TRADOTTI
LA DIDATTICA E L'APPRENDIMENTO DELLA SCUOLA. PAURE BASICHE. SCHEMA DI FREUD E M. KLEIN. CONCETTO DEL PROCESSO DELL'AMMALARSI. MECCANISMI DI DIFESA.
Lezione dettata dal Dr. Enrique Pichon-Rivière, il 02/05/1966 (Primo anno)
SCUOLA PRIVATA DI PSICHIATRIA SOCIALE, Lezione n. 2
(Il titolo originale della lezione, ripresa dal sito www.espiraldialectica.com, è “Didáctica y aprendizaje de la Escuela. Miedos básicos. Esquema de Freud y M. Klein. Concepto del proceso de enfermarse. Mecanismos y defensas" ed è stata tradotta dallo spagnolo da Lorenzo Sartini)
Continuiamo a spiegare quello che è lo schema di riferimento nell’aspetto gruppale delle situazioni. Abbiamo visto, attraverso il materiale dei gruppi, che c’è in voi l’aspettativa di conoscere la didattica di questo aspetto che non è stato trattato nella lezione precedente. Abbiamo detto che la didattica qui utilizzata è interdisciplinaria, di gruppi eterogenei, fondati sulla didattica del nucleo di base che caratterizza la formazione degli adulti. Cioè, a partire da uno schema determinato, costituito da universali, si tratta di applicarlo a distinti campi.
Potrebbe essere interdipartimentale se fosse il caso di un’università, dove un dipartimento di Psicologia fornisce il "servizio" a tutte le cattedre che necessitano una formazione in psicologia: il direttore del dipartimento, darebbe lezioni esclusivamente per i coordinatori che trasmetteranno le conoscenze. Non ci sarebbe un contatto diretto, e questo è un inconveniente, ma si assicurerebbe una più profonda formazione di livello intermedio, per la formazione di un corpo di professori idoneo. Abbiamo avuto difficoltà a riempire i corsi con docenti con tale formazione (abbiamo già visto quello che è lo stile personale dentro allo schema di riferimento) e oggi parleremo di ciò che c’è di personale nello schema di riferimento e dell’aspetto gruppale, che è la seconda parte di una notte di apprendimento.
La tecnica che usiamo è cumulativa, interdisciplinaria, gruppale, interdipartimentale, e l’aspetto cumulativo si deve al fatto che l’apprendimento realizzato durante una notte, diverse ore di seguito, è molto più efficace che l’apprendimento frazionato, sminuzzato in diversi giorni o in diverse ore. Cioè, la possibilità di apprendere, in realtà, inizia paradossalmente nel momento nel quale suona il campanello nelle scuole. Secondo uno studio realizzato da noi, l’apprendimento inizia ad essere operativo dopo i 45 minuti di lezione. È come se ci fosse un rettore culturale nascosto, rappresentante dell’ansietà davanti al cambiamento, che impedisce l’apprendimento reale. Per questo, qui continuiamo a lavorare la lezione all’interno del gruppo, con il fine che si verifichi l’apprendimento, per lo meno, tra la lezione e il gruppo (le due ore), rappresentando, questo, un livello medio di assimilazione.
Quando studieremo in dettaglio la teoria dell’apprendimento, vedremo che c’è un periodo di "incorporazione" e un periodo di "assimilazione". Il primo è quello della tipica dialettica normalista (di scuola Normale): lo studio a memoria delle cose, dove l’apprendimento non si fa in funzione di un’identificazione reale con il trasmettitore, ma con un’imitazione. Questo materiale non è assimilato, è dimenticato rapidamente e non è incorporato come strumento di lavoro.
In quanto al compito da realizzare quì, diciamo che è: apprendere a pensare. È uno dei compiti più costosi e che comporta più difficoltà per l’essere umano, poiché questo deve affrontare l’ansietà massima nel campo di lavoro, che è l’unione della teoria e della pratica, la prassi continua, non lineare ma dialettica, a spirale, dove si va a risolvere la resistenza al cambiamento che promuove l’apparizione delle ansietà più intense, ossia, l’apparizione delle due paure che costituiscono i due fantasmi o germi di tutte le nevrosi, di tutte le psicosi, tanto nell’individuo come nella comunità, e che sono la paura della perdita e la paura dell’attacco.
Non vi è nulla al di sotto dell’infrastruttura più che quelle due paure che si esprimono in termini di insicurezza, incertezza, e che sono rafforzate da fattori sociali che mettono alla prova questa situazione. Quindi, per noi, la malattia mentale è un prodotto sociale, e perciò la nostra scuola si chiama di Psichiatria Sociale, con la prospettiva di cambiare nome e chiamarla Scuola di Psicologia Sociale, poiché pensiamo di ampliare il nostro campo. Il campo è la psichiatria, però lo strumento è la psicologia sociale, che ha una metodologia e una strumentazione speciale, che può essere utilizzata in qualsiasi campo, tanto individuale come gruppale, istituzionale o comunitario.
Si aprono, dunque, una serie di campi di lavoro per lo psicologo, quello delle nostre Facoltà di Filosofia, che ha come fantasia di base di essere psicoterapeuta, trasgredendo uno degli articoli del codice penale, senza tenere in conto che esistono molteplici campi. E questo non è colpa dell’alunno ma della Scuola di Psicologia, in quanto è stata sempre insegnata una psicologia individuale in questa facoltà. Proprio di recente, si ha una preoccupazione per la psicologia sociale, che è la chiave principale per la comprensione di qualsiasi problema a qualsiasi livello. Per cui vi è, in primo luogo, uno strumento, che è la psicologia sociale. In secondo luogo, un punto di vista, che è la serratura. E terzo, un campo, che può essere qualsiasi cosa.
Esiste anche l’incertezza della ricerca, dell’essere visti da dietro, dell’essere sorpresi spiando. Tutte queste ansietà, che possono essere rappresentate metaforicamente in una situazione concreta infantile di curiosità, formano la base della vocazione per la psicologia. Cioè, ogni psicologo o ogni psichiatra, è un curioso frustrato, un soggetto ostacolato dalla limitata apertura della serratura o dalla buona strategia dei genitori che si sono sottratti al suo campo visivo. Voglio dire che rimane con qualcosa di insoddisfatto che cerca di superare attraverso la ricerca. Questo appare come motivazione inconscia perché la psicologia, i suoi strumenti e i suoi campi devono essere soggetti a una ricerca, come il compito stesso o come lo stesso ricercatore.
Il ricercatore sociale è compromesso nell’operazione, che lo voglia o no, poiché utilizza la mente per comprendere l’altro. Ed è attraverso l’identificazione proiettiva che riesce ad introdursi nell’altro e, per risonanza o per analogia, ritradurlo in identificazione proiettiva che è l’empatia. Dopo appare la comprensione chiamata simpatica, che sarebbe il collocarsi nel luogo dell’altro per vedere ciò che gli accade.
Questo comporta molteplici ansietà, perché collocarsi nel luogo dell’altro è collocarsi in una situazione di incertezza non sapendo che cosa si incontrerà nell’altro, che cosa accadrà assumendo il ruolo dell’altro. Si vede soprattutto, in una maniera molto chiara, negli psichiatri che analizzano i sogni. Gli allievi in psichiatria e in psicologia sociale sognano con grande frequenza. Statisticamente ho studiato il sogno degli allievi di psichiatria e ho visto che il 60 o 70 % dei sogni includono un elemento claustrofobico nel quale si esprimono il timore di rimanere chiuso nella mente dell’altro e che la mente dell’altro sia abitata da un personaggio che è la follia. Da lì, il pregiudizio della follia come qualcosa di contagioso. In realtà, gli psichiatri acquisiscono alcune abitudini psicotiche per identificazioni non risolte con il paziente e, nella misura in cui non le comprendono, le imitano.
Quando uno studia il meccanismo di comprensione dell’altro, si osserva, nei sogni, quell’ansietà di introdursi nell’altro, trasformata in situazioni claustrofobiche. Il sogno più universale è che il soggetto sogna di essere nell’ospedale psichiatrico e non trova l’uscita o il suo veicolo, ecc., quando ciò che non trova è la chiave per uscire da dentro la mente del paziente. Questo comporta le prime ansietà nello psichiatra che, a poco a poco, prende distanza dal paziente.
La distanza ottimale dal paziente è difficile da raggiungere: o si introduce troppo, o si allontana troppo. La distanza ottimale è, in sé, il fattore più importante della terapia, o sia: sentire che lo psicoterapeuta è a una distanza ottimale dove non può essere ferito né distrutto dalla fantasia, né possa introdursi dentro il paziente e distruggersi. Così si crea la nozione di limite, che è l’opposto della perdita del limite, ossia, della follia (la confusione tra l’interno e l’esterno).
Potremmo definire, quindi, la follia come la perdita di quel limite e, da parte dello psichiatra, la perdita di una distanza ottimale per operare. Così vediamo questa evoluzione: lo psichiatra che non comprende il meccanismo dell’empatia e inizia ad allontanarsi dal paziente, o a non vedere mai il paziente da solo.
In uno studio che ho fatto anni fa all‘"Hospital de Las Mercedes", ho verificato che, in più del 95 % dei casi, gli psichiatri non vedevano mai da soli un paziente; sempre c’era un corredo di prodotti farmaceutici, o un libro, o un amico, ecc., ossia, un accompagnatore fobico per poter penetrare e che lo aiutasse ad uscire una volta dentro. Questa psichiatria, che acquista il nome di psichiatria per delega, si sposta sui trattamenti che, piano piano, vengono realizzati dagli infermieri, o più tardi anche dagli stessi pazienti. Così lo psichiatra non è vicino al paziente, se ne è allontanato, e ancor di più quando promuove meccanismi di morte che sono terapeutici in molti casi, come sono lo shock insulinico o elettrico, che agiscono per un meccanismo di morte e resurrezione o riparazione.
Quindi il nostro schema di riferimento include una didattica che, come già detto, è un apprendimento che è cumulativo e che ha, come formula, l’apprendere a pensare e, come compito, il rompere gli stereotipi, il che significa rompere modelli ripetitivi di comportamento che vengono plasmati dalla configurazione delle distinte strutture nevrotiche o psicotiche, che oggi andiamo a vedere nella nosografia.
Quelle strutture psicotiche, nevrotiche, caratteriologiche, perverse, ecc., sono configurazioni costruite in base all’operazione di meccanismi di difesa quando l’ansietà è più grave. Voglio dire che le nevrosi, le perversioni, le caratteropatie, sono difese contro le psicosi. Quando fallisce il meccanismo nevrotico appaiono le ansietà più primitive che sono la paura della perdita dell’oggetto e la paura dell’attacco all’io, ossia, l’ansietà depressiva e l’ansietà paranoide, che sono i due vettori principali che configurano ogni tipo di malattia, in accordo alla sua collocazione nello spazio.
La collocazione spaziale del vincolo con l’oggetto buono e gratificante e con l’oggetto cattivo e frustrante si possono realizzare nelle tre aree, che sono aree fenomenologiche nel senso che hanno un’espressione di per sé, ma che sono una totalità nella realtà. Le tre aree funzionano allo stesso tempo. Possono essere poi cooperanti, coesistenti, come sono le due paure. Non esiste mai una paura della perdita o una paura dell’attacco da soli, ma sono coesistenti e cooperanti, formando una totalità nell’azione, nelle tre aree che sono i tre campi di applicazione o della prassi dove quei vincoli collegati con oggetti buoni e cattivi, gratificanti e frustranti, stanno operando.
Dentro all’ECRO abbiamo l’esistenza di due paure e tre aree che sono:
1) mente
2) corpo
3) mondo esterno
E abbiamo due vincoli: uno buono e uno cattivo, collegati con un oggetto buono e gratificante e con un oggetto cattivo e frustrante, collocati nelle distinte aree.
Dalle combinazioni che possono risultare si daranno le strutture chiamate nevrotiche, psicotiche, caratteropatiche, che si conoscono attraverso la nosografia psichiatrica, nosografia nel senso di descrizione dell’apparenza, della forma di manifestarsi e dell’involucro del disturbo, giacché il suo contenuto deve essere ricercato in altro modo. Sebbene esista una relazione dialettica tra contenuto e contenitore, non si può inferire dal contenitore il contenuto.
La struttura può essere un’isteria e il contenuto essere collegato con la storia personale del paziente. Voglio dire che gli universali non si applicano, nel campo della motivazione, in quanto al dettaglio, ma all’ultimo aspetto motivazionale.
Abbiamo l’aspetto manifesto che può acquisire la forma di un’isteria, di una nevrosi ossessiva, di una paranoia, di una mania, di una melanconia, ecc., ciò che promuove questo tipo di strutture sono situazioni motivazionali che hanno come meta le due paure: paura della perdita e paura dell’attacco.
Così comprendiamo che noi non utilizziamo la concettualizzazione di Freud nel senso di istinti di vita e di morte; per noi gli istinti sono condotte e sono condotte apprese, in quanto esperienze di interrelazione con l’ambiente. L’esperienza con un oggetto gratificante darà luogo alla costruzione di un modello che, ogni volta che si manifesta, porterà il nome di istinto di vita, come dice Freud, e quando quella relazione si stabilisce con un oggetto frustrante al quale si reagisce con rabbia, ostilità, distruttività, configurerà quello che Freud chiama istinto di morte. Cioè, tanto l’istinto di vita come quello di morte, sono strutture acquisite attraverso esperienze molto precoci, e da interazioni permanenti con l’ambiente, in termini di gratificazione e frustrazione. Cosicché, da questo punto di vista, non accettiamo la concezione istintivista di Freud, che sostiene che ambedue gli istinti sono anche i due modelli congeniti già configurati con i quali il soggetto nasce.
Quindi, ci sarebbe una contraddizione nel nostro compito che sarebbe di voler modificare o rettificare o curare un paziente la cui patologia è condizionata dalla co-operazione di questi due istinti congeniti immodificabili. Alcuni sono arrivati all’estremo di una concezione biologica degli istinti ma, in realtà, Freud aveva seri dubbi al riguardo. È molto facile scoprirlo, soprattutto in alcuni lavori, dove la sua teoria degli istinti è da lui chiamata la sua mitologia. Inoltre la parola tedesca TRIEB non è istinto, ma impulso (che già è meno di istinto, che ha una connotazione più fissa, molto più statica). Anche l’inconscio, che è il depositario delle nostre prime relazioni, fu denominato da uno psicoanalista francese, Edouard Pichon, il ‘pulsorium’, al posto di ‘es’.
Vediamo che gli schemi di Freud, tanto quello degli istinti quanto quello della struttura della personalità, vengono modificati attraverso la Psicologia Sociale. Modificati in quanto all’origine, però, e non rispetto all’esistenza fenomenologica. C’è un ‘super-io’, c’è un ‘io’ e c’è un ‘es’, ma sono originati in base a esperienze concrete con la realtà. Questo è quello che sicuramente voi conoscete come Psicologia concreta. Ma non c’è Psicologia che non sia concreta. Quello che succede è che ci sono psicologi che non sono concreti, sono quelli che si chiamano ‘lo psicologo di poltrona’ ed è lo psicologo sociale, lo psicologo di campo, che si oppone allo ‘psicologo di poltrona’ e che studia lo schema di riferimento che può essere applicato in differenti strutture, differenti campi, e dove la trama temporo-spaziale della personalità può essere aumentata o ristretta in accordo con aspetti situazionali. Solamente in questo secolo si è descritto un mondo interno poi abitato da un prodotto che Melanie Klein ha chiamato la fantasia inconscia e che, come vedremo, rappresenta un "dramma" i cui personaggi sono gli oggetti esterni internalizzati nel mondo interno.
Ossia, l’uomo è un soggetto, non dirò condannato, ma che è irrimediabilmente incluso e immerso nella società. Per questo risultano assurde le discussioni di individuo-società, poiché la personalità è costruita in base a esperienze concrete con la realtà. L’internalizzazione della realtà configura il mondo interno del paziente.
Parlando in termini di calcio: c’è un campo di calcio interno e un campo di calcio esterno. La partita nell’area 1 si gioca nel campo interno, o sia nella mente. Nell’area 2 e 3 si gioca nel corpo (l’ipocondria) e nella condotta, che configurano il campo di calcio esterno.
L’area più utilizzata culturalmente è stata l’area 2 per il fatto che un ipocondriaco non è considerato un alienato, e per il fatto che la sua malattia ha tale analogia, somiglianza e parentela con la malattia organica, che passa inavvertito come psicotico. Il "malato immaginario" (1) di Molière, non appare come psicotico, ma come un malato immaginario, però immaginario del corpo, non della mente. Se fosse immaginario dell’area 1, allora apparirebbe il delirio, e anche se fosse immaginario dell’area 3. Vuol dire che, piano piano, con lo sviluppo della nostra cultura, gli oggetti persecutori causanti il danno psicotico si sono andati rifugiando nell’area 2, trasformandosi in ipocondria e questa in malattia psicosomatica.
Da lì deriva che la nostra cultura si caratterizza per la gran frequenza di malattie psicosomatiche, che sono psicosi spostate dall’area 1 all’area 2 e che incontrano una condizione favorevole per passare inavvertite o non diagnosticate come psicosi. Quindi, l’ipocondria protegge il soggetto socialmente, posto che nessuno gli farebbe un certificato di alienazione (salvo in casi estremi), mentre l’ipocondriaco che gode di questa concessione disturba l’80 % del tempo di ogni medico e di ogni istituzione ospedaliera. Pensate allora al carattere multiforme dell’ipocondria.
Ora, perché il rifugio nel corpo? Questo rifugio nel corpo si è visto favorito culturalmente dall’apparizione dell’abito, o sia dell’involucro artificiale e vediamo, quando studiamo l’ipocondria, una forma che è collocata tra l’involucro esterno, artificiale, l’abito, e l’involucro reale che è la pelle. Quello spazio intermedio, che ho studiato con molta cura, soprattutto nelle malattie della pelle, è un luogo di sparizione anche della situazione patogenetica (2), dove sono nascosti gli oggetti che causano le malattie.
Perciò, diciamo che c’è tutta una nevrosi, tutta una psicosi, tutto un orientamento culturale, rispetto all’involucro esterno, all’abbigliamento, alle abitudini di pulizia e di ordine, che sono collegati con timori ipocondriaci. Lavarsi 10 volte le mani è una fobia dello sporco, lavarsele 1 volta è un atto di buona educazione. La nostra cultura è piena di elementi che appartengono a strutture nevrotiche, soprattutto alla nevrosi ossessiva, caratterizzata dall’ordine, dalla pulizia, dall’avarizia, dalla parsimonia, tutti elementi di buona educazione. Come nella malinconia: il senso di colpa, che è un sentimento naturale, è esagerato e crea una colpa sproporzionata rispetto al danno inflitto, e tale è la situazione che molti sacerdoti nel confessionario fanno la diagnosi del senso di colpa nevrotica e inviano la persona allo psicoterapeuta. Possono arrivare all’autodenuncia, al credersi colpevoli di un danno, ed è triste verificare che è per onnipotenza, il voler aver realizzato un danno enorme.
La grandezza del danno è basata su un’onnipotenza di base in cui si credono responsabili di danni, pregiudizi, pesti, guerre, ecc., per una forma di delirio che si chiama delirio centrifugo e che parte da essi verso fuori, credendo di contaminare il mondo. Per esempio, andare al commissariato e confessare un delitto, o farlo indirettamente, crea un tale grado di ambiguità che sono considerati sospetti, fino a che appare il colpevole reale. Vuol dire che l’ipocondriaco è un personaggio importante, capace di promuovere una serie di situazioni che è molto frequente osservare nei leaders.
L’ipocondria regola anche ogni condotta cosmetica, che nella donna ha un particolare valore. Attraverso uno studio motivazionale proveniente da un campo diverso da quello della medicina – e non del tutto estraneo, come è la cosmetica – abbiamo fatto una scoperta: che in ogni donna esiste una sensazione di bruttezza interiore, anche se il suo involucro esterno è completamente differente; e la condotta cosmetica è condizionata da questa sensazione, e la terapeutica, in questo senso, tenderà a creare un’altra donna che è vittima di questa sensazione inconscia di bruttezza interiore che poi si proietta nel timore di avere figli deformi, malati o può arrivare a condizionare tutta la patologia psicosomatica del sistema urogenitale, come la fobia per la penetrazione, la sterilità, l’aborto, ecc. Tutte queste sono tecniche tendenti a evitare il danneggiamento del prodotto; può esistere in esse una sensazione inconscia di sentire il proprio corpo spezzato, smembrato, e che ruota attorno a ciò che Freud chiama il complesso di castrazione nella donna, che viene sentito come un danno inferto al suo corpo e con la privazione dell’organo sessuale mascolino. Da lì sorge la protesta virile e la condotta di tipo "ominista".
Vuol dire che l’area 2 del corpo, che inoltre è il depositario di tutte le malattie psicosomatiche, crea un sistema di comunicazione preverbale, corporale, gestuale, che è tanto o, a volte, più importante di quello verbale ed è operativo in modo permanente.
Se si può fare un calcolo tra ciò che la gente dice e come lo dice e come si comporta gestualmente quando lo dice, la comunicazione per via preverbale occupa un ruolo predominante, quasi un 80 % sulla condotta verbale. Inoltre, la condotta preverbale è più autentica, meno distorta. Per qualche ragione, la gente si concentra sulla condotta preverbale. È come se la parola fosse stata inventata per distorcere la verità che il corpo esplicita. Per questo, in un trattamento psicoterapeutico o in gruppo, si può rilevare l’emergere di una situazione con l’osservazione degli atteggiamenti del paziente o del gruppo.
Attraverso le tre aree, e in accordo con la collocazione degli oggetti buoni e cattivi, abbiamo tutte le strutture conosciute. Usiamo come esempio le fobie, che si caratterizzano per l’esistenza dell’oggetto fobigeno (che in fondo è il persecutore) nell’area 3 (agorafobia) e nell’area 2 del corpo dove si può avere la claustrofobia.
In ogni fobico esiste l’oggetto accompagnante, l’oggetto buono, che transita nella stessa area 3, ma a favore di un meccanismo essenziale della fobia, che è l’evitamento. L’oggetto accompagnante può essere animato, inanimato, agire come feticcio. Quindi, il fobico, per uscire in strada o per andare in qualche luogo chiuso, si fa accompagnare da questo oggetto, un cane, per esempio. Tutto ciò avviene in base a un meccanismo che è l’evitamento fobico, che impedisce che gli oggetti cattivi e gli oggetti buoni si contaminino. Da qui nascono tutte le inquietudini e insicurezze del fobico nell’avere questo contatto, poiché tutte le psicosi o le nevrosi hanno come finalità quella di controllare o preservare l’oggetto cattivo; è questa una situazione che incontriamo in ogni malattia.
Nella misura in cui funziona questo meccanismo di evitamento, di contaminazione degli oggetti buoni e cattivi, il fobico passa a un livello nevrotico; se l’evitamento fallisce appare un’ansietà psicotica per il fatto che il luogo temuto, la strada che non si può attraversare, rappresenta il luogo dove abita l’oggetto cattivo e persecutore, e appare nel paziente come fantasia di aggressione, morte, ecc. Se fallisce lo spostamento dell’oggetto nel luogo, nell’habitat dell’oggetto, abbiamo una psicosi paranoide, allora in questo momento il fobico inizia ad osservare che gli altri lo osservano e che c’è un’intenzionalità nelle cose che accadono nella strada, perché è fallito l’evitamento fobico ed è potuto emergere l’oggetto cattivo.
Assistiamo, quindi, alla trasformazione d i una nevrosi isterica, per esempio in una psicosi paranoide. Ma prima di passare alla psicosi c’è un’altra struttura intermedia che è, diciamo, una difesa più operativa, che è la nevrosi ossessiva. La persona che inizia ad evitare la situazione per non contaminare il buono ed il cattivo, burocratizza la difesa e la trasforma in cerimoniale ossessivo, una religione privata del soggetto che ricorre a determinate manovre per evitare il danno. Se fallisce la nevrosi ossessiva, allora sì, si entra nella psicosi.
L’isteria è la malattia considerata con prognosi migliore nei libri di psichiatria e, anche nosograficamente, la prima nevrosi. È la più vicina al normale, ma dal punto di vista della difesa è quella più operativa contro la psicosi che è soggiacente. Continuando, dopo la nevrosi ossessiva, abbiamo il caso delle perversioni, e in special modo, l’omosessualità, tanto estesa nella nostra cultura.
Poiché vi è un aumento della paura, e la paura provocata da situazioni reali nella nostra situazione attuale sarebbe la paura della bomba atomica o qualsiasi tipo di pericolo simile, aumentano le difese, e tra le difese più operative abbiamo, per esempio, l’omosessualità, che supera l’ansietà di perdita identificandosi con l’oggetto. Se è maschio, la perdita è l’oggetto materno, e se è in procinto di perdere qualcosa, lo incorpora e lo assimila e trasforma se stesso nella madre.
L’ansietà paranoide, che proviene dal padre nella situazione triangolare, è risolta da una sottomissione sessuale al padre, con la finalità di consumarlo e castrarlo nella relazione omosessuale. Cioè, si difende dalle due paure per mezzo della perversione trasformandosi in donna e, attraverso la relazione omosessuale tenta, in primo luogo, una pacificazione con il persecutore e, dopo la fantasia di castrazione, di acquisire la potenza del padre.
L’omosessualità come malattia caratteristica di tutte le culture in decadenza ha la tendenza a istituzionalizzarsi, a formare una minoranza. Negli Stati Uniti hanno effettuato un ordine di legislazione sociale per loro, considerandoli minoranza, e considerando che il rifiuto che la gente ha verso l’omosessualità provenga da un pregiudizio, così com’è il pregiudizio anti-negri. Vale a dire che è un problema di discriminazione di un prodotto culturale provocato dalla paura, dall’insicurezza e dall’incertezza delle sfumature e che è l’ingrediente di tutta la nostra vita quotidiana.
Note:
1) Non si legge bene nell'originale
2) La situazione è patogenica, nell'originale
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