TRADOTTI
TEORIA DEI RUOLI: ASSUNZIONE DEI RUOLI NELLA FAMIGLIA. TEORIA DEI VINCOLI
Lezione dettata dal Dr. Enrique Pichon-Rivière, il 27/06/1966 (Primo anno)
SCUOLA PRIVATA DI PSICHIATRIA SOCIALE, Lezione n. 7
(Il titolo originale della lezione, ripresa dal sito www.espiraldialectica.com, è “Teoría de los roles: Asunción de roles en la familia. Teoría de los vínculos” e la traduzione dallo spagnolo è ad opera di Lorenzo Sartini)
La prima situazione dal punto di vista biologico che si pone al "self" del soggetto (all’io) è la bisessualità, vale a dire le sue tendenze omo ed eterosessuali. Si ammette che l’essere umano sia intrinsecamente bisessuale e l’assunzione del ruolo corrispondente al sesso che prevale in lui lo orienterà verso una sessualità normale; mentre, al contrario, l’assunzione di un ruolo sbagliato per un errore nella gestione dei ruoli nel proprio ambito familiare, dove la madre può svolgere un ruolo maschile e il padre un ruolo femminile o passivo, può provocare una confusione nel bambino che, volendo assumere un modello attivo assume, per errore, quello della madre.
Per questo si ha una confusione di ruoli come base di ogni nevrosi, di ogni perversione. E ci sono alcune situazioni o alcune culture in certi momenti, come la nostra, dove l’ansietà o la sfiducia di base o l’insicurezza di base agisce in un modo che rende difficoltosi i processi di identificazione. C’è una confusione delle immagini, perché in un’epoca di crisi, la donna, casalinga, assume ruoli di leadership e abbiamo, quindi, un vero matriarcato nelle epoche di crisi, dove la donna ha un ruolo essenziale di equilibrio e di strategia di fronte all’uomo che torna angosciato o che, ogni volta che va al lavoro, ci va angosciato.
Voglio dire che le situazioni sociali possono cambiare i ruoli delle persone e fare che, in una situazione critica come negli Stati Uniti, per esempio, ci sia un aumento considerevole dell’omosessualità e della psicosi in generale. Nel quartiere latino funziona un’istituzione che regolamenta le norme di quella comunità di omosessuali che si considera una comunità aperta. Questo problema si dà anche in Inghilterra: i due paesi che hanno più paura in questo momento.
Vale a dire che la paura può essere misurata per la quantità di conversioni, perché è come una religione, come una setta con le caratteristiche di una massoneria. C’è un libro che vi raccomando di leggere, è stato pubblicato in Messico qualche tempo fa e si chiama “L’omosessualità negli Stati Uniti”. È l’unico studio sociologico fatto da un sociologo omosessuale dichiarato.
Qui, in Argentina si calcolano circa 850.000 omosessuali. Quindi, è un problema che può essere compreso solo sociologicamente e non psicologicamente, caso per caso. La società dispone di una certa quantità di ruoli in determinate occasioni; vale a dire, ammette una quota periodica di aumento che risulta, in ultima istanza, dall’ansietà di fronte al pericolo di attacco atomico, per esempio.
La paura poi, come base di ogni patologia, è la paura della perdita e dell’attacco. Apparentemente, è soprattutto la paura dell’attacco ma, dietro di questo, c’è una determinata perdita. La perdita come sé ["como sì" viene riportato nel testo originale ma non ne comprendo il senso], la perdita come vita, come parenti, come comunità, ecc. Vale a dire che la depressione sta sotto a tutto. Così, appaiono le idee più fantastiche sulla difesa, come, per esempio, il caso della biblioteca dell’Università della Colombia che si trova 150 metri sottoterra.
Un altro esempio è stato quando circa 30 persone morirono perché sono uscite dal lavoro con il problema di andare a casa, fuori dalla città, e in un sotterraneo c’era una porta chiusa per lavori di ristrutturazione: tutti sono entrati, con l’automatismo di tutti i giorni, e sono morti asfissiati. Noi avevamo fatto una ricerca, lì, e avevamo pronosticato una catastrofe di quel tipo per l’aumento di tensione e di ansietà. E con il pericolo esterno diminuisce l’ansietà del paranoico, sebbene la logica tenderebbe a far pensare che, aumentando l’ansietà, il pericolo dell’attacco, dovrebbe aumentare la persecuzione, però non è così.
Al contrario, la situazione depressiva aumenta soprattutto nell’età in cui il soggetto inizia a perdere la propria capacità strumentale. Negli Stati Uniti c’è una iper-specializzazione nella gestione di un piccolo strumento o di una piccola parte del tutto. Così, appaiono depressioni collettive nell’ambito industriale, in quei soggetti che non vedono terminata la parte che essi hanno contribuito a realizzare.
Il lavoro ha una funzione terapeutica dal punto di vista della riparazione dell’oggetto interno, ma deve essere vista nella sua totalità e non parzializzata, come è caratteristica di questa epoca meccanizzata. A quanto pare l’automazione è volta ad una reintegrazione del soggetto perché egli, che mira a sentirsi realizzato con un incarico, premendo un bottone fa muovere tutto un ingranaggio, una totalità. Il problema è cosa fare con gli altri.
Tornando alla situazione triangolare, questa si appoggia su una base biologica, primariamente, che è costituita dal self, che è il centro dell’io, con le sensazioni di fame e delle due tendenze che entrano in conflitto.
Quindi, la scelta di un cammino o di un altro, dipende dalle angosce che esistono in quel momento. Ora, perché in una situazione di paura molto intensa, di insicurezza sociale, si sceglie questo ruolo contrario? Per evitare, giustamente, la perdita. Nel caso dell’omosessuale maschio è più evidente morfologicamente, poiché incorporando la madre prima di perderla, si identifica con essa e allora assume tratti femminili, a volte visibili. Mentre nella donna l’identificazione con il padre tende meno a somatizzarsi.
Il modo di non essere attaccato è placare il persecutore con il comportamento sessuale dell’oggetto primario; essendo la madre, placare il padre, castratore e persecutore, consacrandosi sessualmente a lui. Allora trattiene la madre, placa il padre e risolve le due ansietà. Da lì emerge un’intera cultura ambigua che si riflette in tutte le attività, dall’arte fino a qualsiasi lavoro o tipo di vocazione. Questa bisessualità congenita dell’uomo fu segnalata da Freud, e intravista sin dall’antichità da Platone che concepiva l’uomo come una dualità permanente e, avendo poi gli endocrinologi moderni provato chimicamente l’esistenza dei due tipi di ormoni in un momento specifico dello sviluppo, c’è una base di supporto biologico sulla quale si appoggiano le funzioni che sono i ruoli. Con ciò, facciamo vedere che la parte strumentale di cui dispone l’uomo per sua costituzione segnala la linea del ruolo da assumere. Effettivamente, il ruolo sociale che assume il soggetto in accordo alla sua categoria, alla sua carica, al suo sesso, è condizionato da differenze anatomiche.
La seconda situazione triangolare si stabilisce nella posizione che Melanie Klein, Fairbairn e altri chiamano schizoparanoide, che è la prima posizione dello sviluppo dei primi mesi. Sembra che, evidentemente, al momento della nascita, il soggetto nasca con un’integrazione dell'"io" e del suo schema corporeo (questo è stato il punto di partenza dei miei lavori). Lo schema corporeo, che io chiamo "protoschema corporeo" e che ha una forma circolare, è la prima ad apparire e rappresenta la posizione fetale. Questa situazione è integrata in un soggetto che ha, come forma primaria del suo schema corporeo o schema postura, la forma di un cerchio. La prova è che ciò che fanno, per prima cosa, il bambino e gli oligofrenici sono soprattutto dei cerchi o delle ghirlande che sembrano spirali, come riproduzione della forma primaria della situazione posturale dentro il grembo materno. Alla nascita, il bambino fa la sua prima depressione, che chiamiamo proto-depressione, dove, evidentemente, per fare la depressione, necessita dell’integrazione di un "io" e di una relazione con un oggetto più o meno totale dentro l’utero. Successivamente, viene la nascita ed il cambiamento, e questo è il fattore con cui sempre ci scontriamo: il cambiamento. La nostra specialità è precisamente il cambiamento. Provocare cambiamenti nella terapia e ammettere cambiamenti nella conoscenza.
È per questo che la didattica è gruppale, per aiutarsi ad ammettere i cambiamenti. Vale a dire che la resistenza, l’ansietà davanti al cambiamento, è l’asse, il muro contro cui inciampa ogni soggetto nel suo sviluppo normale. Il passaggio dall’infanzia all’adolescenza e, da questa, all’adultità, ecc. Abbiamo sempre detto che trattiamo, nell’adulto, quello che rimane in lui dell’adolescente e dal quale non si vuole staccare perché lo staccarsi lo porterebbe ad una depressione profonda. Ogni attributo personale o di vincolo con un oggetto, il perdersi e cambiare per un’evoluzione favorevole, è vissuto, senza dubbio, come perdita, e ciò che Freud chiamava resistenza è resistenza al cambiamento. E in quel momento utilizza tutti i meccanismi che Freud descrisse come meccanismi di difesa per impedire un cambiamento reale. Allora può: negare e proiettare, introiettare e spostare, simbolizzare, drammatizzare, ecc., come si vede nei sogni. E quando Freud parla della situazione traumatica nei sogni, è ora ritradotto nei termini della Psicologia Sociale, che enfatizza l’ansietà di fronte al cambiamento. Si sente che Freud aveva immaginato, in quel momento, che la situazione traumatica era il cambiamento e che, di fronte al cambiamento e alla situazione traumatica, c’è una ripetizione nel sogno. Il sogno, allora, è la rappresentazione distorta e possibile del cambiamento che non produce tanta ansietà.
Per questo motivo il sognare è il guardiano del dormire, altrimenti ci si sveglierebbe. Questo si vede negli incubi, le cui caratteristiche sono le situazioni di cambiamento, di persecuzione e di perdita. Nella posizione schizoide, nel bambino che aveva una relazione con un oggetto totale, l’esterno era vissuto come il terzo, ancora non personalizzato, come appare per esempio nell’agorafobia, dove la paura, in realtà, è di chi abita quegli spazi liberi, dal momento che non c’è spazio vuoto, ma spazio abitato. E quando si analizza un paziente fobico si vede che poi appare l’ansietà paranoide.
L’ansietà fobica è un’ansietà paranoide, con la differenza che non si vede, non si personifica e non si visualizza il persecutore, ma il luogo attraverso cui transita, e quando si personifica il persecutore abbiamo la paranoia. E se si indaga di più, si vede che la persecuzione, che apparentemente ha il carattere di una seduzione sessuale e di violenza sessuale, è una persecuzione che ha senso di morte, cioè appare, per la prima volta, l’esperienza della morte in relazione ad un oggetto che è frustrante.
Alla nascita, il bimbo non può, dunque, affrontare la realtà con un oggetto totale, non è organizzato per questo, lì appare, per la prima volta, un meccanismo che sarà da noi utilizzato tutta la vita: è lo "splitting" o scissione, la divisione dell’io. Meccanismo utilizzato anche nel compito dello psicoterapeuta che, in una certa misura, si sdoppia, si dissocia per poter ascoltare e discriminare su ciò che si è ascoltato e poter interpretare.
Il bambino, dunque, approccia il mondo nei primi mesi dividendo gli oggetti in buoni e cattivi: buoni sono quelli gratificanti e cattivi quelli frustranti. Da questi due vincoli appare la gratificazione, che è buona, e la frustrazione, che è cattiva. Freud, seguendo la concezione pulsionalista e meccanicista della sua epoca, li chiama pulsione di vita e pulsione di morte, noi li abbiamo chiamati vincoli positivi o negativi. Quelle chiamate pulsioni sono vincoli sociali molto precocemente strutturati in rapporto agli oggetti. Nessun pensiero è anoggettuale.
La posizione schizoparanoide, allora, crea la situazione triangolare più caratteristica. Più caratteristica perché va drammatizzata, nella quale il seno buono tende a fissarsi sulla madre che è più gratificante in quel periodo rispetto al padre. La parte cattiva, allora, o il seno cattivo della madre, è spostato sul padre, che è vissuto come un oggetto persecutore, non gratificante. Quindi abbiamo il self, il padre e la madre, ancora come oggetti parziali. Parziali vuol dire che sono totalmente buoni o totalmente cattivi e si ha un apparente paradosso. Se si uniscono, l’oggetto buono e l’oggetto cattivo formano un oggetto totale che è parzialmente buono e parzialmente cattivo e, così, si forma un vincolo a quattro vie, mentre nella posizione schizoparanoide il vincolo è a doppia via. Sente che un oggetto lo ama e che lui ama l’oggetto, lo stesso con l’odio. Quando si uniscono nella posizione depressiva, dalla quale deve fatalmente passare, gli oggetti parziali buono e cattivo si uniscono in uno solo. E questo oggetto totale ha aspetti buoni e cattivi. Allora sono quattro vincoli, quattro linee di comunicazione. Una è che il bambino ama sua madre e sente che essa lo ama, la odia e sente che essa lo odia e lo stesso succede con il padre.
Poi si crea la situazione ambivalente, per la prima volta nello sviluppo del bambino. La situazione, mal chiamata ambivalente, della posizione schizoide, la chiamiamo divalente. Quando si crea il conflitto di ambivalenza nella posizione depressiva con le quattro vie di comunicazione, porta come conseguenza immediata il sentimento della colpevolezza. Appare come conseguenza di voler distruggere un oggetto che è amato e che lo ama, a sua volta. Dunque, la colpa è il prodotto di fantasie criminose contro un oggetto che ci ama. Questa è l’unica cosa che rende comprensibile la colpa tanto precocemente.
Quindi, abbiamo come base: oggetto totale, quattro vie di comunicazione, conflitto di ambivalenza, colpa e, come sintomo difensivo – unico della posizione depressiva – l’inibizione. Possono apparire inibizioni in qualsiasi aspetto della vita del soggetto, al fine di paralizzare il processo davanti alla possibile distruzione delle parti buone del soggetto ad opera delle parti cattive dello stesso. Il bambino, nel suo sviluppo, si sforza in un doppio compito che è quello della preservazione del buono e del controllo del cattivo. Ed ogni terapia è orientata in questo senso.
Nell’oggetto buono si deposita la fiducia, deposita le proprie parti buone e allora si sente alla "mercé" ma, sebbene apparentemente sia persecutorio, questo sentimento si dà per l’eccessiva dipendenza che si crea con l’oggetto, senza che questo significhi essere perseguitato dall’oggetto.
Di fronte all’oggetto cattivo la persecuzione è diretta: si sente che si sarà attaccati e che si attaccherà. In precedenza, il sentimento è quella di attaccare l’oggetto, però, per proiezione, questa intenzionalità la si aggiudica all’altro e, a volte, si risponde con l’identificazione con l’aggressore che, allora, si fa perseguitato-persecutore, come accade in certi tipi di paranoia. Per questo, nel paranoico coesistono la megalomania e la persecuzione. La prima è basata su un’identificazione o idealizzazione con l’oggetto buono. Ogni utopia si trova nell’oggetto buono ed ogni persecuzione si trova nell’oggetto cattivo.
L’ansietà depressiva della posizione depressiva è l’ansietà di perdita per la distruzione delle parti buone dell’oggetto totale. L’ansietà depressiva della posizione schizoparanoide deriva dalla sensazione di essere alla "mercè" e dal sentimento di nostalgia, che è differente dalla tristezza della posizione depressiva. La nostalgia si produce quando uno deposita una propria parte nell’oggetto buono. Si vede, per esempio, quando qualcuno si mette in viaggio e, nel commiato, mette una propria parte come "clandestina" dentro l’altro. Ma poi arriva il problema della perdita di controllo del depositario. Se il depositario non dà notizie, inizia lo sconforto e la nostalgia. Questo è prodotto dalla dipendenza, dal timore che la propria parte buona collocata dentro l’altro, dentro l’oggetto buono, non ritorni. Durante l’assenza ha nostalgia ma non depressione, salvo che, per il fatto dell’abbandono, la frustrazione sia tanto intensa da scatenare un attacco massivo che sarebbe vissuto come la distruzione di una parte dell’oggetto.
Nella posizione schizoparanoide la difesa essenziale è lo "splitting" o scissione, la proiezione, l’introiezione, con spostamenti, negazioni, idealizzazioni. Nella posizione depressiva abbiamo la melanconia nel senso più stretto. Ossia: un conflitto di ambivalenza molto intenso, una tristezza e una sensazione di vuoto, lo stesso molto intenso, sensazione di distruzione interiore e caos, e la sensazione dell’irreparabile e del definitivo e, dopo, il lavoro del lutto che inizia come un tentativo di riparare l’oggetto distrutto. Sempre, di fronte a questa situazione si incontra l’inibizione, clinicamente, in ogni aspetto, che rappresenta l’inibizione di fronte al processo distruttivo: per la distruzione. Ogni azione è vissuta come pericolosa, perché se agisce ha la possibilità di distruggere. Lì sì che incontriamo la depressione, il dolore morale del melanconico, l’autocritica, da dove sorgono i deliri melanconici che hanno la caratteristica di essere centrifughi: dall’io verso l’esterno (nel paranoico sono centripeti: dall’esterno verso l’uno). Il primo dice: io sono colpevole della morte, dell’incendio dell’Indocina, ecc. (perché sono anche molto onnipotente, che è ciò che Freud ha chiamato il narcisismo negativo dei melanconici e degli ipocondriaci) e così arrivano all’autodenuncia. A volte avviene l’omicidio altruista, per esempio, una madre che uccide i suoi figli e uccide se stessa, e l’argomento è: “affinché non soffrano come me”.
Questo accade considerando gli argomenti manifesti coscienti che appaiono con la parola altruismo; perché la madre possa arrivare a salvarsi, dice che il motivo del crimine è "affinché non abbiano lo stesso suo destino". Il melanconico, dunque, si aggiudica la colpa e quanto maggiore è questa, più si avvicina al suo culmine in un comportamento come il suicidio. Il suicidio che si vincola alla depressione è, in realtà, collegato alla posizione schizoparanoide in quanto il suicidio è un omicidio internalizzato. Il suicida, all’avere l’insight del fatto che realizzerà un crimine, prende tutte le misure necessarie affinché lo si scopra prima di essere commesso, chiamando il medico o la polizia. Troverete, nei libri, il suicidio collegato alla melanconia, tuttavia, il momento in cui entra nella melanconia, o esce da questa, è schizoparanoide e il suicidio accade dove l’inibizione non funziona e l’azione è più libera. Quello che non avverte il suicida è che "sicuramente" anche lui si uccide, il suo self scompare dalla scena. Se ha l’insight del fatto che morirà, vive la finzione che sia un altro.
Il suicidio è stato indagato dal punto di vista sociologico in un’epoca simile alla nostra, di disintegrazione e cambiamento. Abbiamo visto che, allora, esistono nello sviluppo ansietà psicotiche che nella posizione schizoparanoide sono le ansietà persecutorie, e nella posizione depressiva le ansietà depressive. L’ansietà paranoide è il timore dell’attacco all’io, mentre nella depressiva il timore è della distruzione dell’oggetto. Se trasferiamo questo concetto alla teoria dei vincoli, quello che risulta sempre danneggiato è il vincolo. Dietro l’attacco paranoide c’è la perdita per la rottura del vincolo con l’oggetto. Vale a dire che nell’ansietà depressiva, l’ansietà di morte funziona dietro la sua patologia. Per questo diciamo che uno si ammala d’amore (per la perdita) e di odio (per la frustrazione provocata da tale perdita). Questa sarebbe la definizione più sintetica della patologia mentale.
SCUOLA PRIVATA DI PSICHIATRIA SOCIALE, Lezione n. 7
(Il titolo originale della lezione, ripresa dal sito www.espiraldialectica.com, è “Teoría de los roles: Asunción de roles en la familia. Teoría de los vínculos” e la traduzione dallo spagnolo è ad opera di Lorenzo Sartini)
La prima situazione dal punto di vista biologico che si pone al "self" del soggetto (all’io) è la bisessualità, vale a dire le sue tendenze omo ed eterosessuali. Si ammette che l’essere umano sia intrinsecamente bisessuale e l’assunzione del ruolo corrispondente al sesso che prevale in lui lo orienterà verso una sessualità normale; mentre, al contrario, l’assunzione di un ruolo sbagliato per un errore nella gestione dei ruoli nel proprio ambito familiare, dove la madre può svolgere un ruolo maschile e il padre un ruolo femminile o passivo, può provocare una confusione nel bambino che, volendo assumere un modello attivo assume, per errore, quello della madre.
Per questo si ha una confusione di ruoli come base di ogni nevrosi, di ogni perversione. E ci sono alcune situazioni o alcune culture in certi momenti, come la nostra, dove l’ansietà o la sfiducia di base o l’insicurezza di base agisce in un modo che rende difficoltosi i processi di identificazione. C’è una confusione delle immagini, perché in un’epoca di crisi, la donna, casalinga, assume ruoli di leadership e abbiamo, quindi, un vero matriarcato nelle epoche di crisi, dove la donna ha un ruolo essenziale di equilibrio e di strategia di fronte all’uomo che torna angosciato o che, ogni volta che va al lavoro, ci va angosciato.
Voglio dire che le situazioni sociali possono cambiare i ruoli delle persone e fare che, in una situazione critica come negli Stati Uniti, per esempio, ci sia un aumento considerevole dell’omosessualità e della psicosi in generale. Nel quartiere latino funziona un’istituzione che regolamenta le norme di quella comunità di omosessuali che si considera una comunità aperta. Questo problema si dà anche in Inghilterra: i due paesi che hanno più paura in questo momento.
Vale a dire che la paura può essere misurata per la quantità di conversioni, perché è come una religione, come una setta con le caratteristiche di una massoneria. C’è un libro che vi raccomando di leggere, è stato pubblicato in Messico qualche tempo fa e si chiama “L’omosessualità negli Stati Uniti”. È l’unico studio sociologico fatto da un sociologo omosessuale dichiarato.
Qui, in Argentina si calcolano circa 850.000 omosessuali. Quindi, è un problema che può essere compreso solo sociologicamente e non psicologicamente, caso per caso. La società dispone di una certa quantità di ruoli in determinate occasioni; vale a dire, ammette una quota periodica di aumento che risulta, in ultima istanza, dall’ansietà di fronte al pericolo di attacco atomico, per esempio.
La paura poi, come base di ogni patologia, è la paura della perdita e dell’attacco. Apparentemente, è soprattutto la paura dell’attacco ma, dietro di questo, c’è una determinata perdita. La perdita come sé ["como sì" viene riportato nel testo originale ma non ne comprendo il senso], la perdita come vita, come parenti, come comunità, ecc. Vale a dire che la depressione sta sotto a tutto. Così, appaiono le idee più fantastiche sulla difesa, come, per esempio, il caso della biblioteca dell’Università della Colombia che si trova 150 metri sottoterra.
Un altro esempio è stato quando circa 30 persone morirono perché sono uscite dal lavoro con il problema di andare a casa, fuori dalla città, e in un sotterraneo c’era una porta chiusa per lavori di ristrutturazione: tutti sono entrati, con l’automatismo di tutti i giorni, e sono morti asfissiati. Noi avevamo fatto una ricerca, lì, e avevamo pronosticato una catastrofe di quel tipo per l’aumento di tensione e di ansietà. E con il pericolo esterno diminuisce l’ansietà del paranoico, sebbene la logica tenderebbe a far pensare che, aumentando l’ansietà, il pericolo dell’attacco, dovrebbe aumentare la persecuzione, però non è così.
Al contrario, la situazione depressiva aumenta soprattutto nell’età in cui il soggetto inizia a perdere la propria capacità strumentale. Negli Stati Uniti c’è una iper-specializzazione nella gestione di un piccolo strumento o di una piccola parte del tutto. Così, appaiono depressioni collettive nell’ambito industriale, in quei soggetti che non vedono terminata la parte che essi hanno contribuito a realizzare.
Il lavoro ha una funzione terapeutica dal punto di vista della riparazione dell’oggetto interno, ma deve essere vista nella sua totalità e non parzializzata, come è caratteristica di questa epoca meccanizzata. A quanto pare l’automazione è volta ad una reintegrazione del soggetto perché egli, che mira a sentirsi realizzato con un incarico, premendo un bottone fa muovere tutto un ingranaggio, una totalità. Il problema è cosa fare con gli altri.
Tornando alla situazione triangolare, questa si appoggia su una base biologica, primariamente, che è costituita dal self, che è il centro dell’io, con le sensazioni di fame e delle due tendenze che entrano in conflitto.
Quindi, la scelta di un cammino o di un altro, dipende dalle angosce che esistono in quel momento. Ora, perché in una situazione di paura molto intensa, di insicurezza sociale, si sceglie questo ruolo contrario? Per evitare, giustamente, la perdita. Nel caso dell’omosessuale maschio è più evidente morfologicamente, poiché incorporando la madre prima di perderla, si identifica con essa e allora assume tratti femminili, a volte visibili. Mentre nella donna l’identificazione con il padre tende meno a somatizzarsi.
Il modo di non essere attaccato è placare il persecutore con il comportamento sessuale dell’oggetto primario; essendo la madre, placare il padre, castratore e persecutore, consacrandosi sessualmente a lui. Allora trattiene la madre, placa il padre e risolve le due ansietà. Da lì emerge un’intera cultura ambigua che si riflette in tutte le attività, dall’arte fino a qualsiasi lavoro o tipo di vocazione. Questa bisessualità congenita dell’uomo fu segnalata da Freud, e intravista sin dall’antichità da Platone che concepiva l’uomo come una dualità permanente e, avendo poi gli endocrinologi moderni provato chimicamente l’esistenza dei due tipi di ormoni in un momento specifico dello sviluppo, c’è una base di supporto biologico sulla quale si appoggiano le funzioni che sono i ruoli. Con ciò, facciamo vedere che la parte strumentale di cui dispone l’uomo per sua costituzione segnala la linea del ruolo da assumere. Effettivamente, il ruolo sociale che assume il soggetto in accordo alla sua categoria, alla sua carica, al suo sesso, è condizionato da differenze anatomiche.
La seconda situazione triangolare si stabilisce nella posizione che Melanie Klein, Fairbairn e altri chiamano schizoparanoide, che è la prima posizione dello sviluppo dei primi mesi. Sembra che, evidentemente, al momento della nascita, il soggetto nasca con un’integrazione dell'"io" e del suo schema corporeo (questo è stato il punto di partenza dei miei lavori). Lo schema corporeo, che io chiamo "protoschema corporeo" e che ha una forma circolare, è la prima ad apparire e rappresenta la posizione fetale. Questa situazione è integrata in un soggetto che ha, come forma primaria del suo schema corporeo o schema postura, la forma di un cerchio. La prova è che ciò che fanno, per prima cosa, il bambino e gli oligofrenici sono soprattutto dei cerchi o delle ghirlande che sembrano spirali, come riproduzione della forma primaria della situazione posturale dentro il grembo materno. Alla nascita, il bambino fa la sua prima depressione, che chiamiamo proto-depressione, dove, evidentemente, per fare la depressione, necessita dell’integrazione di un "io" e di una relazione con un oggetto più o meno totale dentro l’utero. Successivamente, viene la nascita ed il cambiamento, e questo è il fattore con cui sempre ci scontriamo: il cambiamento. La nostra specialità è precisamente il cambiamento. Provocare cambiamenti nella terapia e ammettere cambiamenti nella conoscenza.
È per questo che la didattica è gruppale, per aiutarsi ad ammettere i cambiamenti. Vale a dire che la resistenza, l’ansietà davanti al cambiamento, è l’asse, il muro contro cui inciampa ogni soggetto nel suo sviluppo normale. Il passaggio dall’infanzia all’adolescenza e, da questa, all’adultità, ecc. Abbiamo sempre detto che trattiamo, nell’adulto, quello che rimane in lui dell’adolescente e dal quale non si vuole staccare perché lo staccarsi lo porterebbe ad una depressione profonda. Ogni attributo personale o di vincolo con un oggetto, il perdersi e cambiare per un’evoluzione favorevole, è vissuto, senza dubbio, come perdita, e ciò che Freud chiamava resistenza è resistenza al cambiamento. E in quel momento utilizza tutti i meccanismi che Freud descrisse come meccanismi di difesa per impedire un cambiamento reale. Allora può: negare e proiettare, introiettare e spostare, simbolizzare, drammatizzare, ecc., come si vede nei sogni. E quando Freud parla della situazione traumatica nei sogni, è ora ritradotto nei termini della Psicologia Sociale, che enfatizza l’ansietà di fronte al cambiamento. Si sente che Freud aveva immaginato, in quel momento, che la situazione traumatica era il cambiamento e che, di fronte al cambiamento e alla situazione traumatica, c’è una ripetizione nel sogno. Il sogno, allora, è la rappresentazione distorta e possibile del cambiamento che non produce tanta ansietà.
Per questo motivo il sognare è il guardiano del dormire, altrimenti ci si sveglierebbe. Questo si vede negli incubi, le cui caratteristiche sono le situazioni di cambiamento, di persecuzione e di perdita. Nella posizione schizoide, nel bambino che aveva una relazione con un oggetto totale, l’esterno era vissuto come il terzo, ancora non personalizzato, come appare per esempio nell’agorafobia, dove la paura, in realtà, è di chi abita quegli spazi liberi, dal momento che non c’è spazio vuoto, ma spazio abitato. E quando si analizza un paziente fobico si vede che poi appare l’ansietà paranoide.
L’ansietà fobica è un’ansietà paranoide, con la differenza che non si vede, non si personifica e non si visualizza il persecutore, ma il luogo attraverso cui transita, e quando si personifica il persecutore abbiamo la paranoia. E se si indaga di più, si vede che la persecuzione, che apparentemente ha il carattere di una seduzione sessuale e di violenza sessuale, è una persecuzione che ha senso di morte, cioè appare, per la prima volta, l’esperienza della morte in relazione ad un oggetto che è frustrante.
Alla nascita, il bimbo non può, dunque, affrontare la realtà con un oggetto totale, non è organizzato per questo, lì appare, per la prima volta, un meccanismo che sarà da noi utilizzato tutta la vita: è lo "splitting" o scissione, la divisione dell’io. Meccanismo utilizzato anche nel compito dello psicoterapeuta che, in una certa misura, si sdoppia, si dissocia per poter ascoltare e discriminare su ciò che si è ascoltato e poter interpretare.
Il bambino, dunque, approccia il mondo nei primi mesi dividendo gli oggetti in buoni e cattivi: buoni sono quelli gratificanti e cattivi quelli frustranti. Da questi due vincoli appare la gratificazione, che è buona, e la frustrazione, che è cattiva. Freud, seguendo la concezione pulsionalista e meccanicista della sua epoca, li chiama pulsione di vita e pulsione di morte, noi li abbiamo chiamati vincoli positivi o negativi. Quelle chiamate pulsioni sono vincoli sociali molto precocemente strutturati in rapporto agli oggetti. Nessun pensiero è anoggettuale.
La posizione schizoparanoide, allora, crea la situazione triangolare più caratteristica. Più caratteristica perché va drammatizzata, nella quale il seno buono tende a fissarsi sulla madre che è più gratificante in quel periodo rispetto al padre. La parte cattiva, allora, o il seno cattivo della madre, è spostato sul padre, che è vissuto come un oggetto persecutore, non gratificante. Quindi abbiamo il self, il padre e la madre, ancora come oggetti parziali. Parziali vuol dire che sono totalmente buoni o totalmente cattivi e si ha un apparente paradosso. Se si uniscono, l’oggetto buono e l’oggetto cattivo formano un oggetto totale che è parzialmente buono e parzialmente cattivo e, così, si forma un vincolo a quattro vie, mentre nella posizione schizoparanoide il vincolo è a doppia via. Sente che un oggetto lo ama e che lui ama l’oggetto, lo stesso con l’odio. Quando si uniscono nella posizione depressiva, dalla quale deve fatalmente passare, gli oggetti parziali buono e cattivo si uniscono in uno solo. E questo oggetto totale ha aspetti buoni e cattivi. Allora sono quattro vincoli, quattro linee di comunicazione. Una è che il bambino ama sua madre e sente che essa lo ama, la odia e sente che essa lo odia e lo stesso succede con il padre.
Poi si crea la situazione ambivalente, per la prima volta nello sviluppo del bambino. La situazione, mal chiamata ambivalente, della posizione schizoide, la chiamiamo divalente. Quando si crea il conflitto di ambivalenza nella posizione depressiva con le quattro vie di comunicazione, porta come conseguenza immediata il sentimento della colpevolezza. Appare come conseguenza di voler distruggere un oggetto che è amato e che lo ama, a sua volta. Dunque, la colpa è il prodotto di fantasie criminose contro un oggetto che ci ama. Questa è l’unica cosa che rende comprensibile la colpa tanto precocemente.
Quindi, abbiamo come base: oggetto totale, quattro vie di comunicazione, conflitto di ambivalenza, colpa e, come sintomo difensivo – unico della posizione depressiva – l’inibizione. Possono apparire inibizioni in qualsiasi aspetto della vita del soggetto, al fine di paralizzare il processo davanti alla possibile distruzione delle parti buone del soggetto ad opera delle parti cattive dello stesso. Il bambino, nel suo sviluppo, si sforza in un doppio compito che è quello della preservazione del buono e del controllo del cattivo. Ed ogni terapia è orientata in questo senso.
Nell’oggetto buono si deposita la fiducia, deposita le proprie parti buone e allora si sente alla "mercé" ma, sebbene apparentemente sia persecutorio, questo sentimento si dà per l’eccessiva dipendenza che si crea con l’oggetto, senza che questo significhi essere perseguitato dall’oggetto.
Di fronte all’oggetto cattivo la persecuzione è diretta: si sente che si sarà attaccati e che si attaccherà. In precedenza, il sentimento è quella di attaccare l’oggetto, però, per proiezione, questa intenzionalità la si aggiudica all’altro e, a volte, si risponde con l’identificazione con l’aggressore che, allora, si fa perseguitato-persecutore, come accade in certi tipi di paranoia. Per questo, nel paranoico coesistono la megalomania e la persecuzione. La prima è basata su un’identificazione o idealizzazione con l’oggetto buono. Ogni utopia si trova nell’oggetto buono ed ogni persecuzione si trova nell’oggetto cattivo.
L’ansietà depressiva della posizione depressiva è l’ansietà di perdita per la distruzione delle parti buone dell’oggetto totale. L’ansietà depressiva della posizione schizoparanoide deriva dalla sensazione di essere alla "mercè" e dal sentimento di nostalgia, che è differente dalla tristezza della posizione depressiva. La nostalgia si produce quando uno deposita una propria parte nell’oggetto buono. Si vede, per esempio, quando qualcuno si mette in viaggio e, nel commiato, mette una propria parte come "clandestina" dentro l’altro. Ma poi arriva il problema della perdita di controllo del depositario. Se il depositario non dà notizie, inizia lo sconforto e la nostalgia. Questo è prodotto dalla dipendenza, dal timore che la propria parte buona collocata dentro l’altro, dentro l’oggetto buono, non ritorni. Durante l’assenza ha nostalgia ma non depressione, salvo che, per il fatto dell’abbandono, la frustrazione sia tanto intensa da scatenare un attacco massivo che sarebbe vissuto come la distruzione di una parte dell’oggetto.
Nella posizione schizoparanoide la difesa essenziale è lo "splitting" o scissione, la proiezione, l’introiezione, con spostamenti, negazioni, idealizzazioni. Nella posizione depressiva abbiamo la melanconia nel senso più stretto. Ossia: un conflitto di ambivalenza molto intenso, una tristezza e una sensazione di vuoto, lo stesso molto intenso, sensazione di distruzione interiore e caos, e la sensazione dell’irreparabile e del definitivo e, dopo, il lavoro del lutto che inizia come un tentativo di riparare l’oggetto distrutto. Sempre, di fronte a questa situazione si incontra l’inibizione, clinicamente, in ogni aspetto, che rappresenta l’inibizione di fronte al processo distruttivo: per la distruzione. Ogni azione è vissuta come pericolosa, perché se agisce ha la possibilità di distruggere. Lì sì che incontriamo la depressione, il dolore morale del melanconico, l’autocritica, da dove sorgono i deliri melanconici che hanno la caratteristica di essere centrifughi: dall’io verso l’esterno (nel paranoico sono centripeti: dall’esterno verso l’uno). Il primo dice: io sono colpevole della morte, dell’incendio dell’Indocina, ecc. (perché sono anche molto onnipotente, che è ciò che Freud ha chiamato il narcisismo negativo dei melanconici e degli ipocondriaci) e così arrivano all’autodenuncia. A volte avviene l’omicidio altruista, per esempio, una madre che uccide i suoi figli e uccide se stessa, e l’argomento è: “affinché non soffrano come me”.
Questo accade considerando gli argomenti manifesti coscienti che appaiono con la parola altruismo; perché la madre possa arrivare a salvarsi, dice che il motivo del crimine è "affinché non abbiano lo stesso suo destino". Il melanconico, dunque, si aggiudica la colpa e quanto maggiore è questa, più si avvicina al suo culmine in un comportamento come il suicidio. Il suicidio che si vincola alla depressione è, in realtà, collegato alla posizione schizoparanoide in quanto il suicidio è un omicidio internalizzato. Il suicida, all’avere l’insight del fatto che realizzerà un crimine, prende tutte le misure necessarie affinché lo si scopra prima di essere commesso, chiamando il medico o la polizia. Troverete, nei libri, il suicidio collegato alla melanconia, tuttavia, il momento in cui entra nella melanconia, o esce da questa, è schizoparanoide e il suicidio accade dove l’inibizione non funziona e l’azione è più libera. Quello che non avverte il suicida è che "sicuramente" anche lui si uccide, il suo self scompare dalla scena. Se ha l’insight del fatto che morirà, vive la finzione che sia un altro.
Il suicidio è stato indagato dal punto di vista sociologico in un’epoca simile alla nostra, di disintegrazione e cambiamento. Abbiamo visto che, allora, esistono nello sviluppo ansietà psicotiche che nella posizione schizoparanoide sono le ansietà persecutorie, e nella posizione depressiva le ansietà depressive. L’ansietà paranoide è il timore dell’attacco all’io, mentre nella depressiva il timore è della distruzione dell’oggetto. Se trasferiamo questo concetto alla teoria dei vincoli, quello che risulta sempre danneggiato è il vincolo. Dietro l’attacco paranoide c’è la perdita per la rottura del vincolo con l’oggetto. Vale a dire che nell’ansietà depressiva, l’ansietà di morte funziona dietro la sua patologia. Per questo diciamo che uno si ammala d’amore (per la perdita) e di odio (per la frustrazione provocata da tale perdita). Questa sarebbe la definizione più sintetica della patologia mentale.
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