PSICOTERAPIA DELLA FAMIGLIA
Quando si parla della famiglia generalmente si parla di quella che viene definita famiglia nucleare, ovvero composta da una madre, da un padre e da uno o più figli; ma si può anche parlare di famiglia allargata, ossia costituita anche dalle generazioni precedenti a quella dei genitori (e dunque i nonni) o dai parenti più prossimi (zii e cugini).
In generale, si nasce e si cresce all’interno di una famiglia. È all’interno di una famiglia che l’individuo evolve, cresce, arriva a costituirsi una sua identità e riesce a raggiungere una sua indipendenza. Indipendenza da intendersi in senso relativo poiché si rimarrà sempre inseriti, nei diversi ambiti della propria vita, in una rete di relazioni all’interno della quale ci si appoggerà agli altri per poter soddisfare le proprie necessità e si fungerà da appoggio per gli altri al fine di permettere il soddisfacimento delle loro necessità.
La famiglia è un luogo che può essere inteso come luogo di apprendimento di processi cognitivi ed emotivi. Un luogo dove si possono sviluppare le capacità comunicative delle persone e, dunque, anche la loro capacità di pensiero.
Ogni famiglia ha un proprio ciclo vitale poiché, in quanto organismo sociale, si forma, cresce e conclude il proprio percorso di vita. All’interno di questo ciclo vitale si sperimentano diversi momenti di crisi (l’unione della coppia, la nascita dei figli, l’entrata dei figli prima nell’età scolare e poi in quella adolescenziale, le crisi di mezza età dei genitori, il momento dell’indipendenza dei figli, le varie crisi economiche e politiche ma anche l’eventuale conquista di uno status sociale cui da tanto tempo si ambiva, la morte di qualcuno dei membri della famiglia) i quali, se si riesce adeguatamente a farvi fronte, possono essere superati contribuendo ad un’evoluzione del gruppo familiare; viceversa, qualora non si riuscisse a rispondervi in modo idoneo, queste crisi possono determinare un blocco dello sviluppo del gruppo, stabilendosi una configurazione familiare connotata dalle infermità (della famiglia o di qualcuno dei propri membri), ossia patologica.
I momenti di crisi comportano il dover fare i conti con le perdite e con la necessaria elaborazione dei lutti: momento indispensabile ed imprescindibile per pensare ad un cambiamento inteso in senso evolutivo.
È possibile sostenere che è proprio la capacità evolutiva ciò che connota una famiglia sana, che possiamo definire come caratterizzata da movimento e plasticità, riuscendo a stare in una qualche relazione con le richieste provenienti dal mondo esterno e ad adattarsi alle necessità dei propri membri interni.
La famiglia si ammala, invece, quando al cospetto di queste richieste (esterne ed interne) rimane soggiogata dalle ansie e dalle tensioni che sperimenta e non riesce a modificarsi, favorendo una situazione di immobilità e di stasi.
Rispetto a questa situazione di paralisi determinata dall’angoscia che il gruppo familiare non riesce a gestire, spesso la soluzione che viene trovata è quella di "far ammalare" uno dei suoi membri: l’ansia e le tensioni sperimentate dal tutto il gruppo vengono canalizzate su uno solo dei componenti della famiglia il quale, ad un certo momento, non riuscendo a gestire l’eccessivo peso, giunge ad ammalarsi, manifestando sintomi patologici.
La malattia espressa dal singolo, ovvero colui che viene definito il malato, dovrebbe però essere considerata un sintomo della situazione complessiva della famiglia che, evidentemente in stato di sofferenza, non ha saputo riorganizzarsi per rispondere alle richieste pervenute dal proprio interno e dal mondo esterno.
Il lavoro terapeutico, a quel punto, consiste nel fare in modo che ciascun membro del gruppo possa ri-farsi carico della propria quantità di ansia e della propria sofferenza, depositate precedentemente in colui che ha "giocato" il ruolo di malato, permettendo a quest’ultimo di liberarsi da quell’eccesso di angoscia che ne aveva causato la "malattia".
Bibliografia:
Roberto Losso, "Psicoanalisi della famiglia", Franco Angeli, Milano, 2000
In generale, si nasce e si cresce all’interno di una famiglia. È all’interno di una famiglia che l’individuo evolve, cresce, arriva a costituirsi una sua identità e riesce a raggiungere una sua indipendenza. Indipendenza da intendersi in senso relativo poiché si rimarrà sempre inseriti, nei diversi ambiti della propria vita, in una rete di relazioni all’interno della quale ci si appoggerà agli altri per poter soddisfare le proprie necessità e si fungerà da appoggio per gli altri al fine di permettere il soddisfacimento delle loro necessità.
La famiglia è un luogo che può essere inteso come luogo di apprendimento di processi cognitivi ed emotivi. Un luogo dove si possono sviluppare le capacità comunicative delle persone e, dunque, anche la loro capacità di pensiero.
Ogni famiglia ha un proprio ciclo vitale poiché, in quanto organismo sociale, si forma, cresce e conclude il proprio percorso di vita. All’interno di questo ciclo vitale si sperimentano diversi momenti di crisi (l’unione della coppia, la nascita dei figli, l’entrata dei figli prima nell’età scolare e poi in quella adolescenziale, le crisi di mezza età dei genitori, il momento dell’indipendenza dei figli, le varie crisi economiche e politiche ma anche l’eventuale conquista di uno status sociale cui da tanto tempo si ambiva, la morte di qualcuno dei membri della famiglia) i quali, se si riesce adeguatamente a farvi fronte, possono essere superati contribuendo ad un’evoluzione del gruppo familiare; viceversa, qualora non si riuscisse a rispondervi in modo idoneo, queste crisi possono determinare un blocco dello sviluppo del gruppo, stabilendosi una configurazione familiare connotata dalle infermità (della famiglia o di qualcuno dei propri membri), ossia patologica.
I momenti di crisi comportano il dover fare i conti con le perdite e con la necessaria elaborazione dei lutti: momento indispensabile ed imprescindibile per pensare ad un cambiamento inteso in senso evolutivo.
È possibile sostenere che è proprio la capacità evolutiva ciò che connota una famiglia sana, che possiamo definire come caratterizzata da movimento e plasticità, riuscendo a stare in una qualche relazione con le richieste provenienti dal mondo esterno e ad adattarsi alle necessità dei propri membri interni.
La famiglia si ammala, invece, quando al cospetto di queste richieste (esterne ed interne) rimane soggiogata dalle ansie e dalle tensioni che sperimenta e non riesce a modificarsi, favorendo una situazione di immobilità e di stasi.
Rispetto a questa situazione di paralisi determinata dall’angoscia che il gruppo familiare non riesce a gestire, spesso la soluzione che viene trovata è quella di "far ammalare" uno dei suoi membri: l’ansia e le tensioni sperimentate dal tutto il gruppo vengono canalizzate su uno solo dei componenti della famiglia il quale, ad un certo momento, non riuscendo a gestire l’eccessivo peso, giunge ad ammalarsi, manifestando sintomi patologici.
La malattia espressa dal singolo, ovvero colui che viene definito il malato, dovrebbe però essere considerata un sintomo della situazione complessiva della famiglia che, evidentemente in stato di sofferenza, non ha saputo riorganizzarsi per rispondere alle richieste pervenute dal proprio interno e dal mondo esterno.
Il lavoro terapeutico, a quel punto, consiste nel fare in modo che ciascun membro del gruppo possa ri-farsi carico della propria quantità di ansia e della propria sofferenza, depositate precedentemente in colui che ha "giocato" il ruolo di malato, permettendo a quest’ultimo di liberarsi da quell’eccesso di angoscia che ne aveva causato la "malattia".
Bibliografia:
Roberto Losso, "Psicoanalisi della famiglia", Franco Angeli, Milano, 2000
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