PSICOTERAPIA DI GRUPPO
Nella definizione classica di Enrique Pichon-Rivière, il fondatore della tecnica del gruppo operativo, il gruppo viene descritto come: “un insieme di persone riunite da costanti di tempo e di spazio, che si integrano tra loro attraverso una mutua rappresentazione interna e che si propongono implicitamente o esplicitamente un compito, che costituisce la qualità del gruppo” (1971).
Nel gruppo l’elemento centrale è il compito: è questo che convoca le persone interessate e che permette che il gruppo faccia il suo corso ed abbia un suo sviluppo. In questa concezione si considerano due livelli nel lavoro gruppale: c’è il compito manifesto (ci si può riunire per fare terapia, formazione...), che aiuta a produrre il gruppo medesimo, ossia il rapporto tra i diversi partecipanti; ma bisogna sempre pensare che dietro il compito manifesto c’è un compito latente, inconscio. Il latente gruppale è l’organizzazione che ciascuno si fa dei fantasmi, delle fantasie e dei desideri quando è in rapporto con gli altri. Quando il processo gruppale comincia a funzionare si passa pian piano dal compito manifesto a quello latente; e dalla fase detta di gruppazione (fase di conoscenza e di assestamento dei partecipanti all'esperienza) si passa al gruppo (quando tra i partecipanti è possibile avere un riconoscimento reciproco). Il latente è sempre presente perché tutti abbiamo una soggettività, abbiamo delle esperienze e, conseguentemente, un’idea o una concezione relativa al come dovrebbero funzionare le cose.
Armando J. Bauleo ipotizza che nel gruppo ci sarebbero due terapeuti: uno è il terapeuta propriamente detto, il coordinatore del gruppo, e l’altro è costituito dalla struttura di gruppo: “La modificazione nella struttura gruppale produrrebbe una modificazione e trasformazione nella struttura di personalità” (1990). Cioè, si sostiene che è attraverso la modificazione dei rapporti tra gli integranti (i partecipanti al gruppo), e la conseguente diversificazione nelle modalità di assegnazione ed assunzione dei ruoli, che si provocherebbe un cambiamento nel gruppo interno degli integranti e dunque nella loro struttura di personalità.
Il gruppo interno è costituito da relazioni sociali internalizzate, primariamente quelle strutturate all’interno dell’ambito familiare, le quali verranno modificate entrando in contatto con gli altri gruppi, quelli detti secondari, e successivamente verranno esteriorizzate, dando luogo alle modalità di relazione che il soggetto mette in atto rispetto al mondo esterno. Il gruppo interno è sempre presente in ciascun soggetto e non è possibile eliminarlo, si può solamente lavorare per cercare di modificarlo continuamente a seconda delle situazioni contingenti nelle quali ci si viene a trovare. Quando non si riesce a produrre dei cambiamenti nel proprio gruppo interno tali per cui ci si ritrova a relazionarsi con l’esterno in maniera abitudinaria, riproponendo quindi apprendimenti relazionali passati ma insoddisfacenti nell’hic et nunc della situazione che si sta vivendo, allora si parla di stereotipia e di malattia.
Una delle idee portanti di questa concezione è che sia il gruppo medesimo, inteso appunto come insieme di persone in reciproca relazione, che dovrebbe farsi carico dei membri che ne fanno parte, rompendo quella concezione stereotipata tesa all’individualismo per la quale se un soggetto, apportando elementi di differenza all’interno di un certo contesto, contribuisce a creare una situazione di difficile gestione, la responsabilità viene ascritta solamente a lui, con la sua conseguente espulsione messa in atto allo scopo di riuscire a ristabilire quella situazione di equilibrio e di soddisfazione che si ritiene impedita dal soggetto considerato problematico.
Questa appena sintetizzata è una modalità di pensiero e di atteggiamento molto diffusa a livello sociale ed è quella che tende a creare la dinamica del capro espiatorio: in base a tale convinzione parrebbe esistere una sorta di modello ideale di essere umano, e coloro che si allontanano da questo modello, che sembrano differire per aspetti peculiari ma che in realtà sono meno differenziati di quanto il gruppo desidererebbe (Girard R., 1982), vengono ritenuti responsabili delle situazioni di problematicità che inevitabilmente si verificano nella vita quotidiana di ciascuna aggregazione sociale.
Nella concezione operativa, al contrario, si ritiene che il lavoro del gruppo sia quello di ri-aggiustarsi continuamente, o di ricombinarsi, confrontandosi con le contingenze concretamente vissute nel qui ed ora, rivedendo costantemente lo schema di riferimento utilizzato a partire dai codici di riferimento propri dei partecipanti: “Tutti i gruppi operativi lavorano costituendo nuovi codici da quelli antichi e tuttavia, perché questo lavoro spontaneo possa effettuarsi, è necessario abbassare il clima di paura di essere attaccati dalla novità, dall’estraneo che ci fa chiudere in reazioni di difesa e in atteggiamenti paranoici. È anche necessario superare intenzionalmente lo schema idealistico basato sull’imperativo della conservazione di una identità fuori dal mondo della vita” (Montecchi L., 2003).
Bibliografia:
Armando Bauleo, "Psicoanalisi e gruppalità", Borla, Roma, 2000
René Girard, "Il capro espiatorio", Adelphi, Milano, 1987
Leonardo Montecchi, "Segregazione, integrazione e ricombinazione", in 'Atti del IIV Convegno nazionale' dell'Associazione Italiana Sindorme 'X-Fragile', 2003
Enrique Pichon Rivière (1971), "Il processo gruppale. Dalla psicoanalisi alla psicologia sociale",Libreria Editrice Lauretana , Loreto, 1985
Nel gruppo l’elemento centrale è il compito: è questo che convoca le persone interessate e che permette che il gruppo faccia il suo corso ed abbia un suo sviluppo. In questa concezione si considerano due livelli nel lavoro gruppale: c’è il compito manifesto (ci si può riunire per fare terapia, formazione...), che aiuta a produrre il gruppo medesimo, ossia il rapporto tra i diversi partecipanti; ma bisogna sempre pensare che dietro il compito manifesto c’è un compito latente, inconscio. Il latente gruppale è l’organizzazione che ciascuno si fa dei fantasmi, delle fantasie e dei desideri quando è in rapporto con gli altri. Quando il processo gruppale comincia a funzionare si passa pian piano dal compito manifesto a quello latente; e dalla fase detta di gruppazione (fase di conoscenza e di assestamento dei partecipanti all'esperienza) si passa al gruppo (quando tra i partecipanti è possibile avere un riconoscimento reciproco). Il latente è sempre presente perché tutti abbiamo una soggettività, abbiamo delle esperienze e, conseguentemente, un’idea o una concezione relativa al come dovrebbero funzionare le cose.
Armando J. Bauleo ipotizza che nel gruppo ci sarebbero due terapeuti: uno è il terapeuta propriamente detto, il coordinatore del gruppo, e l’altro è costituito dalla struttura di gruppo: “La modificazione nella struttura gruppale produrrebbe una modificazione e trasformazione nella struttura di personalità” (1990). Cioè, si sostiene che è attraverso la modificazione dei rapporti tra gli integranti (i partecipanti al gruppo), e la conseguente diversificazione nelle modalità di assegnazione ed assunzione dei ruoli, che si provocherebbe un cambiamento nel gruppo interno degli integranti e dunque nella loro struttura di personalità.
Il gruppo interno è costituito da relazioni sociali internalizzate, primariamente quelle strutturate all’interno dell’ambito familiare, le quali verranno modificate entrando in contatto con gli altri gruppi, quelli detti secondari, e successivamente verranno esteriorizzate, dando luogo alle modalità di relazione che il soggetto mette in atto rispetto al mondo esterno. Il gruppo interno è sempre presente in ciascun soggetto e non è possibile eliminarlo, si può solamente lavorare per cercare di modificarlo continuamente a seconda delle situazioni contingenti nelle quali ci si viene a trovare. Quando non si riesce a produrre dei cambiamenti nel proprio gruppo interno tali per cui ci si ritrova a relazionarsi con l’esterno in maniera abitudinaria, riproponendo quindi apprendimenti relazionali passati ma insoddisfacenti nell’hic et nunc della situazione che si sta vivendo, allora si parla di stereotipia e di malattia.
Una delle idee portanti di questa concezione è che sia il gruppo medesimo, inteso appunto come insieme di persone in reciproca relazione, che dovrebbe farsi carico dei membri che ne fanno parte, rompendo quella concezione stereotipata tesa all’individualismo per la quale se un soggetto, apportando elementi di differenza all’interno di un certo contesto, contribuisce a creare una situazione di difficile gestione, la responsabilità viene ascritta solamente a lui, con la sua conseguente espulsione messa in atto allo scopo di riuscire a ristabilire quella situazione di equilibrio e di soddisfazione che si ritiene impedita dal soggetto considerato problematico.
Questa appena sintetizzata è una modalità di pensiero e di atteggiamento molto diffusa a livello sociale ed è quella che tende a creare la dinamica del capro espiatorio: in base a tale convinzione parrebbe esistere una sorta di modello ideale di essere umano, e coloro che si allontanano da questo modello, che sembrano differire per aspetti peculiari ma che in realtà sono meno differenziati di quanto il gruppo desidererebbe (Girard R., 1982), vengono ritenuti responsabili delle situazioni di problematicità che inevitabilmente si verificano nella vita quotidiana di ciascuna aggregazione sociale.
Nella concezione operativa, al contrario, si ritiene che il lavoro del gruppo sia quello di ri-aggiustarsi continuamente, o di ricombinarsi, confrontandosi con le contingenze concretamente vissute nel qui ed ora, rivedendo costantemente lo schema di riferimento utilizzato a partire dai codici di riferimento propri dei partecipanti: “Tutti i gruppi operativi lavorano costituendo nuovi codici da quelli antichi e tuttavia, perché questo lavoro spontaneo possa effettuarsi, è necessario abbassare il clima di paura di essere attaccati dalla novità, dall’estraneo che ci fa chiudere in reazioni di difesa e in atteggiamenti paranoici. È anche necessario superare intenzionalmente lo schema idealistico basato sull’imperativo della conservazione di una identità fuori dal mondo della vita” (Montecchi L., 2003).
Bibliografia:
Armando Bauleo, "Psicoanalisi e gruppalità", Borla, Roma, 2000
René Girard, "Il capro espiatorio", Adelphi, Milano, 1987
Leonardo Montecchi, "Segregazione, integrazione e ricombinazione", in 'Atti del IIV Convegno nazionale' dell'Associazione Italiana Sindorme 'X-Fragile', 2003
Enrique Pichon Rivière (1971), "Il processo gruppale. Dalla psicoanalisi alla psicologia sociale",Libreria Editrice Lauretana , Loreto, 1985
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