TRADOTTI
LEZIONE INAUGURALE DELLA CATTEDRA DI PSICOANALISI
(Facoltà di Filosofia, Lettere e Scienze dell’Educazione dell’Università Nazionale del Litoral, Rosario, 1959)
di Josè Bleger
[p.56] Come avviene in tutto il mondo, anche nel nostro paese la formazione di psicoanalisti è a carico dell’Istituto di Psicoanalisi, che è un’organizzazione totalmente privata nel senso che non è parte o non dipende da nessuna struttura o organismo statale. E nel farmi carico oggi nei fatti, di questa prima cattedra universitaria di Psicoanalisi – la prima nel paese con questo nome – devo porre e risolvere alcune domande totalmente coinvolte nella natura della materia.
In primo luogo, si pone il problema di cosa insegnare. La risposta sembra ovvia, ma per ragioni che vedremo, non si può insegnare nell’Università la stessa cosa e nello stesso modo in cui si fa negli istituti di psicoanalisi. Il cosa insegnare è in rapporto con la natura della materia e con gli obiettivi che si perseguono. Vediamoli più attentamente.
Natura della materia. La psicoanalisi è strettamente e fondamentalmente legata alla fonte da cui è emersa: la terapeutica, in cui si verifica una felice coincidenza con la ricerca. Ambedue, terapeutica e ricerca, sono inseparabili nella psicoanalisi, che nella sua totalità ha senso pieno soltanto come una prassi nella quale vengono arricchite reciprocamente la teoria e la pratica, la tecnica e i suoi risultati. La teoria viene verificata permanentemente nei suoi risultati sull’oggetto di studio, e continuamente modificata e perfezionata nel campo di lavoro. Questo è ciò che corrisponde a ciò che è stato chiamato psicoanalisi clinica ed è funzione esclusiva dello psicoanalista. Dal suo campo di lavoro derivano conoscenze che possono essere applicate da specialisti di altri rami scientifici ai loro campi specifici; questo è ciò che viene denominata psicoanalisi applicata. Ciò arricchisce anche la psicoanalisi perché dal suo sviluppo derivano suggerimenti secondo l’idoneità che si trova nell’applicazione ad altri campi delle conoscenze psicoanalitiche. Così, si può citare il caso dell’applicazione della psicoanalisi all’antropologia, alla sociologia e alla psicologia sociale, che hanno avuto ricadute in modi molto differenti sui diversi argomenti della psicoanalisi.
La psicoanalisi applicata ha un campo molto vasto, tanto quanto quello della psicologia in generale.
Lo psicologo è colui che lavora nel campo specifico della relazione interpersonale in qualunque attività o lavoro dell’uomo. La psicologia è un mestiere, un lavoro che può arricchirsi con la psicoanalisi applicata. Non esistono fenomeni ai quali si debba applicare o che siano esclusivi della psicoanalisi o di una comprensione psicoanalitica, in opposizione ad altri fenomeni che sarebbero esclusivi di altre correnti o scuole psicologiche. Parlare di “casi psicoanalitici” come si sente con una certa frequenza, intendendo con ciò l’esistenza di fenomeni esclusivi che devono essere compresi o spiegati dalla psicoanalisi, è un errore grossolano in cui non si deve incorrere, così come il parlare di “caso adleriano” o “caso junghiano”. L’uomo interviene in tutto e in questo senso non c’è attività nella quale non possa - o debba – intervenire la [p. 57] psicologia o, meglio detto, lo psicologo, che può ampliare e integrare la sua comprensione, il suo pensiero e la sua operatività con la psicoanalisi applicata.
Se abbiamo riconosciuto nella psicoanalisi due direzioni o due campi di lavoro, possiamo tornare alla nostra domanda iniziale di che cosa insegnare all’Università, perché presumibilmente potremmo sceglierne uno o anche entrambi. Tuttavia, ciò non dipende dalla nostra decisione ma dagli strumenti che possiamo utilizzare nell’Università, per cui dobbiamo sapere come si forma uno psicoanalista.
La formazione dello psicoanalista. L’Istituto di Psicoanalisi è quello che forma psicoanalisti con preparazione per esercitare la psicoanalisi clinica, e abbiamo già visto che non si può applicare la psicoanalisi senza ricercare. Questa formazione è lenta e difficile; esige fondamentalmente che il candidato si sottoponga ad un trattamento psicoanalitico con uno psicoanalista didatta e, inoltre, la concorrenza e l’approvazione di tre anni di seminari con il controllo della sua pratica psicoanalitica per un minimo di cento ore. Dopo che tutti questi requisiti sono stati approvati, con un lavoro scientifico, il candidato entra come membro aderente dell’Associazione Psicoanalitica Argentina.
Evidentemente, tutto ciò non può essere effettuato nell’Università, e pertanto, l’obiettivo dell’insegnamento della psicoanalisi nella cattedra universitaria non può essere, in nessun modo, la formazione di psicoanalisti.
Che cosa insegnare nell’Università. Per l’esame della natura della materia (il suo carattere di teoria, tecnica, pratica e ricerca) e per le esigenze poste per essere psicoanalista, il problema di che cosa insegnare nell’Università arriva ad un bivio. Se sostengo, da un lato, che non c’è piena comprensione e assimilazione della psicoanalisi con la sola informazione teorica, dall’altro lato mi vedo limitato per il fatto che una cosa diversa non può essere realizzata nell’ambito universitario.
È questa impostazione a cui dobbiamo rispondere nel miglior modo possibile. Da una parte, con il corso di psicoanalisi a mio carico voi non sarete psicoanalisti. Se si suggerisce che dovremo attenerci a sviluppare un’informazione su che cosa è la psicoanalisi, risponderemo che ciò è indispensabile ma che non risolve il problema. E non lo risolve perché la formazione dello psicologo esige la gestione della psicologia non come una conoscenza umanistica bensì come mestiere. E non possiamo e né dobbiamo ridurre la psicoanalisi ad un psicologia scolastica. La cattedra non deve essere usata per divulgare la psicoanalisi nel senso di semplificarla in modo che sia conosciuta e ripetuta ciecamente.
Poste così le cose, ci troviamo a prima vista in una strada senza uscita. Tuttavia, riconsiderando gli approcci, ci rendiamo conto che sono loro che ci hanno indotti a questa carenza di prospettive. È accaduto un’altra volta ciò che già indicava Socrate: ciò che risponde è ciò che interroga, nel senso che il tipo di questione e il modo di porla implica i tipi di risposta e le loro limitazioni. Il punto cruciale si trova nell’aver posto l’informazione in un modo molto formale. E questo per una ragione molto semplice: in psicoanalisi l’informazione è di per sé operativa e possiamo ricorrere a mezzi che tendono a che sia quanto più operativa possibile.
Che cosa significa che l’informazione è operativa? Vuol dire che è possibile ottenere, nel somministrare l’informazione, una modificazione della maniera di lavorare e pensare dello psicologo e – in termini più generali – una modifica della sua personalità, in misura variabile. Solamente con questa ampiezza dell’informazione si otterrà l’apprendimento della psicoanalisi applicata.
Abbiamo ora una risposta alla domanda su che cosa insegnare nell’Università: un’informazione della psicoanalisi somministrata in modo tale da operare al massimo sullo schema di riferimento dello studente.
L’informazione. Deve coprire tutti gli aspetti della psicoanalisi: storia, tecnica, teoria, la formazione dello psicoanalista, l’estensione della psicoanalisi applicata e le sue prospettive; il suo sviluppo e le sue dissidenze, i suoi approcci e la problematica che comporta, i suoi punti fermi e solidi così come i suoi aspetti ancora non risolti.
D’altra parte, e strettamente collegato [p. 58] a tutto questo, apprendere e insegnare devono consistere nel riesaminare e non solo nel ripetere; problematizzare e far sentire l’informazione come qualcosa di vivo, in movimento e in continua creazione.
Seguendo le opinioni di Enrique J. Pichon-Rivière, studieremo la psicoanalisi attuale come punto di partenza e come ciò che è più essenziale. Ciò non significa che gli aspetti storici saranno meno apprezzati nell’informazione. In nessun modo, perché consideriamo che studiare lo sviluppo storico di una disciplina scientifica abbia una funzione normativa, ma lo ha nel suo massimo grado quando la storia è riconsiderata in funzione degli ultimi risultati a cui è arrivata.
Ciò che insegneremo non sarà neppure l’elementare. Fondamentalmente perché quest’ultimo concetto è ingannevole. Mentre è certo che è necessario graduare la somministrazione e l’assimilazione dell’informazione, non è meno certo che si deve conservare il suo livello più alto e il suo grado di complessità e persino l’oscurità, se c’è; l’“elementare” è una finzione con la quale si sovverte la realtà ricca e complessa, che mai è elementare, e inoltre si riduce o si limita la possibilità di creare inquietudini nello studente.
Manterremo un livello alto nell’informazione perché questo è il più reale; non risparmieremo la complessità dei fatti e né ridurremo ciò che viene ignorato o non è ben comprovato.
Il pensare dinamico. Abbiamo detto che l’informazione è operativa e che faremo tutto il possibile affinché lo sia nel massimo grado. Ci prenderemo cura non solo di ottenere un’informazione ma che si sia capaci di utilizzarla, che venga incorporata nello schema di riferimento dello studente. Abbiamo detto che solo in questo modo si apprenderà la psicoanalisi applicata.
Insisto su questo aspetto perché la psicologia non è materia di elucubrazione. Per essere psicologo è necessario assimilare la psicologia come mestiere e lavorare con essa in un campo concreto della realtà.
Deve essere sempre meno frequente l’insolito fenomeno per cui un’informazione enciclopedica – nel migliore dei casi – sia associata ad un totale svincolo da ogni pratica, o anche collegata ad un empirismo grossolano. In psicologia c’è, in generale, grande distanza tra ciò che viene formulato e ciò che viene applicato. Abbiamo già felicemente superato, in psicologia, la fase delle teorie e delle speculazioni elaborate fuori dal campo di lavoro. Qualunque sia il campo in cui lavora lo psicologo, questo può venirne beneficiato con la psicoanalisi applicata e con il pensiero dinamico.
Che cosa significa incorporare un pensare dinamico o psicoanalitico? Sommariamente possiamo dire che significa:
1) agire e pensare nel livello umano di tutto ciò che si studia; nell’uomo come mediatore o attore di tutto, assolutamente di tutto;
2) tenere in considerazione il carattere significativo della condotta;
3) focalizzarsi permanentemente sull’essere umano e sulla sua condotta come un processo in continuo intergioco con l’ambiente culturale, nel quale l’uomo costruisce la cultura e in questo compito costruisce se stesso;
4) lo studio della condotta nelle sue motivazioni, oggetto e finalità;
5) comprendere il vincolo dei fenomeni psicologici con la vita reale e concreta, nelle sue complicate interazioni;
6) aprire la comprensione e la sensibilità per tutte le sfaccettature della vita umana con i suoi problemi e conflitti.
Come insegnare. Il che cosa insegnare deve essere integrato con il come insegnare, altrimenti saremmo passibili delle stesse critiche che abbiamo formulato agli psicologi specialisti in esegesi bibliografiche, svincolati da ogni pratica.
In primo luogo, si deve insegnare elaborando contraddizioni e sintetizzando frammenti.
Voglio evitare in ogni modo l’aberrazione che ho visto spesso in studenti e professionisti che “sanno” tanta psicoanalisi quanto comportamentismo, neopsicoanalisi, gestalt, riflessologia, ecc., ecc., ma ogni cosa separata l’una dall’altra e applicando una volta una cosa e un’altra volta un’altra. In questo modo si riflette individualmente il caos dei testi di psicologia e della psicologia stessa. Si deve integrare l’informazione. Questo non è compito facile ma ci si deve provare. Pensiamo che si stia delineando una psicologia moderna che sintetizzi conoscenze provenienti da diversi campi o da diverse correnti e che risolva molte false [p. 59] antinomie collocando ciascun corpo teorico in base alla parte della realtà che ha assunto e in base al modo in cui è stata studiata.
L’inquietudine intellettuale degli studenti è un buon fermento per mobilizzare gli stereotipi o la routine dei professori. La capacità e l’inquietudine della ricerca dipendono in gran parte dal fatto che vengano riaccese e conservate, in qualche misura, lo stupore, l’inquietudine e l’ansia dell’adolescente.
È necessario riconoscere, per questo, che con il passare degli anni si allontanano le inquietudini dell’adolescente di fronte al mondo sconosciuto. Ma non perché abbiano risolto i grandi interrogativi che si sono posti all’adolescente di fronte all’ignoto.
Sintetizzare non è innestare, non è cancellare le differenze, non è occultare contraddizioni e né è conciliazione; è rielaborare le conoscenze in maniera operativa; è aprire la problematica e ravvivare i punti in contraddizione, è esaminare, rivedere le conoscenze di un campo con le ipotesi estratte da altri. Per questo, riconsideriamo alcuni problemi della psicologia accademica, come quello dell’attenzione, della memoria, del giudizio, ecc., così come riconsideriamo la psicoanalisi in funzione dei punti di vista estratti dalla Gestalt, dal comportamentismo, dalla fenomenologia.
Come è implicito in ciò che è stato detto, sosteniamo che tutto ciò che si insegna debba essere allo stesso tempo oggetto della ricerca mentre viene insegnato. L’unico modo vivo e completo di insegnare è di ricercare e apprendere mentre si insegna. Gli stereotipi del pensiero e dell’informazione sono tanto nocivi per lo studente come per il professore. Probabilmente è peggio per quest’ultimo.
L’elaborazione che postuliamo non è, d’altra parte, un compito unicamente di delucidazione e di confronto teorico; può essere raggiunto solo in un compito completo, teorico e pratico. Per questo e per molti motivi è imprescindibile che lo psicologo lavori sul campo (in qualsiasi specialità), sostenga la teoria che sosterrà. La psicologia come pura speculazione non è compito dello psicologo in quanto tale.
Basandoci su tutte queste considerazioni, dedicheremo il tempo disponibile tanto alla teoria quanto alla pratica. Cercheremo, nel possibile, di evitare l’errore che i lavori pratici siano integrati da commenti testuali. Le lezioni saranno tanto teoriche quanto pratiche, perché altrimenti si fomenta una dicotomia che disturba l’apprendimento. Utilizzeremo materiale clinico, colloqui di ogni tipo, materiale di propaganda, storie per bambini, materiale letterario, sociologico, antropologico, battute, materiale grafico e pittorico, ecc.
Nell’insegnamento e nell’apprendimento (entrambi devono essere parte di un medesimo processo) è necessario chiedere e chiedersi, tanto quanto si deve stimolare a chiedere. Non c’è apprendimento nella passività. Neppure c’è apprendimento fuori della relazione interpersonale. Non c’è motivo di esigere le risposte a tutte le domande; la ricerca ha il punto di partenza nel momento in cui si è capaci di dire “non so”. Ciò che il professore deve esigere è la gestione delle tecniche del pensare – individuale e di gruppo – per le quali si può aprire la strada alle risposte.
Non è mia intenzione riferirmi né alla metodologia delle scienze, né a problemi di didattica e né alla psicologia del pensare. Quello che voglio venga compreso è che dobbiamo lavorare tutti perché non è solamente assimilazione di dati o di una materia ciò che è richiesto nella cattedra universitaria, ma anche e fondamentalmente, l’apprendere a problematizzare, aprire interrogativi e pensare il modo di risolverli. Il pensare è l’asse della ricerca e di una prassi razionale. La burocrazia istallata nel pensiero si chiama routine e sterilità. Ci sono ansie e difese collegate al processo della conoscenza e all’oggetto della conoscenza; c’è anche una patologia del conoscere e del pensare che distorce, blocca e sterilizza. Ci occuperemo anche di tutto questo nello sviluppo della materia.
Analisi profana e analisi selvaggia. Da quanto abbiamo esposto fin qui, possiamo riassumere una delle conclusioni fondamentali: nell’Università possiamo solo insegnare psicoanalisi applicata. E, a tal fine, abbiamo puntualizzato che cosa intendiamo per psicoanalisi applicata.
Se la psicoanalisi, come disciplina, può essere divisa in clinica e applicata, è anche necessario [p. 60] definire che cosa sono l’analisi profana e l’analisi selvaggia. La prima è quella esercitata da persone di corretta e completa formazione, ma estranee alla professione medica. Questo problema non è solamente un problema di carattere legale, ma la cui discussione non tocca l’insegnamento che viene impartito nell’Università, perché abbiamo già definito chiaramente che fino ad ora, e sicuramente per molto tempo ancora, gli psicoanalisti vengono formati solo ed esclusivamente negli istituti di psicoanalisi.
L’analisi selvaggia è l’utilizzo terapeutico della psicoanalisi da parte di persone non preparate tecnicamente e teoricamente per farlo, siano queste medici o no. Per la psicoanalisi questo è un problema più serio dell’analisi profana. Da tutto quanto detto si inferisce facilmente che l’insegnamento della materia a mio carico non tende a formare né psicoanalisti profani né psicoanalisti selvaggi. Si tratta di arricchire il campo di lavoro dello psicologo con la gestione della psicoanalisi applicata che include in modo indispensabile – come abbiamo già segnalato – un pensiero dinamico.
Fonte della versione stampata: Bleger, J. (1962). Clase inaugural de la Cátedra de Psicoanálisis. Acta Psiquiátrica y Psicológica Argentina, 8 (1), 56-60 [marzo de 1962].
Fonte della versione digitale: Psicomundo Argentina. Descargado de http://psicomundo.com/argentina/historia/bleger.htm; 10/10/2002
[p.56] Come avviene in tutto il mondo, anche nel nostro paese la formazione di psicoanalisti è a carico dell’Istituto di Psicoanalisi, che è un’organizzazione totalmente privata nel senso che non è parte o non dipende da nessuna struttura o organismo statale. E nel farmi carico oggi nei fatti, di questa prima cattedra universitaria di Psicoanalisi – la prima nel paese con questo nome – devo porre e risolvere alcune domande totalmente coinvolte nella natura della materia.
In primo luogo, si pone il problema di cosa insegnare. La risposta sembra ovvia, ma per ragioni che vedremo, non si può insegnare nell’Università la stessa cosa e nello stesso modo in cui si fa negli istituti di psicoanalisi. Il cosa insegnare è in rapporto con la natura della materia e con gli obiettivi che si perseguono. Vediamoli più attentamente.
Natura della materia. La psicoanalisi è strettamente e fondamentalmente legata alla fonte da cui è emersa: la terapeutica, in cui si verifica una felice coincidenza con la ricerca. Ambedue, terapeutica e ricerca, sono inseparabili nella psicoanalisi, che nella sua totalità ha senso pieno soltanto come una prassi nella quale vengono arricchite reciprocamente la teoria e la pratica, la tecnica e i suoi risultati. La teoria viene verificata permanentemente nei suoi risultati sull’oggetto di studio, e continuamente modificata e perfezionata nel campo di lavoro. Questo è ciò che corrisponde a ciò che è stato chiamato psicoanalisi clinica ed è funzione esclusiva dello psicoanalista. Dal suo campo di lavoro derivano conoscenze che possono essere applicate da specialisti di altri rami scientifici ai loro campi specifici; questo è ciò che viene denominata psicoanalisi applicata. Ciò arricchisce anche la psicoanalisi perché dal suo sviluppo derivano suggerimenti secondo l’idoneità che si trova nell’applicazione ad altri campi delle conoscenze psicoanalitiche. Così, si può citare il caso dell’applicazione della psicoanalisi all’antropologia, alla sociologia e alla psicologia sociale, che hanno avuto ricadute in modi molto differenti sui diversi argomenti della psicoanalisi.
La psicoanalisi applicata ha un campo molto vasto, tanto quanto quello della psicologia in generale.
Lo psicologo è colui che lavora nel campo specifico della relazione interpersonale in qualunque attività o lavoro dell’uomo. La psicologia è un mestiere, un lavoro che può arricchirsi con la psicoanalisi applicata. Non esistono fenomeni ai quali si debba applicare o che siano esclusivi della psicoanalisi o di una comprensione psicoanalitica, in opposizione ad altri fenomeni che sarebbero esclusivi di altre correnti o scuole psicologiche. Parlare di “casi psicoanalitici” come si sente con una certa frequenza, intendendo con ciò l’esistenza di fenomeni esclusivi che devono essere compresi o spiegati dalla psicoanalisi, è un errore grossolano in cui non si deve incorrere, così come il parlare di “caso adleriano” o “caso junghiano”. L’uomo interviene in tutto e in questo senso non c’è attività nella quale non possa - o debba – intervenire la [p. 57] psicologia o, meglio detto, lo psicologo, che può ampliare e integrare la sua comprensione, il suo pensiero e la sua operatività con la psicoanalisi applicata.
Se abbiamo riconosciuto nella psicoanalisi due direzioni o due campi di lavoro, possiamo tornare alla nostra domanda iniziale di che cosa insegnare all’Università, perché presumibilmente potremmo sceglierne uno o anche entrambi. Tuttavia, ciò non dipende dalla nostra decisione ma dagli strumenti che possiamo utilizzare nell’Università, per cui dobbiamo sapere come si forma uno psicoanalista.
La formazione dello psicoanalista. L’Istituto di Psicoanalisi è quello che forma psicoanalisti con preparazione per esercitare la psicoanalisi clinica, e abbiamo già visto che non si può applicare la psicoanalisi senza ricercare. Questa formazione è lenta e difficile; esige fondamentalmente che il candidato si sottoponga ad un trattamento psicoanalitico con uno psicoanalista didatta e, inoltre, la concorrenza e l’approvazione di tre anni di seminari con il controllo della sua pratica psicoanalitica per un minimo di cento ore. Dopo che tutti questi requisiti sono stati approvati, con un lavoro scientifico, il candidato entra come membro aderente dell’Associazione Psicoanalitica Argentina.
Evidentemente, tutto ciò non può essere effettuato nell’Università, e pertanto, l’obiettivo dell’insegnamento della psicoanalisi nella cattedra universitaria non può essere, in nessun modo, la formazione di psicoanalisti.
Che cosa insegnare nell’Università. Per l’esame della natura della materia (il suo carattere di teoria, tecnica, pratica e ricerca) e per le esigenze poste per essere psicoanalista, il problema di che cosa insegnare nell’Università arriva ad un bivio. Se sostengo, da un lato, che non c’è piena comprensione e assimilazione della psicoanalisi con la sola informazione teorica, dall’altro lato mi vedo limitato per il fatto che una cosa diversa non può essere realizzata nell’ambito universitario.
È questa impostazione a cui dobbiamo rispondere nel miglior modo possibile. Da una parte, con il corso di psicoanalisi a mio carico voi non sarete psicoanalisti. Se si suggerisce che dovremo attenerci a sviluppare un’informazione su che cosa è la psicoanalisi, risponderemo che ciò è indispensabile ma che non risolve il problema. E non lo risolve perché la formazione dello psicologo esige la gestione della psicologia non come una conoscenza umanistica bensì come mestiere. E non possiamo e né dobbiamo ridurre la psicoanalisi ad un psicologia scolastica. La cattedra non deve essere usata per divulgare la psicoanalisi nel senso di semplificarla in modo che sia conosciuta e ripetuta ciecamente.
Poste così le cose, ci troviamo a prima vista in una strada senza uscita. Tuttavia, riconsiderando gli approcci, ci rendiamo conto che sono loro che ci hanno indotti a questa carenza di prospettive. È accaduto un’altra volta ciò che già indicava Socrate: ciò che risponde è ciò che interroga, nel senso che il tipo di questione e il modo di porla implica i tipi di risposta e le loro limitazioni. Il punto cruciale si trova nell’aver posto l’informazione in un modo molto formale. E questo per una ragione molto semplice: in psicoanalisi l’informazione è di per sé operativa e possiamo ricorrere a mezzi che tendono a che sia quanto più operativa possibile.
Che cosa significa che l’informazione è operativa? Vuol dire che è possibile ottenere, nel somministrare l’informazione, una modificazione della maniera di lavorare e pensare dello psicologo e – in termini più generali – una modifica della sua personalità, in misura variabile. Solamente con questa ampiezza dell’informazione si otterrà l’apprendimento della psicoanalisi applicata.
Abbiamo ora una risposta alla domanda su che cosa insegnare nell’Università: un’informazione della psicoanalisi somministrata in modo tale da operare al massimo sullo schema di riferimento dello studente.
L’informazione. Deve coprire tutti gli aspetti della psicoanalisi: storia, tecnica, teoria, la formazione dello psicoanalista, l’estensione della psicoanalisi applicata e le sue prospettive; il suo sviluppo e le sue dissidenze, i suoi approcci e la problematica che comporta, i suoi punti fermi e solidi così come i suoi aspetti ancora non risolti.
D’altra parte, e strettamente collegato [p. 58] a tutto questo, apprendere e insegnare devono consistere nel riesaminare e non solo nel ripetere; problematizzare e far sentire l’informazione come qualcosa di vivo, in movimento e in continua creazione.
Seguendo le opinioni di Enrique J. Pichon-Rivière, studieremo la psicoanalisi attuale come punto di partenza e come ciò che è più essenziale. Ciò non significa che gli aspetti storici saranno meno apprezzati nell’informazione. In nessun modo, perché consideriamo che studiare lo sviluppo storico di una disciplina scientifica abbia una funzione normativa, ma lo ha nel suo massimo grado quando la storia è riconsiderata in funzione degli ultimi risultati a cui è arrivata.
Ciò che insegneremo non sarà neppure l’elementare. Fondamentalmente perché quest’ultimo concetto è ingannevole. Mentre è certo che è necessario graduare la somministrazione e l’assimilazione dell’informazione, non è meno certo che si deve conservare il suo livello più alto e il suo grado di complessità e persino l’oscurità, se c’è; l’“elementare” è una finzione con la quale si sovverte la realtà ricca e complessa, che mai è elementare, e inoltre si riduce o si limita la possibilità di creare inquietudini nello studente.
Manterremo un livello alto nell’informazione perché questo è il più reale; non risparmieremo la complessità dei fatti e né ridurremo ciò che viene ignorato o non è ben comprovato.
Il pensare dinamico. Abbiamo detto che l’informazione è operativa e che faremo tutto il possibile affinché lo sia nel massimo grado. Ci prenderemo cura non solo di ottenere un’informazione ma che si sia capaci di utilizzarla, che venga incorporata nello schema di riferimento dello studente. Abbiamo detto che solo in questo modo si apprenderà la psicoanalisi applicata.
Insisto su questo aspetto perché la psicologia non è materia di elucubrazione. Per essere psicologo è necessario assimilare la psicologia come mestiere e lavorare con essa in un campo concreto della realtà.
Deve essere sempre meno frequente l’insolito fenomeno per cui un’informazione enciclopedica – nel migliore dei casi – sia associata ad un totale svincolo da ogni pratica, o anche collegata ad un empirismo grossolano. In psicologia c’è, in generale, grande distanza tra ciò che viene formulato e ciò che viene applicato. Abbiamo già felicemente superato, in psicologia, la fase delle teorie e delle speculazioni elaborate fuori dal campo di lavoro. Qualunque sia il campo in cui lavora lo psicologo, questo può venirne beneficiato con la psicoanalisi applicata e con il pensiero dinamico.
Che cosa significa incorporare un pensare dinamico o psicoanalitico? Sommariamente possiamo dire che significa:
1) agire e pensare nel livello umano di tutto ciò che si studia; nell’uomo come mediatore o attore di tutto, assolutamente di tutto;
2) tenere in considerazione il carattere significativo della condotta;
3) focalizzarsi permanentemente sull’essere umano e sulla sua condotta come un processo in continuo intergioco con l’ambiente culturale, nel quale l’uomo costruisce la cultura e in questo compito costruisce se stesso;
4) lo studio della condotta nelle sue motivazioni, oggetto e finalità;
5) comprendere il vincolo dei fenomeni psicologici con la vita reale e concreta, nelle sue complicate interazioni;
6) aprire la comprensione e la sensibilità per tutte le sfaccettature della vita umana con i suoi problemi e conflitti.
Come insegnare. Il che cosa insegnare deve essere integrato con il come insegnare, altrimenti saremmo passibili delle stesse critiche che abbiamo formulato agli psicologi specialisti in esegesi bibliografiche, svincolati da ogni pratica.
In primo luogo, si deve insegnare elaborando contraddizioni e sintetizzando frammenti.
Voglio evitare in ogni modo l’aberrazione che ho visto spesso in studenti e professionisti che “sanno” tanta psicoanalisi quanto comportamentismo, neopsicoanalisi, gestalt, riflessologia, ecc., ecc., ma ogni cosa separata l’una dall’altra e applicando una volta una cosa e un’altra volta un’altra. In questo modo si riflette individualmente il caos dei testi di psicologia e della psicologia stessa. Si deve integrare l’informazione. Questo non è compito facile ma ci si deve provare. Pensiamo che si stia delineando una psicologia moderna che sintetizzi conoscenze provenienti da diversi campi o da diverse correnti e che risolva molte false [p. 59] antinomie collocando ciascun corpo teorico in base alla parte della realtà che ha assunto e in base al modo in cui è stata studiata.
L’inquietudine intellettuale degli studenti è un buon fermento per mobilizzare gli stereotipi o la routine dei professori. La capacità e l’inquietudine della ricerca dipendono in gran parte dal fatto che vengano riaccese e conservate, in qualche misura, lo stupore, l’inquietudine e l’ansia dell’adolescente.
È necessario riconoscere, per questo, che con il passare degli anni si allontanano le inquietudini dell’adolescente di fronte al mondo sconosciuto. Ma non perché abbiano risolto i grandi interrogativi che si sono posti all’adolescente di fronte all’ignoto.
Sintetizzare non è innestare, non è cancellare le differenze, non è occultare contraddizioni e né è conciliazione; è rielaborare le conoscenze in maniera operativa; è aprire la problematica e ravvivare i punti in contraddizione, è esaminare, rivedere le conoscenze di un campo con le ipotesi estratte da altri. Per questo, riconsideriamo alcuni problemi della psicologia accademica, come quello dell’attenzione, della memoria, del giudizio, ecc., così come riconsideriamo la psicoanalisi in funzione dei punti di vista estratti dalla Gestalt, dal comportamentismo, dalla fenomenologia.
Come è implicito in ciò che è stato detto, sosteniamo che tutto ciò che si insegna debba essere allo stesso tempo oggetto della ricerca mentre viene insegnato. L’unico modo vivo e completo di insegnare è di ricercare e apprendere mentre si insegna. Gli stereotipi del pensiero e dell’informazione sono tanto nocivi per lo studente come per il professore. Probabilmente è peggio per quest’ultimo.
L’elaborazione che postuliamo non è, d’altra parte, un compito unicamente di delucidazione e di confronto teorico; può essere raggiunto solo in un compito completo, teorico e pratico. Per questo e per molti motivi è imprescindibile che lo psicologo lavori sul campo (in qualsiasi specialità), sostenga la teoria che sosterrà. La psicologia come pura speculazione non è compito dello psicologo in quanto tale.
Basandoci su tutte queste considerazioni, dedicheremo il tempo disponibile tanto alla teoria quanto alla pratica. Cercheremo, nel possibile, di evitare l’errore che i lavori pratici siano integrati da commenti testuali. Le lezioni saranno tanto teoriche quanto pratiche, perché altrimenti si fomenta una dicotomia che disturba l’apprendimento. Utilizzeremo materiale clinico, colloqui di ogni tipo, materiale di propaganda, storie per bambini, materiale letterario, sociologico, antropologico, battute, materiale grafico e pittorico, ecc.
Nell’insegnamento e nell’apprendimento (entrambi devono essere parte di un medesimo processo) è necessario chiedere e chiedersi, tanto quanto si deve stimolare a chiedere. Non c’è apprendimento nella passività. Neppure c’è apprendimento fuori della relazione interpersonale. Non c’è motivo di esigere le risposte a tutte le domande; la ricerca ha il punto di partenza nel momento in cui si è capaci di dire “non so”. Ciò che il professore deve esigere è la gestione delle tecniche del pensare – individuale e di gruppo – per le quali si può aprire la strada alle risposte.
Non è mia intenzione riferirmi né alla metodologia delle scienze, né a problemi di didattica e né alla psicologia del pensare. Quello che voglio venga compreso è che dobbiamo lavorare tutti perché non è solamente assimilazione di dati o di una materia ciò che è richiesto nella cattedra universitaria, ma anche e fondamentalmente, l’apprendere a problematizzare, aprire interrogativi e pensare il modo di risolverli. Il pensare è l’asse della ricerca e di una prassi razionale. La burocrazia istallata nel pensiero si chiama routine e sterilità. Ci sono ansie e difese collegate al processo della conoscenza e all’oggetto della conoscenza; c’è anche una patologia del conoscere e del pensare che distorce, blocca e sterilizza. Ci occuperemo anche di tutto questo nello sviluppo della materia.
Analisi profana e analisi selvaggia. Da quanto abbiamo esposto fin qui, possiamo riassumere una delle conclusioni fondamentali: nell’Università possiamo solo insegnare psicoanalisi applicata. E, a tal fine, abbiamo puntualizzato che cosa intendiamo per psicoanalisi applicata.
Se la psicoanalisi, come disciplina, può essere divisa in clinica e applicata, è anche necessario [p. 60] definire che cosa sono l’analisi profana e l’analisi selvaggia. La prima è quella esercitata da persone di corretta e completa formazione, ma estranee alla professione medica. Questo problema non è solamente un problema di carattere legale, ma la cui discussione non tocca l’insegnamento che viene impartito nell’Università, perché abbiamo già definito chiaramente che fino ad ora, e sicuramente per molto tempo ancora, gli psicoanalisti vengono formati solo ed esclusivamente negli istituti di psicoanalisi.
L’analisi selvaggia è l’utilizzo terapeutico della psicoanalisi da parte di persone non preparate tecnicamente e teoricamente per farlo, siano queste medici o no. Per la psicoanalisi questo è un problema più serio dell’analisi profana. Da tutto quanto detto si inferisce facilmente che l’insegnamento della materia a mio carico non tende a formare né psicoanalisti profani né psicoanalisti selvaggi. Si tratta di arricchire il campo di lavoro dello psicologo con la gestione della psicoanalisi applicata che include in modo indispensabile – come abbiamo già segnalato – un pensiero dinamico.
Fonte della versione stampata: Bleger, J. (1962). Clase inaugural de la Cátedra de Psicoanálisis. Acta Psiquiátrica y Psicológica Argentina, 8 (1), 56-60 [marzo de 1962].
Fonte della versione digitale: Psicomundo Argentina. Descargado de http://psicomundo.com/argentina/historia/bleger.htm; 10/10/2002
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