TRADOTTI
POSIZIONE SCHIZOPARANOIDE, DEPRESSIVA E PATORITMICA. APPROCCIO FREUDIANO, KLEINIANO E RIFLESSOLOGICO. LA NOSTRA POSIZIONE.
Lezione dettata dal Dr. Enrique Pichon-Rivière, il 11/07/1966 (Primo anno)
SCUOLA PRIVATA DI PSICHIATRIA SOCIALE, Lezione n. 9
(Il titolo originale della lezione, ripresa dal sito www.espiraldialectica.com, è “Posición esquizoparanoide, depresiva y patorrítmica. Enfoque Freudiano, Kleiniano y Reflexológico. Nuestra posición” e la traduzione dallo spagnolo è ad opera di Lorenzo Sartini)
Andiamo ad introdurci nuovamente nelle depressioni, in quanto è un nucleo fondamentale in patologia, ricordando sempre che uno si ammala di amore o per odio (frustrazione per la perdita, che comporta ciò che si chiama nevrosi). L’ammettere una protodepressione – la prima – è una posizione teorica, ma necessaria, per spiegare il passo seguente, dal momento che lo sviluppo inizia con la posizione schizoparanoide in forma evidente e post-natale. Vuol dire che si è avuto "splitting", e se ci sono oggetti parziali, ciò indica che prima si sono avuti oggetti totali; se ci sono due tipi di vincoli – buoni e cattivi – vuol dire che, prima, si è avuto un intricato vincolo a quattro vie. Questa è un’inferenza (perché, naturalmente, nessuno nato di recente ha confessato questa cosa) che si appoggia sulle conseguenze e sui risultati posteriori.
Le posizioni studiate da Melanie Klein sono la schizoparanoide e la depressiva, alla quale noi aggiungiamo una terza, che è la posizione patoritmica, che riguarda un aspetto della situazione totale. La prima discriminazione che il bambino stabilisce alla nascita è tra vincolo buono (oggetto buono) e vincolo cattivo (oggetto cattivo), cioè tra oggetti parziali. Vuol dire che il suo interesse non è diretto al corpo totale del padre o della madre ma ad una parte di essa, che è il seno, che considera, alternativamente, buono e cattivo, in accordo con la gratificazione o la frustrazione che da esso riceve. L’oggetto gratificante è considerato buono e il frustrante, cattivo. Tranne il caso in cui il soggetto sia tanto masochista che una gratificazione scateni in lui una frustrazione.
Il problema si pone, allora, in termini di raggiungimento della gratificazione o no (frustrazione). La gratificazione di una necessità motivata biologicamente (sete, fame, aria, ecc.) comporta i primi vincoli buoni con la realtà. Non come istinto, ma come comportamento. Quindi, se si riceve ciò che serve in quel momento, ottiene una gratificazione, e l’oggetto che lo gratifica è un oggetto buono gratificante. Se in una situazione di fame non riceve una gratificazione adeguata, l’oggetto che non lo gratifica è un oggetto cattivo frustrante. Questa gratificazione può solamente essere inadeguata in due sensi: per un eccesso (di latte) o per una mancanza. Vale a dire che nel bambino ci sono frustrazioni molto precoci, prodotte da un’invasione di latte che è vissuta come una cosa aggressiva, che sente che lo affoga, che è in grado di affogare, ma più frequente ancora è la mancanza (in cui c’è un deficit alimentare), non solamente di alimentazione ma di trattamento, di gestione, di affetto e di tenerezza.
Il bambino deve sentire, prendendo il seno, il calore del corpo della madre, che è la cosa fondamentale. Perché nelle situazioni nelle quali viene sostituita la madre perché non ha latte, l’enfasi è posta soprattutto sulla posizione, sul grado di contatto fisico, sull’atto di tenerlo in braccio e contro di sé, nell’atto stesso dell’allattamento. La frustrazione, quindi, può avere molti motivi. Ma vanno insieme alla quantità di cibo adeguato che è in grado di assorbire il bambino in quel momento (il dosaggio), più l’atteggiamento adeguato di fronte al bambino: si costituisce un’insieme che dà al bambino tutto l’aspetto di un oggetto buono. E siccome è un oggetto parziale e non c’è discriminazione di parti, l’oggetto è totalmente buono. Mentre se il dosaggio è adeguato (positivo) e l’atteggiamento è negativo (madri che rifiutano il bambino durante l’allattamento), abbiamo una situazione di carenza di affetto, che costituisce un oggetto cattivo; non ha gratificato la fame e non è riuscito a disinnescare questa sensazione di fame che è motivata ed è sentita organicamente, formando i primi collegamenti tra la mente, il corpo ed il mondo del bambino.
Il bambino vive un’esperienza totale o totalizzante, dove sono impegnati corpo, mente e mondo in un’azione congiunta. Nella posizione schizoparanoide incontriamo due aspetti dell’oggetto: che è parziale e che è totale. L’esistenza di due vincoli e di due oggetti parziali, che uniti formeranno un oggetto totale (come vedremo nella posizione depressiva), farebbe pensare che ci sia stata una fase precedente, che chiameremo la protodepressione della nascita, nella quale, durante la vita intrauterina, il soggetto raggiunge un’integrazione dell’io che comporta come conseguenza l’integrazione di due oggetti. Perché il bambino nasce in una condizione molto speciale: nasce nella condizione di poter iniziare la vita, se no muore. Ha raggiunto un grado di maturazione dell’io, dove i suoi aspetti funzionali sono elaborati. Nei bambini prematuri si vede che ci sono perturbazioni della suzione, per esempio (ciò che si può vedere nella vita adulta per una goffagine funzionale), per il fatto di essere nato prima del tempo stipulato nel quale può venire realizzata una suzione normale. Ci sono anche bambini che rifiutano il seno sin dal suo primo avvicinamento. Questo comporta conflitti molto seri nella madre, che può deprimersi ed essere considerata incapace dall’ambiente familiare per il fatto di non riuscire a dare il seno al proprio figlio, nonostante abbia tutti gli elementi (seno, capezzolo e latte).
In questa cosa, si può scoprire che l’atteggiamento (il dosaggio non si può realizzare perché il bambino non prende il seno) captato dal bambino incosciamente è di rifiuto, nonostante che, a livello manifesto, possa dimostrare tutto il contrario. Questo conflitto di ambivalenza è quello che ammala la madre, che fa una psicosi o nevrosi puerperale. Vale a dire che, nonostante il suo grande desiderio cosciente di alimentare il suo bambino, esiste un rifiuto inconscio (per esempio, perché il bambino è molto simile al padre). Il bambino che rifiuta il seno è una situazione estrema. L’altra è quella dei bambini di otto o nove anni che, alla nascita di un fratello, regrediscono e chiedono di condividere il seno materno.
La condotta orale del bambino in relazione con l’allattamento non può essere studiata solamente dal lato del bambino (salvo che abbia una malformazione, come il labbro leporino, ecc.), ma lo si deve fare anche dal lato della madre. In base a questo, Spitz ha potuto fare un quadro (che si è potuto provare quasi sempre) classificando le malattie psicosomatiche del bambino, inaugurando così la psichiatria del lattante. Ciò significa che tutte le malattie psicosomatiche che ha il bambino possono essere classificate in un ordine equivalente a determinati atteggiamenti della madre. Così, una colica o disturbi digestivi di altra indole – che arrivano fino a gradi di tossicosi e che si esprimono attraverso il rifiuto del seno – sono collegati con atteggiamenti "franchi o dichiarati" della madre, ma derivano di più dall’effetto che ha sul bambino l’atteggiamento latente della madre.
È qui dove noi non ci capiamo con i pediatri, perché l’atteggiamento manifesto può essere di un eccesso di protezione e l’atteggiamento latente essere di una tremenda ostilità verso il bambino; ostilità che è sconosciuta dalla propria paziente (e per la quale vorremmo dire che non ha colpa) ma il bambino capta la comunicazione soggiacente, latente, in quanto è uno specialista nelle comunicazioni soggiacenti, e scopre che l’atteggiamento manifesto è un’impostura. La sua esperienza con gli adulti gli ha provato che molte di queste prove di affetto molto teatrali, molto magniloquenti, sono impostura, dopodiché lui non crede più a niente. Questa comunicazione inconscio a inconscio, tra il dare e il ricevere, causa tutte le patologie psicosomatiche del bambino che vanno dall’anoressia fino alla cachessia, dal vomito fino ad una serie di sindromi che sono caratteristiche nel bambino.
Così, il bambino, di fronte all’allattamento, si deve confrontare con il prototipo della posizione catastrofica. Nella misura in cui ha organizzato una vera e propria impresa di suzione, si produce lo svezzamento, che è il modello – modello nel senso di ripetizione e non di ciò che deve accadere – di quello che accade di fronte ad ogni compito che crea una questione depressiva nello sviluppo: sarebbe la seconda depressione.
Allora: la prima posizione schizoparanoide è la prima depressione o protodepressione. Questa è la prima posizione dello sviluppo. Poi, quando uno degli aspetti buoni o cattivi dell’oggetto ha una relazione con un oggetto totale, abbiamo la posizione depressiva, che è la seconda posizione dello sviluppo e che si verifica come risultato dell’integrazione delle parti frammentate dell’oggetto che si uniscono in una totalità, e nel formare una totalità si stabilisce un vincolo particolare con questo oggetto totale. Qui, ci sono due vincoli che sono buono e cattivo, con oggetti parziali. Chiamiamo questa situazione divalenza, per differenziarla dall’ambivalenza che è prototipica della posizione depressiva. Qui, il vincolo è di andata e ritorno, a due vie. Come entra nella posizione depressiva? Chi lo porta alla posizione depressiva? Lo porta lo sviluppo, la maturazione e la crescita, cioè, fattori biologici che lo spingono ad assumere ruoli cronologici più avanzati, che sono influenzati da fattori esterni.
Se si ha una gratificazione eccessiva e una dipendenza eccessiva, si ha anche una tendenza a non entrare nella posizione depressiva, o ad entrare nella posizione depressiva ma non abbandonando il seno per non cadere nella depressione. Ossia, qui appaiono, in questa prima fase, due posizioni tipiche: schizo-paranoide. Viene chiamata così perché i meccanismi di difesa sono schizoidi e l'ansietà è paranoide, quella che noi traduciamo con paura dell’attacco.
Ansietà paranoide: paura dell’attacco.
Mentre, di fronte all’oggetto totale – che è quello che appare quando si uniscono tutti i pezzi che includono l’integrazione dell’"io" come processi biologici e fa che l’oggetto e l’io formino una totalità – l’ansietà che si origina non sarà di timore dell’attacco, ma la paura sarà per la perdita dell’oggetto, ciò che è conosciuta come ansietà depressiva.
Ansietà depressiva: paura della perdita.
Nell’integrare frammenti di oggetti parziali che sono buoni e cattivi in una totalità, viene creata una situazione complessa tra l’io e l’oggetto: i vincoli saranno in 4 direzioni, perché i vincoli buoni e quelli cattivi sono bidirezionali. Il soggetto sente che ha affetto per l’oggetto e sente che l’oggetto lo ama; ma, allo stesso tempo, sente che odia l’oggetto (perché alcune frustrazioni filtrano attraverso l’integrazione dell’oggetto, fissazioni provenienti dalla situazione antecedente) e che l’odio che sente provenire dall’oggetto è già proiettivo, vale a dire che l’oggetto lo odia. Il problema è che esistono 4 vincoli. Coesistendo questa complessa rete di amore e odio, dovuta allo stesso oggetto, si crea l’ambivalenza. Questa ambivalenza è l’atteggiamento di amore e odio verso un oggetto totale, la cui situazione è coesistente nel tempo e nello spazio: mentre nella posizione anteriore l’amore e l’odio erano scissi e diretti verso pezzi dell’oggetto.
Come l’oggetto diventa totale sorge un conflitto basico, nel quale il soggetto prova il senso di colpa per il fatto di amare e odiare lo stesso oggetto. Questo senso di colpa appare perché ha fantasie di distruggere un oggetto dal quale si sente amato e che si ama. A questa posizione di ambivalenza e di colpa si aggiunge un altro elemento, che è la paura per l’odio che è incluso, la paura per la distruzione dell’oggetto, la paura per la perdita dell’oggetto. La paura per la perdita è costantemente presente e il soggetto caratteriologicamente depressivo è quello che ha una soglia molto bassa alla tolleranza delle privazioni o delle frustrazioni. Vuol dire che per qualsiasi cosa che alteri il ritmo normale della sua vita, come una rivoluzione, per esempio, sviluppa una depressione, perché tutto gli sembra catastrofico.
Il sentimento interno del bambino in questa fase è di tristezza, perché vive come se stesse già distruggendo l’oggetto; si rafforza la colpa per aver distrutto l’oggetto e iniziano, allora, le autoaccuse, che caratterizzano il tono clinico della melanconia. Il meccanismo di difesa che qui esiste (in realtà puramente depressivo) è l’inibizione, che tende a paralizzare questi quattro vincoli affinché la distruzione non si realizzi; e se questa stessa situazione, che è intrapsichica, in un momento specifico viene proiettata violentemente all’esterno, appare la fantasia della fine del mondo, la fantasia di distruzione del mondo, che è una fantasia, un’esperienza caratterstica dell’insorgenza della schizofrenia. Qundi, vede che tutto crolla e cerca di difendersi per evitare ogni reazione, ogni perturbazione immobilizzante, utilizzando, per questo, la comunicazione.
Nel caso di una comunità sarebbe immobilizzare l’attività. Per non cadere nella depressione utilizza l’inibizione. Questo è un meccanismo frequentissimo. Nelle nevrosi vedete come i meccanismi di base sono l’inibizione per l’apprendimento, l’inibizione per la comunicazione, l’inibizione per affrontare il cambiamento e che si ritraduce nella situazione nevrotica come complesso di inferiorità, timidezza, ecc. Sono soggetti che hanno paura di affrontare un problema per timore di perdere l’oggetto che stanno affrontando, allora opera l’inibizione e rimangono paralizzati.
Il soggetto depressivo, dunque, è un soggetto che ha una gran fame di affetto e, poiché non è organizzato per chiedere, non può sollecitare amore. Siccome ha già raccolto tanto odio, teme che il suo amore possa essere accompagnato dall’odio che coesiste e distrugge l’oggetto esterno. Inoltre, c’è un aspetto ipocondriaco o masochista del depresso che rileva le situazioni nelle quali sperimenta piccole frustrazioni. Preso dal punto di vista dell’apprendimento possiamo interpretare che le frustrazioni, una strategia nella quale arriva ad essere maestro il depresso, lo preparano (come per immunizzarlo con piccole perdite) per le grandi perdite. Questo lo fa vivere in una costante situazione di ansietà e sofferenza che, se arrivano ad erotizzarsi, sfociano nella personalità masochista che ha l’obiettivo di eleggere come oggetto sessuale un sadico o, meglio detto, un sado-masochista. Vale a dire che non si può essere uno masochista e l’altro sadico, ma lo devono essere entrambi ed alternativamente, si ha un cambiamento di ruoli.
Dunque, la posizione depressiva include un contenuto, un dramma, che è il lutto, e la sua elaborazione si chiama "lavoro del lutto". Il lutto è dato dagli oggetti, o parte degli oggetti perduti, per l’ostilità che ancora rimane e per le frustrazioni che riceve. Qualsiasi frustrazione dall’esterno si ripercuote dentro di lui come una frustrazione interna, di fronte a quell’oggetto che lui considera inesauribile, idealizzato, incapace di dargli frustrazioni; allora, di fronte a questa situazione, si crea la sensazione di aumento di colpa, che già appare personificata dalla madre (non la madre della posizione schizoide, ma la madre totale, ossia tutto il suo corpo) ma dove può essere incluso anche il padre, o ambedue nello stesso momento, ciò che si chiama "i genitori coniugati". Così, in questa posizione depressiva, normale dello sviluppo, si risolve il destino del soggetto. Vale a dire che tutti passiamo per una posizione depressiva di lutto, e l’elaborazione si realizzerà per mezzo di meccanismi di riparazione. La riparazione è costituita da processi, pensieri, atteggiamenti o attività attraverso le quali il soggetto ripara l’oggetto, immaginando un vincolo reale con esso o realizzando cose concrete con l’oggetto.
Tutto ciò include la realtà che tutto è fatto per qualcosa o per qualcuno, e che la motivazione alla riparazione avviene per qualcosa, e il qualcuno è l’oggetto da riparare: poi ci sono mezzi materiali e mezzi psicologici. Ogni attività creatrice, ogni attività sublimatoria, è collegata con meccanismi di riparazione. Nella misura in cui il soggetto può riparare l’oggetto distrutto, esce dalla posizione depressiva dello sviluppo in un processo normale.
Poi, andiamo a vedere ciò che accade nel processo dell’ammalarsi. Vediamo, comparativamente, quali sono le differenze tra le differenti scuole rispetto ai primi periodi. Freud considerava che le prime posizioni del bambino fossero anoggettuali e che avessero una faccia autoerotica e una faccia narcisistica. Melanie Klein considera – ed anche noi – che già il primo vincolo, cioè la prima relazione con il mondo, si stabilisce con qualcuno, e si hanno gratificazioni e frustrazioni. Vale a dire che non consideriamo l’istinto di vita e l’istinto di morte come cose determinate ma le consideriamo già reazioni sociali, perché sono già interazioni con le persone. Esiste una vecchia causa tra Freud e la Riflessologia a questo riguardo. Ma è interessante notare che gli argomenti che la Riflessologia può portare, rispetto a questo, parlano a favore di riflessi condizionati innati che, interpretati in termini di condotta, proverebbero alcuni aspetti della concezione istintivista di Freud. In realtà, Freud non parlò di "istinto", questa è una cattiva traduzione dal tedesco della parola “Trieb”, che sarebbe "tendenza".
C’è quindi un problema semantico e di posizione scientifica. Lo schema che noi seguiamo è uno schema di ispirazione kleiniana, con alcune aggiunte nostre. Ciò che è nostro è la concezione di una malattia unica. Questa gira intorno alla sviluppo di questa posizione depressiva e di come è elaborata. Se rimangono tratti della posizione depressiva non elaborati, si verifica ciò che si denomina la disposizione (in termini freudiani) alla nevrosi. Uno dei meccanismi per uscire dalla depressione è lo sviluppo, è la riparazione. Però, innanzitutto, è l’utilizzazione della posizione antecedente, quella schizoparanoide che fornisce alla posizione depressiva gli strumenti per elaborare, soprattutto, la sofferenza e la solitudine. Quindi, fa una piccola regressione e usa i meccanismi schizoidi che, in ultima istanza, sono tutti meccanismi di difesa che Freud studiò nelle nevrosi e nei sogni.
Per non confondere, è meglio parlare di tecniche dell’"io", poiché parlare di meccanismi di difesa implica una patologia. Le tecniche dell’io sono utilizzate da tutti noi in ogni occasione e si differenziano per l’uso di un solo meccanismo, allora ci si specializza in quel meccanismo, e diciamo che quello è il carattere del soggetto. Significa che l’io perde plasticità e flessibilità e tende allo stereotipo.
Un fattore che Freud ha descritto in termini fisicochimici e che ha chiamato viscosità tende ad essere una difesa che si appiccica, si fissa e si struttura come uno stereotipo che, oggi, possiamo rendere permanente. Freud, intuendo questo meccanismo di viscosità, stava arrivando giusto al punto che, ritradotto in termini di stereotipo, è proprio della psicologia sociale. Includendo elementi della psicologia sociale si capisce come viene generato uno stereotipo, come questo sia un prodotto sociale, come tale sostanza appiccicosa sia esistita in un momento determinato ma non tutte le viscosità sono ereditarie (come succede, per esempio, nella personalità de “Il monello” di Chaplin). Questo grado di viscosità causa il fatto che la posizione depressiva, allora, rimanga fissata e che si lavori dentro di essa in maniera strumentale, utilizzando il meccanismo schizoide che è la divisione (primo meccanismo di Spitz).
Per mezzo della divisione viene diviso l’oggetto in cattivo e in buono e, nuovamente, ci scontriamo con la posizione schizoparanoide. Per questo, chiamiamo la posizione depressiva dello sviluppo, posizione "patogenetica", e la posizione paranoide, "patoplastica", nel senso che dà forma al risultato della divisione primaria che avviene nella posizione depressiva. Poi, si "prende in prestito" dalla posizione schizoparanoide i suoi meccanismi di negazione, di persecuzione, di controllo onnipotente, di proiezione, di idealizzazione e di repressione; e torna a ristrutturarsi una posizione schizoparanoide. In accordo alla collocazione che hanno i pezzi dell’oggetto totale quando il lutto fallisce nella sua elaborazione, viene creato un carattere patologico con un meccanismo nel quale il soggetto si specializza. Abbiamo detto che se c’è un modo particolare di reagire di fronte alla realtà che è dato da un meccanismo dominante, questo si denomina carattere. Uno può immaginarsi qualsiasi carattere fondato sul predominio di un meccanismo, per esempio, introverso o estroverso. Nel primo caso, significa che predominano in lui i meccanismi di introiezione, nel secondo caso i meccanismi di proiezione. Se c’è una miscela dei due si ha un carattere ciclotimico. Del carattere normale dovremmo dire che è quello che non impiega tecniche per un adattamento reale al mondo ma, ovviamente, non esiste. Tutti hanno una tecnica che gestiscono meglio di un’altra, che è il proprio strumento di adattamento, ed è un problema di quantità: Tizio è "di buon carattere" o "di cattivo carattere" è una qualificazione, da lì deriva la distinzione popolare dei pazzi in "pazzi simpatici" (maniaci, estroversi) e "pazzi di merda" (nei quali predomina la riconcentrazione, il rancore, la depressione).
Nel carattere normale si ha un predominio di un meccanismo difensivo. Vuol dire che c’è già una caratteristica di "essere Tizio". Perché l"‘essere Tizio" significa acquisire identità, problema che, dal punto di vista sociale, è fondamentale; vale a dire che acquisire identità, essere riconosciuto come differente dagli altri, rende possibile la vita sociale, la ripartizione dei ruoli, le funzioni, le organizzazioni e le società. Passiamo così dalla psicologia individuale a quella sociale e alla sociologia.
Dunque, i meccanismi che usa la posizione depressiva le sono prestati dalla posizione schizoparanoide. Sarebbe a dire che c’è un ritorno, e sempre incontreremo una spirale permanente. Il bambino continua a crescere e, all’età di 4 anni, segnalata da Freud come il culmine del complesso di Edipo, avvengono modifiche nella struttura che possono essere comprese nella stessa maniera, perché l’oggetto può trasformarsi in un oggetto censore. La parte buona dell’oggetto totale diventa "ideale dell’io" e la parte ipercritica, il Super-io, allora si ha un’interazione tra mondo esterno e interno che tende a correggere quei modelli primitivi. Se il soggetto rimane con quelle immagini primitive, di un Super-io molto severo, osservatore, vigilante, è molto probabile che, se nell’età adulta fa una psicosi, avrà un delirio di influenza, per esempio, nel quale il soggetto si sentirà osservato, vigilato, seguito, e nel quale appariranno le idee di persecuzione. Così, verranno ripetuti tutti quei vissuti primitivi nel "fuori" e appariranno anche allucinazioni, che sono il prodotto del dialogo interno tra il self e l’io del soggetto. Questo dialogo costituisce il pensiero, attraverso il quale si realizza l’apprendimento o la comunicazione di vario genere. Nel processo della malattia supponiamo uno sviluppo normale fino all’adolescenza, che è il momento critico.
L’adolescenza è l’età meno compresa perché per tutti è difficile assumere, durante la terapia, il ruolo di adolescente. Curare un adulto è fare evolvere l’adolescente che ha dentro e curare un adolescente è fare in modo che il bambino che c’è dentro evolva. Nel nevrotico non è tutto malato, ci sono parti dell’io che sono sane, con le quali vengono stabiliti contatti, accordi, contratti con il terapeuta, con cui il paziente porta il proprio materiale psicologico in cambio di interpretazioni. Questa operazione si chiama chiarificazione ed ha la funzione di dimostrare che ciò che sta accadendo nel qui e ora è una ripetizione di quello che già è stato. Quindi, l’interpretazione è: “qui e ora con me”, “come se fosse prima con altri”. Se non si aggiunge il “come se fosse con altri”, il paziente vive ciò che sta qui come quello che era prima, e si crea una nuova alienazione. Vale a dire che il terapeuta non è il padre, ma che in termini di ruoli è “come se” fosse il padre. Perché la relazione psicoterapeutica si sviluppa in un clima di ruoli di “come se” mediante i quali si corregge l’antecedente, ma non con gli stessi personaggi. Ciò significa che lo psicoterapeuta non attacca il paziente come faceva suo padre.
Così, questa ripetizione nella situazione terapeutica avviene con oggetti attuali, che sono incaricati di rettificare le immagini cattive precedenti. Questo è un poco viziato nell’ambiente analitico perché Freud si è dedicato soprattutto al vettore storico della ricerca, a ricostruire la personalità del soggetto con un metodo archeologico (che era la vera vocazione di Freud, in quanto si dedicava a questo in tutte le sue vacanze, andando a Roma, Pompei, ecc.), ossia: ricostruire il passato del paziente in base ad elementi trovati, che insieme arrivano a configurare un puzzle. Vale a dire che alcuni pezzi del puzzle mancano e si possono inferire, e completandoli con le parti inferite prendono una forma particolare, un’armonia particolare dell’oggetto archeologico. Ossia, con questo metodo ricostruiva la personalità del bambino in base a frammenti, che gli fecero commettere, in un primo momento, un errore, come fu la prima teoria traumatica delle nevrosi. Secondo la sua esperienza, l’isteria e le nevrosi ossessive erano prodotte da esperienze sessuali di una categoria speciale, per cui nell’isteria il paziente soffirva un trauma sessuale, generalmente di carattere incestuoso subito passivamente, mentre nella nevrosi ossessiva c’era un intervento attivo nella situazione. Allora, quando trovava elementi di questo tipo, li univa ed appariva la figura. Vale a dire che questi avvenimenti reali sono fantasie ma, a loro volta, nascondono altri fatti. E' costato molto a Freud rettificare questo errore, così ha postulato che sono finzioni, ricordi di copertura e che, dietro di questi ricordi di copertura, c’erano situazioni reali, ma non quelle che venivano raccontate bensì altre differenti.
Questa è la fantasia inconscia che inizia in quel momento e che, poi, continua ed occupa un luogo molto importante nel pensiero psicoanalitico. Le fantasie che all’inizio venivano raccontate come traumi erano inconsce. Sotto l’influenza di Kurt Lewin e, soprattutto, della scuola della Gestalt applicata nella psicologia sociale, si è iniziato ad introdurre il qui ed ora, cioè, una terza dimensione. Quindi, possiamo studiare la psicoanalisi in tre dimensioni:
1) storica, che serve per interpretare: Freud usa il metodo storico-genetico nel quale cerca di assemblare il passato del paziente in base a sogni, ricordi, ecc., cioè di ricostruire il passato infantile;
2) metafisica o filosofica, di analisi del progetto;
3) della psicologia sociale, del qui e ora.
Vale a dire che Freud passava dall’archeologia alla filosofia, e poi alla psicologia sociale. Un’interpretazione tipica di Freud sarebbe stata 1-2-3, ossia: questo accadde nell’infanzia (1), potrebbe accadere di nuovo in futuro (2), e forse proprio ora (3). Un’interpretazione, per noi, è 3-1-2: questo che sta accadendo ora (3), è accaduto prima con altri (1) e potrebbe ripetersi nel futuro (2). Questo ritorno al futuro nella malattia lo vedremo più avanti, in quello che è la "depressione regressiva", quando il soggetto regredisce alla posizione archeologica regressiva, e vedremo come elabora la perdita attuale in termini di ciò che ha appreso come archeologo.
SCUOLA PRIVATA DI PSICHIATRIA SOCIALE, Lezione n. 9
(Il titolo originale della lezione, ripresa dal sito www.espiraldialectica.com, è “Posición esquizoparanoide, depresiva y patorrítmica. Enfoque Freudiano, Kleiniano y Reflexológico. Nuestra posición” e la traduzione dallo spagnolo è ad opera di Lorenzo Sartini)
Andiamo ad introdurci nuovamente nelle depressioni, in quanto è un nucleo fondamentale in patologia, ricordando sempre che uno si ammala di amore o per odio (frustrazione per la perdita, che comporta ciò che si chiama nevrosi). L’ammettere una protodepressione – la prima – è una posizione teorica, ma necessaria, per spiegare il passo seguente, dal momento che lo sviluppo inizia con la posizione schizoparanoide in forma evidente e post-natale. Vuol dire che si è avuto "splitting", e se ci sono oggetti parziali, ciò indica che prima si sono avuti oggetti totali; se ci sono due tipi di vincoli – buoni e cattivi – vuol dire che, prima, si è avuto un intricato vincolo a quattro vie. Questa è un’inferenza (perché, naturalmente, nessuno nato di recente ha confessato questa cosa) che si appoggia sulle conseguenze e sui risultati posteriori.
Le posizioni studiate da Melanie Klein sono la schizoparanoide e la depressiva, alla quale noi aggiungiamo una terza, che è la posizione patoritmica, che riguarda un aspetto della situazione totale. La prima discriminazione che il bambino stabilisce alla nascita è tra vincolo buono (oggetto buono) e vincolo cattivo (oggetto cattivo), cioè tra oggetti parziali. Vuol dire che il suo interesse non è diretto al corpo totale del padre o della madre ma ad una parte di essa, che è il seno, che considera, alternativamente, buono e cattivo, in accordo con la gratificazione o la frustrazione che da esso riceve. L’oggetto gratificante è considerato buono e il frustrante, cattivo. Tranne il caso in cui il soggetto sia tanto masochista che una gratificazione scateni in lui una frustrazione.
Il problema si pone, allora, in termini di raggiungimento della gratificazione o no (frustrazione). La gratificazione di una necessità motivata biologicamente (sete, fame, aria, ecc.) comporta i primi vincoli buoni con la realtà. Non come istinto, ma come comportamento. Quindi, se si riceve ciò che serve in quel momento, ottiene una gratificazione, e l’oggetto che lo gratifica è un oggetto buono gratificante. Se in una situazione di fame non riceve una gratificazione adeguata, l’oggetto che non lo gratifica è un oggetto cattivo frustrante. Questa gratificazione può solamente essere inadeguata in due sensi: per un eccesso (di latte) o per una mancanza. Vale a dire che nel bambino ci sono frustrazioni molto precoci, prodotte da un’invasione di latte che è vissuta come una cosa aggressiva, che sente che lo affoga, che è in grado di affogare, ma più frequente ancora è la mancanza (in cui c’è un deficit alimentare), non solamente di alimentazione ma di trattamento, di gestione, di affetto e di tenerezza.
Il bambino deve sentire, prendendo il seno, il calore del corpo della madre, che è la cosa fondamentale. Perché nelle situazioni nelle quali viene sostituita la madre perché non ha latte, l’enfasi è posta soprattutto sulla posizione, sul grado di contatto fisico, sull’atto di tenerlo in braccio e contro di sé, nell’atto stesso dell’allattamento. La frustrazione, quindi, può avere molti motivi. Ma vanno insieme alla quantità di cibo adeguato che è in grado di assorbire il bambino in quel momento (il dosaggio), più l’atteggiamento adeguato di fronte al bambino: si costituisce un’insieme che dà al bambino tutto l’aspetto di un oggetto buono. E siccome è un oggetto parziale e non c’è discriminazione di parti, l’oggetto è totalmente buono. Mentre se il dosaggio è adeguato (positivo) e l’atteggiamento è negativo (madri che rifiutano il bambino durante l’allattamento), abbiamo una situazione di carenza di affetto, che costituisce un oggetto cattivo; non ha gratificato la fame e non è riuscito a disinnescare questa sensazione di fame che è motivata ed è sentita organicamente, formando i primi collegamenti tra la mente, il corpo ed il mondo del bambino.
Il bambino vive un’esperienza totale o totalizzante, dove sono impegnati corpo, mente e mondo in un’azione congiunta. Nella posizione schizoparanoide incontriamo due aspetti dell’oggetto: che è parziale e che è totale. L’esistenza di due vincoli e di due oggetti parziali, che uniti formeranno un oggetto totale (come vedremo nella posizione depressiva), farebbe pensare che ci sia stata una fase precedente, che chiameremo la protodepressione della nascita, nella quale, durante la vita intrauterina, il soggetto raggiunge un’integrazione dell’io che comporta come conseguenza l’integrazione di due oggetti. Perché il bambino nasce in una condizione molto speciale: nasce nella condizione di poter iniziare la vita, se no muore. Ha raggiunto un grado di maturazione dell’io, dove i suoi aspetti funzionali sono elaborati. Nei bambini prematuri si vede che ci sono perturbazioni della suzione, per esempio (ciò che si può vedere nella vita adulta per una goffagine funzionale), per il fatto di essere nato prima del tempo stipulato nel quale può venire realizzata una suzione normale. Ci sono anche bambini che rifiutano il seno sin dal suo primo avvicinamento. Questo comporta conflitti molto seri nella madre, che può deprimersi ed essere considerata incapace dall’ambiente familiare per il fatto di non riuscire a dare il seno al proprio figlio, nonostante abbia tutti gli elementi (seno, capezzolo e latte).
In questa cosa, si può scoprire che l’atteggiamento (il dosaggio non si può realizzare perché il bambino non prende il seno) captato dal bambino incosciamente è di rifiuto, nonostante che, a livello manifesto, possa dimostrare tutto il contrario. Questo conflitto di ambivalenza è quello che ammala la madre, che fa una psicosi o nevrosi puerperale. Vale a dire che, nonostante il suo grande desiderio cosciente di alimentare il suo bambino, esiste un rifiuto inconscio (per esempio, perché il bambino è molto simile al padre). Il bambino che rifiuta il seno è una situazione estrema. L’altra è quella dei bambini di otto o nove anni che, alla nascita di un fratello, regrediscono e chiedono di condividere il seno materno.
La condotta orale del bambino in relazione con l’allattamento non può essere studiata solamente dal lato del bambino (salvo che abbia una malformazione, come il labbro leporino, ecc.), ma lo si deve fare anche dal lato della madre. In base a questo, Spitz ha potuto fare un quadro (che si è potuto provare quasi sempre) classificando le malattie psicosomatiche del bambino, inaugurando così la psichiatria del lattante. Ciò significa che tutte le malattie psicosomatiche che ha il bambino possono essere classificate in un ordine equivalente a determinati atteggiamenti della madre. Così, una colica o disturbi digestivi di altra indole – che arrivano fino a gradi di tossicosi e che si esprimono attraverso il rifiuto del seno – sono collegati con atteggiamenti "franchi o dichiarati" della madre, ma derivano di più dall’effetto che ha sul bambino l’atteggiamento latente della madre.
È qui dove noi non ci capiamo con i pediatri, perché l’atteggiamento manifesto può essere di un eccesso di protezione e l’atteggiamento latente essere di una tremenda ostilità verso il bambino; ostilità che è sconosciuta dalla propria paziente (e per la quale vorremmo dire che non ha colpa) ma il bambino capta la comunicazione soggiacente, latente, in quanto è uno specialista nelle comunicazioni soggiacenti, e scopre che l’atteggiamento manifesto è un’impostura. La sua esperienza con gli adulti gli ha provato che molte di queste prove di affetto molto teatrali, molto magniloquenti, sono impostura, dopodiché lui non crede più a niente. Questa comunicazione inconscio a inconscio, tra il dare e il ricevere, causa tutte le patologie psicosomatiche del bambino che vanno dall’anoressia fino alla cachessia, dal vomito fino ad una serie di sindromi che sono caratteristiche nel bambino.
Così, il bambino, di fronte all’allattamento, si deve confrontare con il prototipo della posizione catastrofica. Nella misura in cui ha organizzato una vera e propria impresa di suzione, si produce lo svezzamento, che è il modello – modello nel senso di ripetizione e non di ciò che deve accadere – di quello che accade di fronte ad ogni compito che crea una questione depressiva nello sviluppo: sarebbe la seconda depressione.
Allora: la prima posizione schizoparanoide è la prima depressione o protodepressione. Questa è la prima posizione dello sviluppo. Poi, quando uno degli aspetti buoni o cattivi dell’oggetto ha una relazione con un oggetto totale, abbiamo la posizione depressiva, che è la seconda posizione dello sviluppo e che si verifica come risultato dell’integrazione delle parti frammentate dell’oggetto che si uniscono in una totalità, e nel formare una totalità si stabilisce un vincolo particolare con questo oggetto totale. Qui, ci sono due vincoli che sono buono e cattivo, con oggetti parziali. Chiamiamo questa situazione divalenza, per differenziarla dall’ambivalenza che è prototipica della posizione depressiva. Qui, il vincolo è di andata e ritorno, a due vie. Come entra nella posizione depressiva? Chi lo porta alla posizione depressiva? Lo porta lo sviluppo, la maturazione e la crescita, cioè, fattori biologici che lo spingono ad assumere ruoli cronologici più avanzati, che sono influenzati da fattori esterni.
Se si ha una gratificazione eccessiva e una dipendenza eccessiva, si ha anche una tendenza a non entrare nella posizione depressiva, o ad entrare nella posizione depressiva ma non abbandonando il seno per non cadere nella depressione. Ossia, qui appaiono, in questa prima fase, due posizioni tipiche: schizo-paranoide. Viene chiamata così perché i meccanismi di difesa sono schizoidi e l'ansietà è paranoide, quella che noi traduciamo con paura dell’attacco.
Ansietà paranoide: paura dell’attacco.
Mentre, di fronte all’oggetto totale – che è quello che appare quando si uniscono tutti i pezzi che includono l’integrazione dell’"io" come processi biologici e fa che l’oggetto e l’io formino una totalità – l’ansietà che si origina non sarà di timore dell’attacco, ma la paura sarà per la perdita dell’oggetto, ciò che è conosciuta come ansietà depressiva.
Ansietà depressiva: paura della perdita.
Nell’integrare frammenti di oggetti parziali che sono buoni e cattivi in una totalità, viene creata una situazione complessa tra l’io e l’oggetto: i vincoli saranno in 4 direzioni, perché i vincoli buoni e quelli cattivi sono bidirezionali. Il soggetto sente che ha affetto per l’oggetto e sente che l’oggetto lo ama; ma, allo stesso tempo, sente che odia l’oggetto (perché alcune frustrazioni filtrano attraverso l’integrazione dell’oggetto, fissazioni provenienti dalla situazione antecedente) e che l’odio che sente provenire dall’oggetto è già proiettivo, vale a dire che l’oggetto lo odia. Il problema è che esistono 4 vincoli. Coesistendo questa complessa rete di amore e odio, dovuta allo stesso oggetto, si crea l’ambivalenza. Questa ambivalenza è l’atteggiamento di amore e odio verso un oggetto totale, la cui situazione è coesistente nel tempo e nello spazio: mentre nella posizione anteriore l’amore e l’odio erano scissi e diretti verso pezzi dell’oggetto.
Come l’oggetto diventa totale sorge un conflitto basico, nel quale il soggetto prova il senso di colpa per il fatto di amare e odiare lo stesso oggetto. Questo senso di colpa appare perché ha fantasie di distruggere un oggetto dal quale si sente amato e che si ama. A questa posizione di ambivalenza e di colpa si aggiunge un altro elemento, che è la paura per l’odio che è incluso, la paura per la distruzione dell’oggetto, la paura per la perdita dell’oggetto. La paura per la perdita è costantemente presente e il soggetto caratteriologicamente depressivo è quello che ha una soglia molto bassa alla tolleranza delle privazioni o delle frustrazioni. Vuol dire che per qualsiasi cosa che alteri il ritmo normale della sua vita, come una rivoluzione, per esempio, sviluppa una depressione, perché tutto gli sembra catastrofico.
Il sentimento interno del bambino in questa fase è di tristezza, perché vive come se stesse già distruggendo l’oggetto; si rafforza la colpa per aver distrutto l’oggetto e iniziano, allora, le autoaccuse, che caratterizzano il tono clinico della melanconia. Il meccanismo di difesa che qui esiste (in realtà puramente depressivo) è l’inibizione, che tende a paralizzare questi quattro vincoli affinché la distruzione non si realizzi; e se questa stessa situazione, che è intrapsichica, in un momento specifico viene proiettata violentemente all’esterno, appare la fantasia della fine del mondo, la fantasia di distruzione del mondo, che è una fantasia, un’esperienza caratterstica dell’insorgenza della schizofrenia. Qundi, vede che tutto crolla e cerca di difendersi per evitare ogni reazione, ogni perturbazione immobilizzante, utilizzando, per questo, la comunicazione.
Nel caso di una comunità sarebbe immobilizzare l’attività. Per non cadere nella depressione utilizza l’inibizione. Questo è un meccanismo frequentissimo. Nelle nevrosi vedete come i meccanismi di base sono l’inibizione per l’apprendimento, l’inibizione per la comunicazione, l’inibizione per affrontare il cambiamento e che si ritraduce nella situazione nevrotica come complesso di inferiorità, timidezza, ecc. Sono soggetti che hanno paura di affrontare un problema per timore di perdere l’oggetto che stanno affrontando, allora opera l’inibizione e rimangono paralizzati.
Il soggetto depressivo, dunque, è un soggetto che ha una gran fame di affetto e, poiché non è organizzato per chiedere, non può sollecitare amore. Siccome ha già raccolto tanto odio, teme che il suo amore possa essere accompagnato dall’odio che coesiste e distrugge l’oggetto esterno. Inoltre, c’è un aspetto ipocondriaco o masochista del depresso che rileva le situazioni nelle quali sperimenta piccole frustrazioni. Preso dal punto di vista dell’apprendimento possiamo interpretare che le frustrazioni, una strategia nella quale arriva ad essere maestro il depresso, lo preparano (come per immunizzarlo con piccole perdite) per le grandi perdite. Questo lo fa vivere in una costante situazione di ansietà e sofferenza che, se arrivano ad erotizzarsi, sfociano nella personalità masochista che ha l’obiettivo di eleggere come oggetto sessuale un sadico o, meglio detto, un sado-masochista. Vale a dire che non si può essere uno masochista e l’altro sadico, ma lo devono essere entrambi ed alternativamente, si ha un cambiamento di ruoli.
Dunque, la posizione depressiva include un contenuto, un dramma, che è il lutto, e la sua elaborazione si chiama "lavoro del lutto". Il lutto è dato dagli oggetti, o parte degli oggetti perduti, per l’ostilità che ancora rimane e per le frustrazioni che riceve. Qualsiasi frustrazione dall’esterno si ripercuote dentro di lui come una frustrazione interna, di fronte a quell’oggetto che lui considera inesauribile, idealizzato, incapace di dargli frustrazioni; allora, di fronte a questa situazione, si crea la sensazione di aumento di colpa, che già appare personificata dalla madre (non la madre della posizione schizoide, ma la madre totale, ossia tutto il suo corpo) ma dove può essere incluso anche il padre, o ambedue nello stesso momento, ciò che si chiama "i genitori coniugati". Così, in questa posizione depressiva, normale dello sviluppo, si risolve il destino del soggetto. Vale a dire che tutti passiamo per una posizione depressiva di lutto, e l’elaborazione si realizzerà per mezzo di meccanismi di riparazione. La riparazione è costituita da processi, pensieri, atteggiamenti o attività attraverso le quali il soggetto ripara l’oggetto, immaginando un vincolo reale con esso o realizzando cose concrete con l’oggetto.
Tutto ciò include la realtà che tutto è fatto per qualcosa o per qualcuno, e che la motivazione alla riparazione avviene per qualcosa, e il qualcuno è l’oggetto da riparare: poi ci sono mezzi materiali e mezzi psicologici. Ogni attività creatrice, ogni attività sublimatoria, è collegata con meccanismi di riparazione. Nella misura in cui il soggetto può riparare l’oggetto distrutto, esce dalla posizione depressiva dello sviluppo in un processo normale.
Poi, andiamo a vedere ciò che accade nel processo dell’ammalarsi. Vediamo, comparativamente, quali sono le differenze tra le differenti scuole rispetto ai primi periodi. Freud considerava che le prime posizioni del bambino fossero anoggettuali e che avessero una faccia autoerotica e una faccia narcisistica. Melanie Klein considera – ed anche noi – che già il primo vincolo, cioè la prima relazione con il mondo, si stabilisce con qualcuno, e si hanno gratificazioni e frustrazioni. Vale a dire che non consideriamo l’istinto di vita e l’istinto di morte come cose determinate ma le consideriamo già reazioni sociali, perché sono già interazioni con le persone. Esiste una vecchia causa tra Freud e la Riflessologia a questo riguardo. Ma è interessante notare che gli argomenti che la Riflessologia può portare, rispetto a questo, parlano a favore di riflessi condizionati innati che, interpretati in termini di condotta, proverebbero alcuni aspetti della concezione istintivista di Freud. In realtà, Freud non parlò di "istinto", questa è una cattiva traduzione dal tedesco della parola “Trieb”, che sarebbe "tendenza".
C’è quindi un problema semantico e di posizione scientifica. Lo schema che noi seguiamo è uno schema di ispirazione kleiniana, con alcune aggiunte nostre. Ciò che è nostro è la concezione di una malattia unica. Questa gira intorno alla sviluppo di questa posizione depressiva e di come è elaborata. Se rimangono tratti della posizione depressiva non elaborati, si verifica ciò che si denomina la disposizione (in termini freudiani) alla nevrosi. Uno dei meccanismi per uscire dalla depressione è lo sviluppo, è la riparazione. Però, innanzitutto, è l’utilizzazione della posizione antecedente, quella schizoparanoide che fornisce alla posizione depressiva gli strumenti per elaborare, soprattutto, la sofferenza e la solitudine. Quindi, fa una piccola regressione e usa i meccanismi schizoidi che, in ultima istanza, sono tutti meccanismi di difesa che Freud studiò nelle nevrosi e nei sogni.
Per non confondere, è meglio parlare di tecniche dell’"io", poiché parlare di meccanismi di difesa implica una patologia. Le tecniche dell’io sono utilizzate da tutti noi in ogni occasione e si differenziano per l’uso di un solo meccanismo, allora ci si specializza in quel meccanismo, e diciamo che quello è il carattere del soggetto. Significa che l’io perde plasticità e flessibilità e tende allo stereotipo.
Un fattore che Freud ha descritto in termini fisicochimici e che ha chiamato viscosità tende ad essere una difesa che si appiccica, si fissa e si struttura come uno stereotipo che, oggi, possiamo rendere permanente. Freud, intuendo questo meccanismo di viscosità, stava arrivando giusto al punto che, ritradotto in termini di stereotipo, è proprio della psicologia sociale. Includendo elementi della psicologia sociale si capisce come viene generato uno stereotipo, come questo sia un prodotto sociale, come tale sostanza appiccicosa sia esistita in un momento determinato ma non tutte le viscosità sono ereditarie (come succede, per esempio, nella personalità de “Il monello” di Chaplin). Questo grado di viscosità causa il fatto che la posizione depressiva, allora, rimanga fissata e che si lavori dentro di essa in maniera strumentale, utilizzando il meccanismo schizoide che è la divisione (primo meccanismo di Spitz).
Per mezzo della divisione viene diviso l’oggetto in cattivo e in buono e, nuovamente, ci scontriamo con la posizione schizoparanoide. Per questo, chiamiamo la posizione depressiva dello sviluppo, posizione "patogenetica", e la posizione paranoide, "patoplastica", nel senso che dà forma al risultato della divisione primaria che avviene nella posizione depressiva. Poi, si "prende in prestito" dalla posizione schizoparanoide i suoi meccanismi di negazione, di persecuzione, di controllo onnipotente, di proiezione, di idealizzazione e di repressione; e torna a ristrutturarsi una posizione schizoparanoide. In accordo alla collocazione che hanno i pezzi dell’oggetto totale quando il lutto fallisce nella sua elaborazione, viene creato un carattere patologico con un meccanismo nel quale il soggetto si specializza. Abbiamo detto che se c’è un modo particolare di reagire di fronte alla realtà che è dato da un meccanismo dominante, questo si denomina carattere. Uno può immaginarsi qualsiasi carattere fondato sul predominio di un meccanismo, per esempio, introverso o estroverso. Nel primo caso, significa che predominano in lui i meccanismi di introiezione, nel secondo caso i meccanismi di proiezione. Se c’è una miscela dei due si ha un carattere ciclotimico. Del carattere normale dovremmo dire che è quello che non impiega tecniche per un adattamento reale al mondo ma, ovviamente, non esiste. Tutti hanno una tecnica che gestiscono meglio di un’altra, che è il proprio strumento di adattamento, ed è un problema di quantità: Tizio è "di buon carattere" o "di cattivo carattere" è una qualificazione, da lì deriva la distinzione popolare dei pazzi in "pazzi simpatici" (maniaci, estroversi) e "pazzi di merda" (nei quali predomina la riconcentrazione, il rancore, la depressione).
Nel carattere normale si ha un predominio di un meccanismo difensivo. Vuol dire che c’è già una caratteristica di "essere Tizio". Perché l"‘essere Tizio" significa acquisire identità, problema che, dal punto di vista sociale, è fondamentale; vale a dire che acquisire identità, essere riconosciuto come differente dagli altri, rende possibile la vita sociale, la ripartizione dei ruoli, le funzioni, le organizzazioni e le società. Passiamo così dalla psicologia individuale a quella sociale e alla sociologia.
Dunque, i meccanismi che usa la posizione depressiva le sono prestati dalla posizione schizoparanoide. Sarebbe a dire che c’è un ritorno, e sempre incontreremo una spirale permanente. Il bambino continua a crescere e, all’età di 4 anni, segnalata da Freud come il culmine del complesso di Edipo, avvengono modifiche nella struttura che possono essere comprese nella stessa maniera, perché l’oggetto può trasformarsi in un oggetto censore. La parte buona dell’oggetto totale diventa "ideale dell’io" e la parte ipercritica, il Super-io, allora si ha un’interazione tra mondo esterno e interno che tende a correggere quei modelli primitivi. Se il soggetto rimane con quelle immagini primitive, di un Super-io molto severo, osservatore, vigilante, è molto probabile che, se nell’età adulta fa una psicosi, avrà un delirio di influenza, per esempio, nel quale il soggetto si sentirà osservato, vigilato, seguito, e nel quale appariranno le idee di persecuzione. Così, verranno ripetuti tutti quei vissuti primitivi nel "fuori" e appariranno anche allucinazioni, che sono il prodotto del dialogo interno tra il self e l’io del soggetto. Questo dialogo costituisce il pensiero, attraverso il quale si realizza l’apprendimento o la comunicazione di vario genere. Nel processo della malattia supponiamo uno sviluppo normale fino all’adolescenza, che è il momento critico.
L’adolescenza è l’età meno compresa perché per tutti è difficile assumere, durante la terapia, il ruolo di adolescente. Curare un adulto è fare evolvere l’adolescente che ha dentro e curare un adolescente è fare in modo che il bambino che c’è dentro evolva. Nel nevrotico non è tutto malato, ci sono parti dell’io che sono sane, con le quali vengono stabiliti contatti, accordi, contratti con il terapeuta, con cui il paziente porta il proprio materiale psicologico in cambio di interpretazioni. Questa operazione si chiama chiarificazione ed ha la funzione di dimostrare che ciò che sta accadendo nel qui e ora è una ripetizione di quello che già è stato. Quindi, l’interpretazione è: “qui e ora con me”, “come se fosse prima con altri”. Se non si aggiunge il “come se fosse con altri”, il paziente vive ciò che sta qui come quello che era prima, e si crea una nuova alienazione. Vale a dire che il terapeuta non è il padre, ma che in termini di ruoli è “come se” fosse il padre. Perché la relazione psicoterapeutica si sviluppa in un clima di ruoli di “come se” mediante i quali si corregge l’antecedente, ma non con gli stessi personaggi. Ciò significa che lo psicoterapeuta non attacca il paziente come faceva suo padre.
Così, questa ripetizione nella situazione terapeutica avviene con oggetti attuali, che sono incaricati di rettificare le immagini cattive precedenti. Questo è un poco viziato nell’ambiente analitico perché Freud si è dedicato soprattutto al vettore storico della ricerca, a ricostruire la personalità del soggetto con un metodo archeologico (che era la vera vocazione di Freud, in quanto si dedicava a questo in tutte le sue vacanze, andando a Roma, Pompei, ecc.), ossia: ricostruire il passato del paziente in base ad elementi trovati, che insieme arrivano a configurare un puzzle. Vale a dire che alcuni pezzi del puzzle mancano e si possono inferire, e completandoli con le parti inferite prendono una forma particolare, un’armonia particolare dell’oggetto archeologico. Ossia, con questo metodo ricostruiva la personalità del bambino in base a frammenti, che gli fecero commettere, in un primo momento, un errore, come fu la prima teoria traumatica delle nevrosi. Secondo la sua esperienza, l’isteria e le nevrosi ossessive erano prodotte da esperienze sessuali di una categoria speciale, per cui nell’isteria il paziente soffirva un trauma sessuale, generalmente di carattere incestuoso subito passivamente, mentre nella nevrosi ossessiva c’era un intervento attivo nella situazione. Allora, quando trovava elementi di questo tipo, li univa ed appariva la figura. Vale a dire che questi avvenimenti reali sono fantasie ma, a loro volta, nascondono altri fatti. E' costato molto a Freud rettificare questo errore, così ha postulato che sono finzioni, ricordi di copertura e che, dietro di questi ricordi di copertura, c’erano situazioni reali, ma non quelle che venivano raccontate bensì altre differenti.
Questa è la fantasia inconscia che inizia in quel momento e che, poi, continua ed occupa un luogo molto importante nel pensiero psicoanalitico. Le fantasie che all’inizio venivano raccontate come traumi erano inconsce. Sotto l’influenza di Kurt Lewin e, soprattutto, della scuola della Gestalt applicata nella psicologia sociale, si è iniziato ad introdurre il qui ed ora, cioè, una terza dimensione. Quindi, possiamo studiare la psicoanalisi in tre dimensioni:
1) storica, che serve per interpretare: Freud usa il metodo storico-genetico nel quale cerca di assemblare il passato del paziente in base a sogni, ricordi, ecc., cioè di ricostruire il passato infantile;
2) metafisica o filosofica, di analisi del progetto;
3) della psicologia sociale, del qui e ora.
Vale a dire che Freud passava dall’archeologia alla filosofia, e poi alla psicologia sociale. Un’interpretazione tipica di Freud sarebbe stata 1-2-3, ossia: questo accadde nell’infanzia (1), potrebbe accadere di nuovo in futuro (2), e forse proprio ora (3). Un’interpretazione, per noi, è 3-1-2: questo che sta accadendo ora (3), è accaduto prima con altri (1) e potrebbe ripetersi nel futuro (2). Questo ritorno al futuro nella malattia lo vedremo più avanti, in quello che è la "depressione regressiva", quando il soggetto regredisce alla posizione archeologica regressiva, e vedremo come elabora la perdita attuale in termini di ciò che ha appreso come archeologo.
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