può osservare l’azione delle due paure di base: la paura della perdita e la paura dell’attacco. Si può prendere un criterio di valutazione del compito e scoprire la forma e l’intensità con cui l’io cerca di affrontare nuove dimensioni. Ossia, i processi che regolano il pensiero onirico e quelli della veglia sono analoghi.
Il compito che voi venite a realizzare qui è quello di apprendere le costanti e le possibili variabili collegate con l’E.C.R.O. (schema concettuale, di riferimento e operativo). Questo è un problema fondamentale perché, in questo modo, si può organizzare e insegnare con molta rapidità e profondità, sulla base del binomio inscindibile dell’insegnare e dell’apprendere centrato attorno alla teoria che include sia i piani che i programmi del nucleo fondamentale, emergenti significativi e necessari della nostra epoca, quali i cambiamenti socio-culturali, l’accumulazione del sapere, il progresso della tecnica, le nuove conoscenze sui processi di sviluppo e apprendimento, insieme alla necessità di risolvere i problemi della formazione o informazione di una crescente massa di alunni, per poter adeguare l’azione (action-research, cioè il carattere operativo delle conoscenze) alle crescenti richieste della nostra società.
Negli U.S.A. sorse come risultato di indagini profonde, realizzate proprio nel campo dell’insegnamento, l’idea dei piani e dei programmi del nucleo fondamentale. “L’idea che i piani e i programmi sono l’insieme delle esperienze che la scuola deve fornire agli alunni per raggiungere la loro piena formazione e addestrarli per l’azione operativa e intelligentemente programmata sui problemi fondamentali della società”, questa componente dell’E.C.R.O. (azione operativa), come già insinuammo, implica una concezione dinamica, globale, motivazionale del binomio ‘insegnare-apprendere’, con un carattere strumentale e situazionale tra quelli inclusi nella realtà socioculturale, la relazione tra professore e alunno (transfert, identificazione), degli alunni tra se stessi (didattica gruppale), i contenuti (lo schema concettuale), i metodi (didattica interdisciplinare).
Come si può supporre, i criteri di valutazione dei cambiamenti prodotti negli integranti da ciascun membro del gruppo e dal gruppo nella sua totalità (accumulazione quantitativa dell’informazione) completano la ricerca e le permettono di essere scientifica nella misura in cui si possano fare previsioni.
Quello che cerchiamo di risolvere è l’apparente antinomia tra il particolare (le variabili, il quantitativo) e il generale (l’E.C.R.O., il qualitativo). L’E.C.R.O. è, quindi, il "punto focale" dell’apprendimento generale che ci proponiamo di integrare attraverso le esperienze del gruppo, che permetterano la strumentazione (capacità di conoscenze, abilità, attitudini) indispensabile per fare questo apprendimento con carattere operativo (action-research), per cui, ciò che aveva già segnalato Freud e che Lewin ha rinforzato, ogni ricerca coincide con un’operazione. La prassi (sintesi della teoria e della pratica), strumento di trasformazione dell’uomo per l’uomo, è alla base del metodo di Lewin. Il nostro E.C.R.O. è costituito soprattutto nel suo aspetto genetico, storico e strutturale dalle idee di Freud e Melanie Klein, mentre nell’aspetto sociale e sperimentale ci appoggiamo a Kurt Lewin, il cui metodo sperimentale è doppiamente così: a) è uno sforzo per rendere praticabile la sperimetazione sociologica indagando su piccoli gruppi-testimoni e b) tende ad una nuova forma di sperimentazione “la ricerca attiva” (action-research). Per esempio, riferendosi al gruppo, dice: “sperimentare sui gruppi e organizzarli è lo stesso. È agire sulle realtà sociali per trasformarle (prassi) e considerare, allo stesso tempo, ciascuna fase di questa azione come un’esperienza in sospeso (uno sviluppo in forma di spirale, come diciamo noi) dalla quale si trarranno insegnamenti: a) utili per la scienza in generale (psicologia, sociologia della conoscenza, epistemologia, ecc.) e b) insegnamenti adeguati (operativi), da lì l’uso di questa denominazione per i gruppi che abbiamo descritto, per migliorare la fase di azione che seguirà. Il tutto è configurato in forma di una spirale continua (analisi dialettica di una prassi continua). In definitiva, attraverso la sua teoria delle tre fasi: percezione, trasformazione del percepente, e operazione sul campo proibito, Kurt Lewin tende a combinare azione, trasformazione, sperimentazione e scoperta in una sola operazione, l’action-research o ricerca attiva. In un lavoro sull’operatività dicemmo: “Teoria e pratica si integrano nella prassi concreta, acquisendo questa sua forza operativa nel campo stesso del lavoro, in forma di realizzazioni determinate, seguendo una spirale dialettica”. Quindi, l’E.C.R.O. si trasforma così in uno strumento di lavoro di ciascun membro del gruppo nella sua interazione gruppale pianificata. Tornando, infine, al piano e al programma del nucleo fondamentale, queste due dimensioni costituiscono, a loro volta, un’altra unità inseparabile, contesto in forma di costanti e variabili dell’E.C.R.O. che si integrano e si complementano.
Riferendoci specificamente alla nostra Scuola Privata e seguendo le parole di Faunce e Bossing possiamo definire che il piano consiste in tutte le esperienze che l’alunno ha sotto la direzione della scuola; e Anderson, partendo da questa interpretazione del piano del nucleo fondamentale, e segnalando le differenze con altri piani, dà un avvertimento molto significativo nel quale include il coraggio necessario per ogni ricerca e per le sue conseguenze. Forse il prezzo è abbastanza alto perché, se consideriamo la riforma del piano da questo punto di vista, rischiamo molto più che se la consideriamo una semplice modifica sulla carta. Implica il riformare noi stessi, riformare le nostre relazioni con gli altri, le nostre scale di valori, le nostre maniere di lavorare, cioè, operiamo con i fattori più importanti nel profilo dell’alunno.
Dalla costruzione di questo E.C.R.O., che possiamo idealizzare come fa il ladro con il suo grimaldello, possiamo ritrovarci nella situazione descritta da Porchia in una delle sue voci: “Se mi apri una porta, entro e mi trovo con cento porte chiuse”. E quando si tratta dello stato d’animo del ricercatore lo esemplifichiamo con un’altra voce: “Chi ha visto vuotarsi quasi tutto sa di che cosa si riempie tutto”. Voce che si completa con la seguente, in quanto alla consocenza di se stessi, che è lo strumento con il quale si opera; Porchia dice: “Prima di percorrere il mio cammino, io ero il mio cammino”. E l’ultimo sforzo richiesto al ricercatore durante la valutazione del compito con il proposito di placare le proprie ansie sarebbe il farsi carico del pessimismo del poeta quando dice: “La verità ha pochissimi amici e quelli che ha sono suicidi”.
Ora, oltre che psichiatri e psicoanalisti si deve essere psicologi. Questo significa che si deve avere la capacità di comprendere in un’immediatezza continua ciò che costituisce la psicologia della vita quotidiana (psicologia volgare), come nei gruppi operativi è necessario partire dalla conoscenza scientifica, passaggio che, se non si realizza, costituisce una resistenza al cambiamento, come una barriera che tende a frammentare l’esperienza concreta. Perché tutta la “saggezza” nascosta dentro al sapere popolare, sommata al sapere incluso nella formazione, ci presenta il compito di decodificare le strutture e le articolazioni.
Citeremo come prototipo di difficoltà un solo esempio che, solitamente, costituisce una prova di fuoco per lo psichiatra, qualunque sia la sua esperienza, mentre non è noto come, finora, l’azione di un meccanismo di difesa, forse il più impenetrabile, sia stato studiato solo da noi. Si tratta dello psicopatico, meglio chiamato sociopatico, perché le caratteristiche dell’emergente sociale e le funzioni di leadership e di intervento sono tutte troppo complesse. Consideriamo che questo meccanismo è universale e costituisce il nucleo di ogni psicopatia. Si tratta della difesa cinica (confusa molto spesso con la difesa maniacale). Si tratta di una scissione della personalità con un blocco intenso degli affetti, una reificazione dei vincoli come conseguenza, con una strumentalizzazione macchiavellica di questi. Tutto questo insieme di tecniche dell’io può essere studiato in Macchiavelli, soprattutto attraverso la sua opera “Il principe”, che con il suo cinismo e la sua raccomandazione alla spregiudicatezza, si è convertito nella personificazione del macchiavellismo.
È curioso che in un’altra delle sue opere più importanti “Discorso sui primi dieci libri di Tito Livio” appare come difensore del diritto alla libertà e della partecipazione del popolo nel governo. Fu, senza dubbio, un patriota italiano, fondamentalmente repubblicano, e vide, come unica possibilità di unione tra i diversi stati italiani, l’uso della violenza, incurante di qualsiasi scrupolo, per mezzo di qualche principe forte. Non raccomandava al “principe” solo l’uso della violenza in politica interna, ma anche a barare apertamente, la rottura dei trattati e, date in pegno le parole, i tradimenti, gli intrighi, l’ipocrisia e l’omicidio politico: “gli uomini sono, in generale, ingrati e incostanti, ipocriti, codardi desiderosi di guadagno”. Continuando a citare Macchiavelli, egli dice: “i politici possono essere classificati in leoni e volpi, il principe deve essere entrambi in una volta, poiché gli uomini sono cattivi per natura e non rimarranno fedeli, egli non dovrebbe essere fedele a loro. Tuttavia non sono mancate a nessun principe ragioni legittime per nascondere la propria infelicità”. Nel paragrafo seguente, Macchiavelli sintetizza il suo pensiero che, applicato alla situazione psicoterapeutica, risulta nella seguente maniera: “Anche il principe (il sociopatico) dovrà essere ipocrita esperto nell’arte della simulazione poiché gli uomini (gli psicoterapeuti) sono così sciocchi e perseguono la necessità del momento (gli onorari) che all’impostore (lo psicopatico) mai mancheranno le vittime (nuovi psicoterapeuti)”. Ciò che Macchiavelli vuole segnalare qui, come portavoce del principe (dello psicopatico), è che questi ha come compito fondamentale la relazione psicoterapeutica, di scoprire il tallone d’Achille del suo psicoterapeuta, scaricando la sua ostilità su questo punto, provocando controtransferalmente nello psicoterapeuta un tale stato di confusione, insicurezza o incertezza da arrivare a renderlo impotente. Il compito psicoterapeutico si è trasformato in come disfarsi dello psicopatico. Qui, vi mostriamo un esempio di una particolare ideologia di una struttura mentale patologica.
SCUOLA PRIVATA DI PSICHIATRIA SOCIALE - Lezione n. 1
(Il titolo originale dell’articolo, è “Introducciòn a la teorìa del esquema conceptual, referencial y operativo” ed è stato tradotto dallo spagnolo da Lorenzo Sartini)
[Ndt: alcuni passaggi dell'articolo non sono propriamente fluidi e di facile comprensione: anzi, in diversi punti mi sono posto delle domande sul senso del discorso fatto da Enrique Pichon-Rivière durante la lezione rivolta agli/alle alunni/e del primo anno della Scuola Privata di Psichiatria Sociale da lui fondata. I certi limiti di conoscenza della lingua spagnola da parte dell'improvvisato traduttore sono stati messi a dura prova dal fatto che si tratta di appunti della lezione presi da un/a allievo/a del corso. Nonostante in alcuni tratti la lettura sia piuttosto impervia, certamente non rendendone agevole la comprensione, penso che emergano ugualmente stimoli e sollecitazioni piuttosto interessanti. Tra l'altro, penso che un elemento di sicuro interesse sia dato dal fatto che, un documento così compilato, permette anche di immaginare qualcosa dello stile retorico di Pichon.]
Oggi mi sento in un luogo assolutamente confortevole e accogliente, grazie a un compito erculeo, potrei dire, perché il lavoro realizzato qui, grazie alla Dra. Bianchi e al Dr. Tarsitano, è stato veramente erculeo, poiché nel lasso di una settimana si è acquistato e montato tutto questo, per poter continuare con il mio lavoro nelle condizioni più ottimali. Penso che siamo definitivamente sistemati, che smetteremo di essere viaggiatori di commercio o immigrati, vittime di segregazioni o meno.
Il Dr. Teper ha insistito sulla presentazione, sul compito di apprendimento.
Evidentemente non si smette mai di imparare, sopratutto se si insegna, così chi non insegna non apprende, non si arricchisce. Qualcuno può credere che io possa arricchirmi nel senso comune della parola, ma non è il valore del denaro ciò che interessa (anche se interessa), è soprattutto il contatto con voi, che ci portate l’informazione etereogenea e a diversi livelli, diversi aspetti della realtà sociale. Perché qui andiamo a lavorare sull’emergente sociale, non sull’emergente individuale. Dunque, questa è una Scuola di Psichiatria Sociale, che forse in futuro denomineremo Scuola Privata di Psicologia Sociale, per evitare malintesi prodotti dal nome di Scuola di Psichiatria, che fa supporre che il nostro compito sia solamente lo studio dei casi patologici. È soprattutto nella profilassi che i nostri obiettivi convergono con quelli degli operatori sociali, l’ultima fase del nostro obiettivo ed è inutile dirlo agli psicologi, la cui funzione tende, per mancanza di apertura in certi settori, a limitarsi alla terapia come unico sbocco alle proprie necessità di operare per esercitare il loro strumento professionale attraverso la prassi, solo così si trasformerebbe, che lavorano in un’ufficio in affitto in base al loro status di efficenza. Il cosiddetto lavoro in équipe è veramente fallace. Lo psicologo sociale sembra, o gli si esige, una subordinazione al medico, molto meno preparato per una molteplicità di compiti dello psicologo sociale, il quale, per la sua formazione, è più vicino a molteplici campi operativi (gruppi, comunità, istituzioni). Alla fine, lo si dovrà denominare Gruppo di lavoro, dove l’interazione comporta arricchimenti interdisciplinari e dove i membri del gruppo assumono ruoli funzionali. La leadership (guida) funzionale si caratterizza per il fatto che è aggiudicabile; tutto dipende dal momento dell’operazione. Quindi, la leadership è situazionale, strumentale, mobile.
Il materiale deve essere lavorato con la tecnica dei gruppi operativi, si produce così una rialimentazione e la produttività del gruppo di lavoro aumenta per il suo carattere eterogeneo o interdisciplinario in una produzione che non è solo aritmetica ma geometrica. E, alla fine, si raggiunge una integrazione attraverso il sociale, con ruoli situazionali o strumentali in un clima democratico, dove, come sempre, ma ancora di più con questa tecnica, coincidono la ricerca e l’operatività. Durante l’incontro (Medici, Psicologi, Operatori sociali, ecc.) dentro il campo del lavoro concreto (ciascuno ha un ruolo istituzionalizzato, uno status simile), tanto nella diagnosi quanto nella prognosi, nel trattamento e nella profilassi, si potrebbe raggiungere, finalmente, la risoluzione di questa disputa, sterile e bizantina, dietro la quale si nascondono interessi meschini; ma, ciò che è più grave, la comunità, invece di essere campo di lavoro, deve conformarsi rimanendo in coda e assumendo il ruolo di spettatore senza comprendere la rappresentazione alla quale si vede obbligata ad assistere. E condividendo, questa comunità, la fantasia di assistere ad una sessione altamente competitiva configurata più come una lotta (altro malinteso) che come un gruppo che dovrebbe assumere un ruolo operativo (Psicologia concreta) e che ignora le necessità reali e si configura, a sua volta, come un gruppo in difficoltà (di prestigio e di denaro, ruolo, status, terapia).
Nel frattempo aumenta la coda, e l’indice di incertezza o genesi di eventuali difficoltà di adattamento sociale aumenta, insieme alla disillusione (altra fonte di insicurezza). A volte è difficile discriminare quale dei due gruppi, quello che attende o quello che discute, è più malato, meno situato e dove i tre sentimenti basici di ogni gruppo (sentimento di appartenenza, di cooperazione, di pertinenza) sono più perturbati.
Tornando alla nostra scuola, evidentemente la nostra ideologia è l’apprendimento e, insieme a questo, in binomio, in coppia, un ponte indissolubile con la didattica. La nostra didattica differisce completamente dalla didattica classica e, nella misura in cui non differisce, è un prodotto della nostra influenza. Sarebbe a dire che abbiamo creato una ideologia della didattica come gruppo. La didattica è gruppale e interdisciplinaria, può essere dipartimentale, sarebbe il caso di una università, ed è fondata soprattutto sulla dinamica di gruppo, sull’apprendimento in gruppo, sul compito attivo del gruppo. L’apprendimento non segue un corso lineare ma dialettico, cioè una spirale permanente dove c’è uno scambio, un dialogo permanente tra l’alunno e il professore (coordinatore). Credo che quest’anno andremo a realizzare l’ideale che è quello di stabilire una comunicazione molto più efficiente e operativa, la cosiddetta analisi verticale in un’impresa, in grado di connettersi con tutti i livelli e lavorare su ciò che costituisce il nucleo fondamentale che è un’altra corrente della pedagogia attuale, ciò che noi chiamiamo E.C.R.O., ossia lo schema concettuale, di riferimento e operativo che voi apprendete qui.
Se si chiede perché si viene qui, potremmo rispondere che venite qui a comprare un piccolo apparato che si chiama E.C.R.O., dentro cui è incluso e compromesso ciascuno degli operatori con il proprio stile personale. Vuol dire che ciò che insegniamo e che è il nucleo fondamentale, sono universali. Noi insegniamo a pensare in termini psicosociali, voglio dire, di fronte ad un caso determinato, ciò che si apprende qui serve per porsi nel campo stesso del compito, delle possibilità e delle ipotesi che sorgono come interpretazioni, perché ogni interpretazione di un fatto psicologico è un’ipotesi dell’accadere sottostante che la comunità o il soggetto ci pongono. Nella misura in cui possiamo rendere cosciente quella fantasia (il contenuto sottostante) che è implicita e non esplicita, allora questo è il nostro compito. Voglio dire che ci basiamo su un’altra caratteristica della nostra didattica che è la maieutica, nel senso che gli davano i greci, a questo tipo di compito, che è ispirato dal metodo socratico. Attraverso Socrate si può vedere che la buona maniera di insegnare ha come vettore principale l’amore, cioè l’affetto per l’altro, per l’oggetto, un transfert positivo. Diremmo, in termini psicoanalitici, come circola l’informazione e l’apprendimento, per affrontare il problema universale da un punto di vista individuale, gruppale o comunitario e la resistenza al cambiamento.
Un’altra cosa che si può rispondere al perché si viene qui è: imparare a rompere gli stereotipi. Ossia, è la maniera stereotipata, rigida, di pensare, di un sistema arcaico che non risponde alle aspirazioni e né alle aspettative dell’epoca attuale. È importante pensare che l’uomo è definitivamente immerso nella società, che ha interiorizzato il suo mondo e, così come c’è un’ecologia umana, c’è un’ecologia interna umana, il suo habitat è all’interno, dal momento che nell’analisi dei sogni possiamo vedere perfettamente come la trama temporo-spaziale è in relazione con il luogo, con la casa, con il qui e ora, cioè tutto è incluso, le tre dimensioni di presente, passato e futuro, e le posizioni spaziali.
Quello che voi, allora, riceverete qui, è uno schema (ora discuteremo di questo schema) concettuale, nel senso che avrà una serie di universali, non solamente in psicologia individuale, ma tali confini si traspongono al sociale e alla sociologia con facilità. Barriere che sono state costruite dai cospiratori del blocco sostenitore della resistenza al cambiamento individuale e sociale, che separano in un modo così formale e passano la vita cercando di costruire una barriera per evitare che la comunicazione abbia luogo con maggior libertà. Per noi non esistono questi reparti a tenuta stagna, ma sono solo aree di lavoro, campi di lavoro con tecniche specifiche in alcuni casi, per affrontare problemi che sono dati dal numero, dalla quantità degli inclusi nell’operazione, ma che non si differenziano da quelle usate con un individuo in una sessione di psicoterapia. E se enunciamo i vettori sui quali lavoriamo, questi sono: l’apprendimento, la comunicazione e la valutazione con le motivazioni corrispondenti, ciò che applichiamo, esattamente lo stesso, sia nella psicoterapia individuale che nell’analisi di una comunità. Tutto questo è per affrontare il cambiamento, perché il cambiamento comporta perturbazioni, paure, insicurezze, dal momento che l’uomo ha a che fare con l’abbandono delle strutture precedenti, situazione che può essere definita con un detto: meglio un uccello in mano che cento in volo.
La risposta è, quindi, abbandonare le vecchie forme di pensiero che uno già si trova, per cui non entra in conflitto con la società né con gli altri, teme il cambiamento per la perdita di queste strutture e per le nuove strutture che ancora non conosce, e teme i nuovi campi che non è ancora organizzato ad affrontare. L’esempio più tipico sono le baraccopoli. Quello che accade in queste è esattamente uguale alla resistenza di un’analisi individuale; vale a dire, ciò che Freud chiama la resistenza che si oppone a rendere conscio l’inconscio, opera, a livello comunitario, come una resistenza al cambiamento, poiché la gente che viene dall’interno soffre un sentimento di perdita. Per quanto precariamente uno abbia vissuto, ha interiorizzato l’habitat costituito dalla sua casa, dal suo ambiente, dal suo contorno, e nell’affrontare il cambiamento vive una sensazione di disgregazione che provoca un sentimento catastrofico e, dopo, nell’affrontare nuovi cambiamenti, appaiono le paure che sono: la paura della perdita e la paura dell’attacco, che sono le paure che condizionano ogni patologia. Quindi, la perdita è l’abbandono dell’habitat primitivo e l’attacco è il timore della città competitiva e, quanto più è multitudinaria, tanto più la solitudine è maggiore. È il grande paradosso del nostro tempo: quanta più gente ci circonda, più soli ci sentiamo, perché al non essere riconosciuti abbiamo l’esperienza di perdita o di ambiguità della nostra identità, mentre in piccole comunità o in piccoli gruppi accade che tutti si conoscono (amici o nemici).
Quando si lavora con gruppi ristretti li si chiama gruppi faccia a faccia o fianco a fianco, come li chiamano i francesi, ma l’importante è che, nel compito in piccoli gruppi, si osserva che è costituito come indica il suo nome, da una quantità di individui centrati su un compito comune e il numero ottimale calcolato da Kurt Lewin gira intorno ai 10, 20 o 15 membri, che sono le persone che possono abitare in forma differenziata la nostra mente (gruppo interno) e si possono stabilire interrelazioni con essi e tra essi dentro lo spazio interno, coordinati dal nostro essere. Possiamo analizzare in questo modo tutta la teoria del pensiero poiché ha perso o ha ottenuto di sfumare l’oggetto o lo ha fatto sparire per gestirsi meglio strumentalmente. Dietro questa organizzazione che regola le leggi del pensare, ci sono le motivazioni di questo pensare (fantasie inconsce di Melanie Klein).
Nei malati nei quali osserviamo una confusione tra il simbolo e il simbolizzato, creandosi il così chiamato ‘pensiero psicotico’, riappare un tipo di pensiero concreto e magico, nel quale è molto più facile osservare la prestazione di tutto un gruppo della nostra mente, diviso in sottogruppi in conflitto, come, per esempio, sottogruppi generazionali, allora studiamo i conflitti generazionali che impediscono il cambiamento. Quindi non è tanto facile rompere la barriera di resistenza al cambiamento, nonostante esistano tecniche individuali e sociali, e una delle tecniche di comunità è la conoscenza perfetta del luogo e poter elaborare poi una strategia, una tecnica, una tattica, una logistica per poter saltare il muro, introdursi nel contesto del cambiamento, senza timore del fatto che dall’altro lato del muro esistano dei nemici.
La psicologia è stata vittima delle stesse fantasie della Muraglia cinese che, in realtà, fu costruita per i nemici che, come dopo fu dimostrato, non esistevano da questo lato ma dall’altro. Vuol dire che fu un compito tremendo che costò mille vite, occupazioni e preoccupazioni, per una muraglia costruita senza senso, come lo fu la linea Maginot per esempio, che non causarono ai tedeschi che un ritardo di un giorno e costò un sacrificio enorme al popolo francese. Cioè, tutti abbiamo la nostra Maginot inutile, ma si deve scoprirla e sapere come oltrepassarla, e disgraziatamente dobbiamo usare una terminologia militare.
Il momento iniziale, necessario e condiviso da tutta la psicologia, oltre al campo, è l’osservazione, ovverosia ogni tecnica per scoprire indizi che noi, nel nostro campo, utilizziamo per costruire l’interpretazione, perché alla fine dei conti, il paziente è un soggetto la cui trama temporo-spaziale è viziata e perturbata, e ha perso la nozione di distanza, di riconoscimento e di discriminazione, la funzione più operativa all’interno della nostra mente. Sono le sue alterazioni, la confusione portata, l’inizio dei veri stadi psicotici.
Vuol dire che, frequentemente, voi sentirete termini come logistica, che è un termine che confonde un poco perché deriva dal corso di logica e c’è anche una logica matematica, ma, in termini militari, è la valutazione del potere offensivo. In termini terapeutici, il potere operativo dell’operatore e il potere di attacco o resistenza dall’altro, del paziente; cioè, la prognosi di un caso non dipende tanto dal paziente, dalla sua struttura, ma dalla struttura e dall’informazione del terapeuta, se gestisce bene la sua logistica.
Eravamo abituati a considerare che i quadri psicotici fossero più gravi dei nevrotici, che fossero irriducibili alla psicoterapia; Freud stesso, che non analizzò psicotici, che analizzò momenti psicotici nei nevrotici, ma senza la presenza dello psicotico che sicuramente lo angosciava, ha fatto gli studi più profondi della psicosi in analisi applicate. Per esempio, nell’analisi del caso Sever (Schreber, ndt) e nell’analisi della Gradiva, una novella di Jensen. Il tipo di comprensione applicato qui da Freud è il modello di codifica dell’inconscio, attraverso le fantasie, i sogni, l’azione e nella funzione terapeutica eseguita; così anche la sintomatologia della nevrosi, con la sua corrispondente operazione correttiva.
Una delle operazioni che studieremo è quella che determina il tipo di malattia o struttura che voi, fenomenologicamente, dovete imparare a differenziare poiché in un caso si tratta di un’isteria, in un altro di una nevrosi ossessiva, o una schizofrenia. E la tendenza attuale è pianificare la terapia in accordo con le strutture che si presentano nel qui e ora di ciascun caso particolare. Poi, questo aspetto strutturale deve essere conservato per poter differenziare e per poter dialogare con psichiatri di altre correnti; perché se uno parla in termini di contenuto manifesto, evidentemente il dialogo si trasforma in un pezzo di Ionesco o qualcosa del genere e, da lì, l’incomunicabilità, il malinteso che esiste tra psichiatri chiamati classici; ma, in ogni modo, hanno un linguaggio che siamo obbligati a comprendere e, applicando il nostro strumento di lavoro tanto agli psichiatri come ai pazienti, alla fine riusciremo a rendere esplicito l’implicito. E nell’implicito è depositata tutta un’esperienza psichiatrica mai trascurabile, anzi. Questo atteggiamento migliorerebbe considerevolmente le relazioni umane tra psichiatri e psicoanalisti, potendo, i secondi, avvicinare l’esperienza dei primi, e questi, a propria volta, collocarsi con un miglior atteggiamento di fronte alla psicoanalisi.
Il compito dello psichiatra dinamico con formazione sociale, sociologica, è quello di essere capace di comunicare nonostante le difficoltà dell’altro, poter decodificare il suo pensiero, nel livello nel quale l’altro possa codificarlo, non creandosi così il malinteso, situazione universale che è fedelmente riflessa nel pezzo di Camus: “Il malinteso”.
Qui, inciampiamo su uno dei primi universali dell’E.C.R.O., nel quale sono inclusi, come componenti abituali, altri universali quali la paura della perdita, la paura dell’attacco e la resistenza al cambiamento, rappresentazione della Grande Barriera che deve essere tracciata tanto nella comprensione quotidiana quanto in quella terapeutica. Poco a poco andremo a costruire questo apparato concettuale che è l’E.C.R.O., con il quale gestirete tanto la comprensione del processo dell’ammalarsi quanto del processo correttivo o processo terapeutico, poiché se non si comprende l’ammalarsi, molto poco può essere inteso a correggere l’ammalarsi. Voglio dire che la contro-strategia del terapeuta con il malato consiste nell’avere una scala di operazioni simili per contrastare e comprendere la tattica e la strategia di quell’ammalarsi. In termini militari, sarebbe il furto del codice dell’avversario per poter codificare i suoi messaggi. Nel caso del terapeuta, per operare in senso costruttivo, mentre l’altro è negativo. Rubare il codice dell’altro, funzione delle spie e di tutto il servizio di intelligenza, è necessario per ogni operazione bellica, per poter trasmettere e non essere compresi dall’altro (il nemico). Le grandi trappole che si sono fatte nel contesto della teoria della comunicazione erano soprattutto intorno all’esistenza di codici o chiavi. L’uso internazionale del codice scoperto dal nemico era usato tanto per codificare quanto per decodificare messaggi che contribuivano a configurare la situazione ‘trappola’. Mentre nel compito terapeutico accade il contrario, ci sforziamo per costruire un sistema di decodificazione attraverso messaggi che il paziente emette, attraverso i suoi sogni, così come attraverso il linguaggio verbale o corporale, gestuale, ecc. Sono messaggi codificati e, perciò, impliciti, non espliciti, e il compito del terapeuta o del ricercatore sociale consiste nell’indagare o realizzare questo compito attraverso indizi o messaggi emessi dal ‘leader’ del gruppo o della comunità. Qualcuno assume il ruolo di ‘portavoce’ ed è l’incaricato di diffondere questa informazione segreta. Si deve chiarire che questo processo è quasi del tutto inconscio, contando sulla ricettività del portavoce legata alla sua storia e alle sue ideologie personali. Possiamo citare un recente fatto che richiamò molto l’attenzione: il personaggio fu denominato ‘il macellaio’ da uno consociuto umorista. Il fatto è il seguente: un soggetto sale sul cornicione di un alto edificio con la manifesta intenzione di gettarsi, inizia allora la concentrazione di una gran quantità di gente che si divide in due settori. Quelli che cercano di impedire il suicidio e gli altri che lo spingono a gettarsi. Questo personaggio che ha ottenuto un pubblico numeroso (con un atteggiamento francamente esibizionista) realizzava sondaggi di opinione pubblica ogni volta che faceva il gesto di gettarsi. Ciò che cercava di indagare era come sarebbe stato accolto se si presentava, in modo insolito, alla città. Tra le due bande si creò una tensione che culminò in alcuni incidenti personali. Col passare del tempo sono state coinvolte diverse persone con il proposito di dissuaderlo, tra cui un sacerdote, un ipnotizzatore, e un’équipe di psichiatria d’urgenza che fu ostacolata.
Infine, apparirono simboli molto tipici dell’ideologia che era compromessa nell’operazione, tamburi, canti e atteggiamenti che ricordavano modelli di condotta collettivi precedenti. Ciò che facilitò l’esito coincise con la creazione di un clima particolare e l’apparizione di un familiare. In realtà, ‘il macellaio’ aveva raggiunto il suo scopo e scese tranquillamente, venendo applaudito all’uscita dell’edificio. Se era la ripetizione di un modello collettivo precedente, avrebbe dovuto essere rappresentato un altro personaggio di questo modello collettivo. In realtà, ci fu e il ruolo fu assunto dalla sposa del ‘macellaio’, che aveva caratteristiche fisiche, professionali e psicologiche simili al personaggio del primo modello. Così, si completava la ripetizione di un qui e ora significativo dove l’obiettivo era il sondaggio di opinione realizzato non da un ricercatore sociale ma da qualcuno che assunse il ruolo di ‘leader’ e lo rappresentò. Le reazioni del pubblico che corrispondevano a ciò che stava avvenendo, avevano anche le caratteristiche di essere più o meno inconscie. Cioè, non c’era stata una consegna precedente. Questo prova che fu un’emergente naturale e un’esperienza collettiva politica, vissuta e trasmessa in modo subliminale, per mezzo di un sistema di comunicazione latente.
Quindi, questo vuol dire che sono tutti messaggi sociali intensamente cifrati e che, se sono interpretati direttamente in profondità senza dare gli elementi sui quali l’interpretazione si baserà (come con il paziente individuale con il quale si devono fare prima le segnalazioni, l’esplicitazione della comprensione fenomenologica e poi le interpretazioni), non può prodursi l’insight senza questo primo passaggio, cioè senza una comprensione dell’accadere immediato, peché la distanza tra l’implicito e l’esplicito è considerevole quando si tratta di vedere il punto di urgenza (timing). Ogni operazione, dopo, in qualsiasi livello, è rendere esplicito l’implicito, sulla base di ipotesi che il ricercatore realizza formulandole come interpretazioni e misurandole attraverso il nuovo emergente che appare, utilizzando determinati criteri di valutazione: non si tratta di criteri di verità ma di criteri operativi. Le discussioni che possono stabilirsi sul fatto se un’interpretazione sia certa o no possono arrivare ad essere interminabili. La discussione bisogna farla sul piano dell’operatività e sull’apparizione del nuovo emergente, quello nuovo che appare dopo l’interpretazione. Questo costituisce l’unità fondamentale di lavoro che è costituito da: 1) ciò che il paziente o la comunità esprimono nell’emergente di questo momento, di questo qui e ora, 2) l’interpretazione che ricade sull’anteriore (riferito all’emergente, ndt) e 3) il nuovo emergente che sorge dopo come prodotto dell’impatto dell’interpretazione.
Qualsiasi indagine o lavoro scientifico che voi realizziate o leggiate all’interno del contesto delle scienze dell’uomo, che non includa questi tre elementi, non è scientifico. Non sarà possibile fare predizioni che soddisfino pienamente i requisiti delle scienze naturali o degli scienziati della natura, guardiani estremamente gelosi del metodo sperimentale.
Ossia, la psicologia sociale ha sofferto una evoluzione e si trova in pieno sviluppo con il pomposo nome di Psicologia Concreta e, come se ci fosse altro, tanto il campo come il ricercatore sono inclusi in questo processo che si denomina ‘cambiamento’ (resistenza all’ansietà di fronte al cambiamento).
Dove lo possiamo apprezzare con chiarezza è nei sogni, soprattutto nei periodi di confronto con la barriera di resistenza al cambiamento. La teoria dei sogni ha una dimensione sociale enorme e dove essere considerata da questo punto di vista, dove sono sempre inclusi elementi di apprendimento, dal momento che si sono fatte molte scoperte, soprattutto sul terreno della matematica, durante il sonno e il sogno, in cui si stabiliscono nuovi vincoli facilitati da una maggior flessibilità e regressione dell’io.
Nel sonno si può affrontare il cambiamento e questo può manifestarsi in forma di incubo. In ciò si può osservare l’azione delle due paure di base: la paura della perdita e la paura dell’attacco. Si può prendere un criterio di valutazione del compito e scoprire la forma e l’intensità con cui l’io cerca di affrontare nuove dimensioni. Ossia, i processi che regolano il pensiero onirico e quelli della veglia sono analoghi.
Il compito che voi venite a realizzare qui è quello di apprendere le costanti e le possibili variabili collegate con l’E.C.R.O. (schema concettuale, di riferimento e operativo). Questo è un problema fondamentale perché, in questo modo, si può organizzare e insegnare con molta rapidità e profondità, sulla base del binomio inscindibile dell’insegnare e dell’apprendere centrato attorno alla teoria che include sia i piani che i programmi del nucleo fondamentale, emergenti significativi e necessari della nostra epoca, quali i cambiamenti socio-culturali, l’accumulazione del sapere, il progresso della tecnica, le nuove conoscenze sui processi di sviluppo e apprendimento, insieme alla necessità di risolvere i problemi della formazione o informazione di una crescente massa di alunni, per poter adeguare l’azione (action-research, cioè il carattere operativo delle conoscenze) alle crescenti richieste della nostra società.
Negli U.S.A. sorse come risultato di indagini profonde, realizzate proprio nel campo dell’insegnamento, l’idea dei piani e dei programmi del nucleo fondamentale. “L’idea che i piani e i programmi sono l’insieme delle esperienze che la scuola deve fornire agli alunni per raggiungere la loro piena formazione e addestrarli per l’azione operativa e intelligentemente programmata sui problemi fondamentali della società”, questa componente dell’E.C.R.O. (azione operativa), come già insinuammo, implica una concezione dinamica, globale, motivazionale del binomio ‘insegnare-apprendere’, con un carattere strumentale e situazionale tra quelli inclusi nella realtà socioculturale, la relazione tra professore e alunno (transfert, identificazione), degli alunni tra se stessi (didattica gruppale), i contenuti (lo schema concettuale), i metodi (didattica interdisciplinare).
Come si può supporre, i criteri di valutazione dei cambiamenti prodotti negli integranti da ciascun membro del gruppo e dal gruppo nella sua totalità (accumulazione quantitativa dell’informazione) completano la ricerca e le permettono di essere scientifica nella misura in cui si possano fare previsioni.
Quello che cerchiamo di risolvere è l’apparente antinomia tra il particolare (le variabili, il quantitativo) e il generale (l’E.C.R.O., il qualitativo). L’E.C.R.O. è, quindi, il "punto focale" dell’apprendimento generale che ci proponiamo di integrare attraverso le esperienze del gruppo, che permetterano la strumentazione (capacità di conoscenze, abilità, attitudini) indispensabile per fare questo apprendimento con carattere operativo (action-research), per cui, ciò che aveva già segnalato Freud e che Lewin ha rinforzato, ogni ricerca coincide con un’operazione. La prassi (sintesi della teoria e della pratica), strumento di trasformazione dell’uomo per l’uomo, è alla base del metodo di Lewin. Il nostro E.C.R.O. è costituito soprattutto nel suo aspetto genetico, storico e strutturale dalle idee di Freud e Melanie Klein, mentre nell’aspetto sociale e sperimentale ci appoggiamo a Kurt Lewin, il cui metodo sperimentale è doppiamente così: a) è uno sforzo per rendere praticabile la sperimetazione sociologica indagando su piccoli gruppi-testimoni e b) tende ad una nuova forma di sperimentazione “la ricerca attiva” (action-research). Per esempio, riferendosi al gruppo, dice: “sperimentare sui gruppi e organizzarli è lo stesso. È agire sulle realtà sociali per trasformarle (prassi) e considerare, allo stesso tempo, ciascuna fase di questa azione come un’esperienza in sospeso (uno sviluppo in forma di spirale, come diciamo noi) dalla quale si trarranno insegnamenti: a) utili per la scienza in generale (psicologia, sociologia della conoscenza, epistemologia, ecc.) e b) insegnamenti adeguati (operativi), da lì l’uso di questa denominazione per i gruppi che abbiamo descritto, per migliorare la fase di azione che seguirà. Il tutto è configurato in forma di una spirale continua (analisi dialettica di una prassi continua). In definitiva, attraverso la sua teoria delle tre fasi: percezione, trasformazione del percepente, e operazione sul campo proibito, Kurt Lewin tende a combinare azione, trasformazione, sperimentazione e scoperta in una sola operazione, l’action-research o ricerca attiva. In un lavoro sull’operatività dicemmo: “Teoria e pratica si integrano nella prassi concreta, acquisendo questa sua forza operativa nel campo stesso del lavoro, in forma di realizzazioni determinate, seguendo una spirale dialettica”. Quindi, l’E.C.R.O. si trasforma così in uno strumento di lavoro di ciascun membro del gruppo nella sua interazione gruppale pianificata. Tornando, infine, al piano e al programma del nucleo fondamentale, queste due dimensioni costituiscono, a loro volta, un’altra unità inseparabile, contesto in forma di costanti e variabili dell’E.C.R.O. che si integrano e si complementano.
Riferendoci specificamente alla nostra Scuola Privata e seguendo le parole di Faunce e Bossing possiamo definire che il piano consiste in tutte le esperienze che l’alunno ha sotto la direzione della scuola; e Anderson, partendo da questa interpretazione del piano del nucleo fondamentale, e segnalando le differenze con altri piani, dà un avvertimento molto significativo nel quale include il coraggio necessario per ogni ricerca e per le sue conseguenze. Forse il prezzo è abbastanza alto perché, se consideriamo la riforma del piano da questo punto di vista, rischiamo molto più che se la consideriamo una semplice modifica sulla carta. Implica il riformare noi stessi, riformare le nostre relazioni con gli altri, le nostre scale di valori, le nostre maniere di lavorare, cioè, operiamo con i fattori più importanti nel profilo dell’alunno.
Dalla costruzione di questo E.C.R.O., che possiamo idealizzare come fa il ladro con il suo grimaldello, possiamo ritrovarci nella situazione descritta da Porchia in una delle sue voci: “Se mi apri una porta, entro e mi trovo con cento porte chiuse”. E quando si tratta dello stato d’animo del ricercatore lo esemplifichiamo con un’altra voce: “Chi ha visto vuotarsi quasi tutto sa di che cosa si riempie tutto”. Voce che si completa con la seguente, in quanto alla consocenza di se stessi, che è lo strumento con il quale si opera; Porchia dice: “Prima di percorrere il mio cammino, io ero il mio cammino”. E l’ultimo sforzo richiesto al ricercatore durante la valutazione del compito con il proposito di placare le proprie ansie sarebbe il farsi carico del pessimismo del poeta quando dice: “La verità ha pochissimi amici e quelli che ha sono suicidi”.
Ora, oltre che psichiatri e psicoanalisti si deve essere psicologi. Questo significa che si deve avere la capacità di comprendere in un’immediatezza continua ciò che costituisce la psicologia della vita quotidiana (psicologia volgare), come nei gruppi operativi è necessario partire dalla conoscenza scientifica, passaggio che, se non si realizza, costituisce una resistenza al cambiamento, come una barriera che tende a frammentare l’esperienza concreta. Perché tutta la “saggezza” nascosta dentro al sapere popolare, sommata al sapere incluso nella formazione, ci presenta il compito di decodificare le strutture e le articolazioni.
Citeremo come prototipo di difficoltà un solo esempio che, solitamente, costituisce una prova di fuoco per lo psichiatra, qualunque sia la sua esperienza, mentre non è noto come, finora, l’azione di un meccanismo di difesa, forse il più impenetrabile, sia stato studiato solo da noi. Si tratta dello psicopatico, meglio chiamato sociopatico, perché le caratteristiche dell’emergente sociale e le funzioni di leadership e di intervento sono tutte troppo complesse. Consideriamo che questo meccanismo è universale e costituisce il nucleo di ogni psicopatia. Si tratta della difesa cinica (confusa molto spesso con la difesa maniacale). Si tratta di una scissione della personalità con un blocco intenso degli affetti, una reificazione dei vincoli come conseguenza, con una strumentalizzazione macchiavellica di questi. Tutto questo insieme di tecniche dell’io può essere studiato in Macchiavelli, soprattutto attraverso la sua opera “Il principe”, che con il suo cinismo e la sua raccomandazione alla spregiudicatezza, si è convertito nella personificazione del macchiavellismo.
È curioso che in un’altra delle sue opere più importanti “Discorso sui primi dieci libri di Tito Livio” appare come difensore del diritto alla libertà e della partecipazione del popolo nel governo. Fu, senza dubbio, un patriota italiano, fondamentalmente repubblicano, e vide, come unica possibilità di unione tra i diversi stati italiani, l’uso della violenza, incurante di qualsiasi scrupolo, per mezzo di qualche principe forte. Non raccomandava al “principe” solo l’uso della violenza in politica interna, ma anche a barare apertamente, la rottura dei trattati e, date in pegno le parole, i tradimenti, gli intrighi, l’ipocrisia e l’omicidio politico: “gli uomini sono, in generale, ingrati e incostanti, ipocriti, codardi desiderosi di guadagno”. Continuando a citare Macchiavelli, egli dice: “i politici possono essere classificati in leoni e volpi, il principe deve essere entrambi in una volta, poiché gli uomini sono cattivi per natura e non rimarranno fedeli, egli non dovrebbe essere fedele a loro. Tuttavia non sono mancate a nessun principe ragioni legittime per nascondere la propria infelicità”. Nel paragrafo seguente, Macchiavelli sintetizza il suo pensiero che, applicato alla situazione psicoterapeutica, risulta nella seguente maniera: “Anche il principe (il sociopatico) dovrà essere ipocrita esperto nell’arte della simulazione poiché gli uomini (gli psicoterapeuti) sono così sciocchi e perseguono la necessità del momento (gli onorari) che all’impostore (lo psicopatico) mai mancheranno le vittime (nuovi psicoterapeuti)”. Ciò che Macchiavelli vuole segnalare qui, come portavoce del principe (dello psicopatico), è che questi ha come compito fondamentale la relazione psicoterapeutica, di scoprire il tallone d’Achille del suo psicoterapeuta, scaricando la sua ostilità su questo punto, provocando controtransferalmente nello psicoterapeuta un tale stato di confusione, insicurezza o incertezza da arrivare a renderlo impotente. Il compito psicoterapeutico si è trasformato in come disfarsi dello psicopatico. Qui, vi mostriamo un esempio di una particolare ideologia di una struttura mentale patologica.
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