SCRITTI
L'EVOLUZIONE OPERATIVA DI UN PENSIERO:
PICHON-RIVIERE, BLEGER, BAULEO
di Lorenzo Sartini
La Concezione Operativa di Gruppo è una psicologia sociale a matrice psicoanalitica che si basa sulla tecnica dei gruppi operativi. Il gruppo operativo è un dispositivo gruppale fondato dallo psichiatra e psicoanalista Enrique Pichon-Rivière in Argentina, a partire dal 1948, e messo a punto e concettualizzato una decina di anni più tardi.
Sul versante teorico, oltre alla forte impronta della psicoanalisi di Sigmund Freud e di Melanie Klein e alla psicosociologia di Kurt Lewin, ritroviamo, nelle fondamenta dei gruppi operativi, apporti concettuali provenienti dal materialismo dialettico di Karl Marx, dall'esistenzialismo di Jean Paul Sartre, dalla fenomenologia di Maurice Merleau-Ponty, dalla sociologia di Henri Lefevbre e da quella interazionista di George H. Mead.
Soprattutto, però, per sviluppare questa tecnica, Pichon-Rivière trae spunto dalle esperienze che aveva avuto modo di fare con gravi pazienti psichiatrici nell'ospedale dove lavorava: registrando evidenti miglioramenti nella condizione di salute mentale delle persone con le quali aveva provato a lavorare in gruppo, si convince dell’efficacia e dell’importanza, a livello formativo e terapeutico, del dispositivo gruppale. Pichon-Rivière definirà il gruppo in questi termini:
“In ogni insieme di persone, legate da costanti di tempo, di spazio e articolate per la loro mutua rappresentazione interna, si istaura esplicitamente o implicitamente un compito, che ne costituisce la finalità” (1969).
Sin dall’inizio il gruppo operativo non viene pensato solamente come una tecnica psicoterapeutica da utilizzare per “guarire” un soggetto, ma come ad un'altra possibilità di comprendere il processo dell’ammalarsi del soggetto e, dunque, il processo che deve seguire la cura per affrontare lo stato di malattia.
Il paziente non viene più visto semplicemente come il malato, bensì come elemento emergente della situazione gruppale e sociale che lo produce. È attraverso la famiglia, gruppo sociale primario che fa da ponte tra l’individuo e la società, che il soggetto impara a stare in relazione con gli altri e apprende una peculiare modalità per affrontare il mondo che lo circonda. È interiorizzando le strutture relazionali che si sperimentano all’inizio della propria vita in famiglia che si costituisce l’idea (il gruppo interno) di come “si sta al mondo”, ossia di come funzionano le cose là fuori. In questo senso, il paziente viene inteso come espressione di una situazione sociale più ampia nella quale, attraverso un complesso e inconsapevole meccanismo di aggiudicazione e di assunzione di ruoli, andrà a coprire delle posizioni specifiche all’interno del gruppo di cui è parte, a seconda delle necessità delle situazioni depressive di base sottostanti a tutti i membri del gruppo. Nei gruppi, in effetti, bisogna sempre pensare all'esistenza di due piani: uno manifesto e l’altro latente.
Un gruppo che, invece di affrontare il compito richiesto dalla situazione concreta che sta attraversando in un determinato momento, ricerca il mantenimento dello status quo al fine di non confrontarsi con quello stesso compito, per far fronte al quale si richiederebbe un cambiamento dei ruoli assunti e della struttura gruppale, si trova in una situazione di blocco, di stereotipia e, dunque, di malattia. L'obiettivo dei gruppi operativi, al contrario, è:
"un adattamento attivo alla realtà, caratterizzato dal fatto di poter assumere nuovi ruoli con una maggiore responsabilità e l'abbandono progressivo dei ruoli precedenti, inadeguati alla situazione del qui e ora" (1965).
In altri termini, Pichon-Rivière dice che l'obiettivo sarebbe quello di: “apprendere a pensare”
Questo compito prevede l'elaborazione di quelle ansie di base che, quando si intensificano, agiscono come ostacolo epistemologico nella lettura della realtà provocando un blocco nel processo gruppale: l'ansia depressiva connessa con la paura per la perdita dell'oggetto già conosciuto e l'ansia paranoide collegata alla paura dell'attacco da parte della nuova situazione.
Pichon-Rivière, che considera i criteri di salute e malattia non come assoluti, bensì situazionali e relativi, propone una concezione sociale della malattia, la cui eziologia va ricercata nel rapporto tra individuo e gruppo e non solamente nel soggetto che manifesta concretamente una specifica problematica (così come vorrebbe il classico approccio clinico individualistico). In questa teorizzazione, centrale è il concetto di vincolo, ovvero il legame che si stabilisce nel rapporto tra il soggetto e l’oggetto e che, attraverso momenti di comunicazione e di apprendimento, organizza un processo interazionale continuo che si potrebbe rappresentare come una spirale dialettica.
Un allievo di Pichon-Rivière è Josè Bleger, anch'egli psichiatra e psicoanalista, che parlerà di un soggetto diviso tra una parte più relazionale (Io o Parte Nevrotica della Personalità) ed una indiscriminata, indifferenziata (non-Io o Parte Psicotica della Personalità). Un soggetto che, mediante il rapporto con il corpo materno, si trova a vivere uno stato di indifferenziazione primaria con l’ambiente esterno; uno stato che segnerà l'evoluzione del soggetto e l'organizzazione della sua personalità in un modo così profondo che non ne avrà consapevolezza:
“Ciò che esiste nella percezione del soggetto è ciò che, come l’esperienza gli ha insegnato, può venirgli a mancare. Invece, le relazioni stabili o immobilizzate (le non-assenze) sono quelle che organizzano e mantengono il non-Io e formano la base per la strutturazione dell’Io in funzione delle esperienze frustranti e gratificanti. Il fatto che non si percepisca il non-Io non significa che questo non esista per l’organizzazione della personalità. Non si ha conoscenza di qualcosa se non nell’assenza di questo qualcosa, fino a che non viene organizzato come oggetto interno” (1967).
Bleger approfondisce la concezione vincolare di Pichon-Rivière e propone una Psicologia degli Ambiti nella quale la condizione dell'individuo deve essere sempre letta in rapporto alla dimensione di appartenenza gruppale, a quella delle istituzioni che la definiscono e a quella della comunità che le organizza. Sostiene, quindi, che se la psicologia classica ha utilizzato, fino ad allora, i suoi propri strumenti per analizzare gli accadimenti negli ambiti sociali più ampi, deve ora pensare di utilizzare gli strumenti delle altre discipline che si occupano di quegli ambiti per studiare le dinamiche psicologiche individuali. Da qui deriva un forte interesse per l’applicazione di interventi di tipo preventivo (psicoigiene) all’interno delle comunità sociali.
Inoltre, intendendo l'essere umano come essere sociale, dunque sin dall'inizio in rapporto con l'altro, capovolge i termini della questione: il problema fondamentale non è più quello di capire come il soggetto entra in relazione con gli altri ma, al contrario, come riesce a separarsi dagli altri e ad individuarsi. Ossia, la questione che si pone al soggetto, che, come affermato da Pichon-Rivière, è primariamente definito dall'appartenenza al gruppo famigliare, è riuscire a sperimentarsi in contesti operativi differenti, assumendo ruoli diversi a seconda delle necessità gruppali contingenti; poiché è solamente mediante la diversificazione delle relazioni che è possibile modificare le idee inizialmente interiorizzate (divenute convinzioni) e organizzare una nuova soggettività.
Allievo di Pichon-Rivière, nonché collega e amico di José Bleger, è anche Armando J. Bauleo.
Insieme al suo maestro approfondisce il concetto di compito, che costituisce l’elemento che convoca il gruppo e gli permette di darsi un’identità. Bauleo afferma che dichiarando la finalità del lavoro gruppale si consente ai membri di “scorniciarsi”, ovvero di liberarsi dalle maschere assunte nella quotidianità, caratterizzate da ruoli predefiniti e stereotipati.
Insiste sulla distinzione tra “esperienza di gruppo” e “concetto di gruppo”: indicando, con la prima espressione, il racconto del proprio vissuto all’interno dei gruppi che si sono attraversati (famiglia, amici, compagni di scuola, ecc.); e con la seconda, una nozione teorica necessaria per poter pensare alle dinamiche dei gruppi, per poter comprendere come si organizzano le situazioni e si legano gli elementi che entrano in gioco in un dispositivo gruppale.
Per esprimere il concetto di gruppo, fa riferimento ad una triangolarità costituita dalla relazione compito-organizzazione gruppale e dal legame della coordinazione con tale relazione: in questo rapporto triangolare, Bauleo fa notare che il coordinatore deve riuscire a mantenere una distanza ottimale rispetto alla relazione compito-organizzazione gruppale poiché è lì per ascoltare e co-pensare e non per gestire il gruppo.
Differenzia i concetti di "gruppo" e di "aggruppamento", affermando che solamente attraverso un difficile percorso di continui movimenti, irto di confusione e incertezza, le persone riunite che lavorano su un compito possono arrivare ad interiorizzarsi l’un l’altra, a riconoscersi come un “noi” e a diventare un gruppo.
A lui si deve la definizione di Concezione Operativa di Gruppo, con la quale propone una prospettiva teorica da utilizzare, all'interno del discorso sui gruppi e della psicologia sociale, come strumento per analizzare le dinamiche sociali e le modalità di produzione della soggettività.
Bauleo intende il gruppo come un'istanza ponte tra individuo e società e ritiene che sia attraverso il gruppo, costruzione ideologica per eccellenza, che è possibile indagare i meccanismi ideologici proposti dalla società: dunque intende l'utilizzo dei gruppi operativi come una prospettiva per osservare e intervenire nello spazio dell'intersoggettività che sta a fondamento dell'identità.
Sempre attento e interessato alle vicende politico-sociali che caratterizzano i vari momenti storici, scrive:
“Nella concezione operativa, la terapia gruppale tende a rispondere a tale intreccio storico, in cui la verticalità di ciascun soggetto si interseca con la orizzontalità del gruppo attuale; ma una terza linea completa questa ‘croce’: la trasversalità. Essa sta ad indicarci che, oltre la storia o il tempo individuale e gruppale, esiste una terza linea, la storia politico-sociale, che colora e risignifica costantemente le altre due” (1990).
Bauleo, infine, costretto esule dall’Argentina in periodo di dittatura, ha iniziato instancabilmente a viaggiare permettendo la diffusione della Concezione Operativa di Gruppo in molti paesi sia dell’America Latina (Brasile, Uruguay, Cile, Messico, Cuba) che dell’Europa (Spagna, Francia, Italia, Svizzera).
Bibliografia
Bauleo A. (1974), Ideologia, gruppo e famiglia, Feltrinelli, Milano, 1978
Bauleo A. (1990), Clinica gruppale, clinica istituzionale, Il Poligrafo, Padova, 1994
Bleger J., Psicoigiene e psicologia istituzionale, Libreria Editrice Lauretana, Loreto, 1989
Bleger J. (1967), Simbiosi e ambiguità – Studio psicoanalitico, Armando Editore, Roma 2010
Pichon–Riviere E., Il processo gruppale. Dalla psicoanalisi alla psicologia sociale, Libreria Editrice Lauretana, Loreto, 1985
La Concezione Operativa di Gruppo è una psicologia sociale a matrice psicoanalitica che si basa sulla tecnica dei gruppi operativi. Il gruppo operativo è un dispositivo gruppale fondato dallo psichiatra e psicoanalista Enrique Pichon-Rivière in Argentina, a partire dal 1948, e messo a punto e concettualizzato una decina di anni più tardi.
Sul versante teorico, oltre alla forte impronta della psicoanalisi di Sigmund Freud e di Melanie Klein e alla psicosociologia di Kurt Lewin, ritroviamo, nelle fondamenta dei gruppi operativi, apporti concettuali provenienti dal materialismo dialettico di Karl Marx, dall'esistenzialismo di Jean Paul Sartre, dalla fenomenologia di Maurice Merleau-Ponty, dalla sociologia di Henri Lefevbre e da quella interazionista di George H. Mead.
Soprattutto, però, per sviluppare questa tecnica, Pichon-Rivière trae spunto dalle esperienze che aveva avuto modo di fare con gravi pazienti psichiatrici nell'ospedale dove lavorava: registrando evidenti miglioramenti nella condizione di salute mentale delle persone con le quali aveva provato a lavorare in gruppo, si convince dell’efficacia e dell’importanza, a livello formativo e terapeutico, del dispositivo gruppale. Pichon-Rivière definirà il gruppo in questi termini:
“In ogni insieme di persone, legate da costanti di tempo, di spazio e articolate per la loro mutua rappresentazione interna, si istaura esplicitamente o implicitamente un compito, che ne costituisce la finalità” (1969).
Sin dall’inizio il gruppo operativo non viene pensato solamente come una tecnica psicoterapeutica da utilizzare per “guarire” un soggetto, ma come ad un'altra possibilità di comprendere il processo dell’ammalarsi del soggetto e, dunque, il processo che deve seguire la cura per affrontare lo stato di malattia.
Il paziente non viene più visto semplicemente come il malato, bensì come elemento emergente della situazione gruppale e sociale che lo produce. È attraverso la famiglia, gruppo sociale primario che fa da ponte tra l’individuo e la società, che il soggetto impara a stare in relazione con gli altri e apprende una peculiare modalità per affrontare il mondo che lo circonda. È interiorizzando le strutture relazionali che si sperimentano all’inizio della propria vita in famiglia che si costituisce l’idea (il gruppo interno) di come “si sta al mondo”, ossia di come funzionano le cose là fuori. In questo senso, il paziente viene inteso come espressione di una situazione sociale più ampia nella quale, attraverso un complesso e inconsapevole meccanismo di aggiudicazione e di assunzione di ruoli, andrà a coprire delle posizioni specifiche all’interno del gruppo di cui è parte, a seconda delle necessità delle situazioni depressive di base sottostanti a tutti i membri del gruppo. Nei gruppi, in effetti, bisogna sempre pensare all'esistenza di due piani: uno manifesto e l’altro latente.
Un gruppo che, invece di affrontare il compito richiesto dalla situazione concreta che sta attraversando in un determinato momento, ricerca il mantenimento dello status quo al fine di non confrontarsi con quello stesso compito, per far fronte al quale si richiederebbe un cambiamento dei ruoli assunti e della struttura gruppale, si trova in una situazione di blocco, di stereotipia e, dunque, di malattia. L'obiettivo dei gruppi operativi, al contrario, è:
"un adattamento attivo alla realtà, caratterizzato dal fatto di poter assumere nuovi ruoli con una maggiore responsabilità e l'abbandono progressivo dei ruoli precedenti, inadeguati alla situazione del qui e ora" (1965).
In altri termini, Pichon-Rivière dice che l'obiettivo sarebbe quello di: “apprendere a pensare”
Questo compito prevede l'elaborazione di quelle ansie di base che, quando si intensificano, agiscono come ostacolo epistemologico nella lettura della realtà provocando un blocco nel processo gruppale: l'ansia depressiva connessa con la paura per la perdita dell'oggetto già conosciuto e l'ansia paranoide collegata alla paura dell'attacco da parte della nuova situazione.
Pichon-Rivière, che considera i criteri di salute e malattia non come assoluti, bensì situazionali e relativi, propone una concezione sociale della malattia, la cui eziologia va ricercata nel rapporto tra individuo e gruppo e non solamente nel soggetto che manifesta concretamente una specifica problematica (così come vorrebbe il classico approccio clinico individualistico). In questa teorizzazione, centrale è il concetto di vincolo, ovvero il legame che si stabilisce nel rapporto tra il soggetto e l’oggetto e che, attraverso momenti di comunicazione e di apprendimento, organizza un processo interazionale continuo che si potrebbe rappresentare come una spirale dialettica.
Un allievo di Pichon-Rivière è Josè Bleger, anch'egli psichiatra e psicoanalista, che parlerà di un soggetto diviso tra una parte più relazionale (Io o Parte Nevrotica della Personalità) ed una indiscriminata, indifferenziata (non-Io o Parte Psicotica della Personalità). Un soggetto che, mediante il rapporto con il corpo materno, si trova a vivere uno stato di indifferenziazione primaria con l’ambiente esterno; uno stato che segnerà l'evoluzione del soggetto e l'organizzazione della sua personalità in un modo così profondo che non ne avrà consapevolezza:
“Ciò che esiste nella percezione del soggetto è ciò che, come l’esperienza gli ha insegnato, può venirgli a mancare. Invece, le relazioni stabili o immobilizzate (le non-assenze) sono quelle che organizzano e mantengono il non-Io e formano la base per la strutturazione dell’Io in funzione delle esperienze frustranti e gratificanti. Il fatto che non si percepisca il non-Io non significa che questo non esista per l’organizzazione della personalità. Non si ha conoscenza di qualcosa se non nell’assenza di questo qualcosa, fino a che non viene organizzato come oggetto interno” (1967).
Bleger approfondisce la concezione vincolare di Pichon-Rivière e propone una Psicologia degli Ambiti nella quale la condizione dell'individuo deve essere sempre letta in rapporto alla dimensione di appartenenza gruppale, a quella delle istituzioni che la definiscono e a quella della comunità che le organizza. Sostiene, quindi, che se la psicologia classica ha utilizzato, fino ad allora, i suoi propri strumenti per analizzare gli accadimenti negli ambiti sociali più ampi, deve ora pensare di utilizzare gli strumenti delle altre discipline che si occupano di quegli ambiti per studiare le dinamiche psicologiche individuali. Da qui deriva un forte interesse per l’applicazione di interventi di tipo preventivo (psicoigiene) all’interno delle comunità sociali.
Inoltre, intendendo l'essere umano come essere sociale, dunque sin dall'inizio in rapporto con l'altro, capovolge i termini della questione: il problema fondamentale non è più quello di capire come il soggetto entra in relazione con gli altri ma, al contrario, come riesce a separarsi dagli altri e ad individuarsi. Ossia, la questione che si pone al soggetto, che, come affermato da Pichon-Rivière, è primariamente definito dall'appartenenza al gruppo famigliare, è riuscire a sperimentarsi in contesti operativi differenti, assumendo ruoli diversi a seconda delle necessità gruppali contingenti; poiché è solamente mediante la diversificazione delle relazioni che è possibile modificare le idee inizialmente interiorizzate (divenute convinzioni) e organizzare una nuova soggettività.
Allievo di Pichon-Rivière, nonché collega e amico di José Bleger, è anche Armando J. Bauleo.
Insieme al suo maestro approfondisce il concetto di compito, che costituisce l’elemento che convoca il gruppo e gli permette di darsi un’identità. Bauleo afferma che dichiarando la finalità del lavoro gruppale si consente ai membri di “scorniciarsi”, ovvero di liberarsi dalle maschere assunte nella quotidianità, caratterizzate da ruoli predefiniti e stereotipati.
Insiste sulla distinzione tra “esperienza di gruppo” e “concetto di gruppo”: indicando, con la prima espressione, il racconto del proprio vissuto all’interno dei gruppi che si sono attraversati (famiglia, amici, compagni di scuola, ecc.); e con la seconda, una nozione teorica necessaria per poter pensare alle dinamiche dei gruppi, per poter comprendere come si organizzano le situazioni e si legano gli elementi che entrano in gioco in un dispositivo gruppale.
Per esprimere il concetto di gruppo, fa riferimento ad una triangolarità costituita dalla relazione compito-organizzazione gruppale e dal legame della coordinazione con tale relazione: in questo rapporto triangolare, Bauleo fa notare che il coordinatore deve riuscire a mantenere una distanza ottimale rispetto alla relazione compito-organizzazione gruppale poiché è lì per ascoltare e co-pensare e non per gestire il gruppo.
Differenzia i concetti di "gruppo" e di "aggruppamento", affermando che solamente attraverso un difficile percorso di continui movimenti, irto di confusione e incertezza, le persone riunite che lavorano su un compito possono arrivare ad interiorizzarsi l’un l’altra, a riconoscersi come un “noi” e a diventare un gruppo.
A lui si deve la definizione di Concezione Operativa di Gruppo, con la quale propone una prospettiva teorica da utilizzare, all'interno del discorso sui gruppi e della psicologia sociale, come strumento per analizzare le dinamiche sociali e le modalità di produzione della soggettività.
Bauleo intende il gruppo come un'istanza ponte tra individuo e società e ritiene che sia attraverso il gruppo, costruzione ideologica per eccellenza, che è possibile indagare i meccanismi ideologici proposti dalla società: dunque intende l'utilizzo dei gruppi operativi come una prospettiva per osservare e intervenire nello spazio dell'intersoggettività che sta a fondamento dell'identità.
Sempre attento e interessato alle vicende politico-sociali che caratterizzano i vari momenti storici, scrive:
“Nella concezione operativa, la terapia gruppale tende a rispondere a tale intreccio storico, in cui la verticalità di ciascun soggetto si interseca con la orizzontalità del gruppo attuale; ma una terza linea completa questa ‘croce’: la trasversalità. Essa sta ad indicarci che, oltre la storia o il tempo individuale e gruppale, esiste una terza linea, la storia politico-sociale, che colora e risignifica costantemente le altre due” (1990).
Bauleo, infine, costretto esule dall’Argentina in periodo di dittatura, ha iniziato instancabilmente a viaggiare permettendo la diffusione della Concezione Operativa di Gruppo in molti paesi sia dell’America Latina (Brasile, Uruguay, Cile, Messico, Cuba) che dell’Europa (Spagna, Francia, Italia, Svizzera).
Bibliografia
Bauleo A. (1974), Ideologia, gruppo e famiglia, Feltrinelli, Milano, 1978
Bauleo A. (1990), Clinica gruppale, clinica istituzionale, Il Poligrafo, Padova, 1994
Bleger J., Psicoigiene e psicologia istituzionale, Libreria Editrice Lauretana, Loreto, 1989
Bleger J. (1967), Simbiosi e ambiguità – Studio psicoanalitico, Armando Editore, Roma 2010
Pichon–Riviere E., Il processo gruppale. Dalla psicoanalisi alla psicologia sociale, Libreria Editrice Lauretana, Loreto, 1985
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