TRADOTTI
UN COMMENTO SULLA DEISTITUZIONALIZZAZIONE
del Professor Armando Bauleo*
E' stata approvata una legge sulla Salute Mentale, recentemente promulgata dalla Città di Buenos Aires, che decreta il termine del modello ospedalocentrico e che propone un'organizzazione dell'assistenza della Salute Mentale in rete, vale a dire che una serie di dispositivi (ambulatori, day hospital, comunità terapeutiche, ecc.) si faranno carico dell'attenzione alla sofferenza mentale, pertanto è necessario chiarire una serie di punti.
Prima di tutto si pone la questione del come effettuare il trattamento dell'operazione di smantellamento di quel modello ospedalocentrico.
Ossia, considerando i pensieri e le pratiche che dimostrano la non validità dei mezzi che l’istituzione organizza per i fini attribuiti (o per svolgere l’“incarico sociale” della sua funzione) e non essendo oggi in grado di soddisfare le domande che ricoprono il suo campo di lavoro, tenendo presente la legge approvata, dobbiamo iniziare ad elaborare una strategia per smantellare e decostruire i saperi di quell’apparato istituzionale.
L’esperienza (i diversi tentativi di trasformazioni istituzionali nei campi della Salute e della Salute Mentale nel nostro paese e in quelli stranieri) ci suggerisce che, in questa operazione di smantellamento, sia necessario considerare tre livelli che funzionano scambiando e intercalando elementi tra loro e che, a volte, rendono macchinoso il lavoro da svolgere.
Proviamo, perlomeno, ad indicarli ed evidenziarne il funzionamento.
Uno di essi comprende il piano soggettivo della problematica; il secondo mira al funzionamento storico dell’istituzione; il terzo al contesto sociale in cui è inserita l’istituzione.
A) In ogni organizzazione istituzionale è presente ciò che viene denominata una “produzione di soggettività” inerente al continuo funzionare dell’istituzione. Esisterebbe un ambiente o spazio occupato da istanze desideranti, economiche, politiche, informative, ecc., che abitano in luoghi distinti della struttura istituzionale e che costituiscono una specie di magma con punti diversi di incandescenza.
Quando parliamo della soggettività in gioco, registriamo che nella sua materialità sono presenti una serie di contraddizioni e che fluttuano innumerevoli elementi o forme paradossali (a dire di Winnicott) che organizzano una eterogeneità nella costituzione di quella materialità. Non esisterebbe una superficie liscia, tutto è rugoso in essa. Chiariamo che quando si parla di “produzione di soggettività”, non dobbiamo credere che in essa troviamo solamente elementi impegnati (per la loro ideologia, le loro aspirazioni, le tradizioni, ecc.) a sviluppare gli obiettivi di questa istituzione, ma possiamo anche trovare principi cospirativi (per l’ideologia contrastante con una certa storia dell’istituzione, risentimenti, odii, frustrazioni). È per tale motivo che penetrare in quei vari aspetti soggettivi obbliga a tempi non sempre cronologici.
I soggetti, nei loro ruoli e funzioni, producono “climi”, nei quali si trovano inclusi.
“Gli individui producono istituzioni che poi li producono”, diceva un autore.
Sottolineiamo anche il lavoro psichico che è necessario per lavorare in una istituzione. Ossia, essa (l’istituzione) non si trova solo fuori di noi, e noi andiamo da lei, ma si costituisce anche come oggetto (più o meno libidinizzato) nel nostro psichismo. È in noi e guida aspetti dei nostri comportamenti, delle nostre sensazioni, dei nostri sentimenti e dei nostri pensieri.
Abitiamo un’istituzione ed essa ci abita. Difficile individuare un’oggettività per poter commentare, a chi si stabilisce in un’istituzione, rispetto a quella istituzione. I racconti su di essa includono coloro che li fanno. È anche difficile parlare di essa non essendo lì, e per farlo sarebbe utile avvalersi di un metodo proprio degli antropologi quando si propongono di descrivere una tribù.
In altre parole, non vi sarebbe un puro vincolo oggettivo, le relazioni sono quelle di un nastro di Moebius, sarebbero, per esprimerlo semplicemente, esterni e interni nel loro stesso processo.
Un capitolo particolare, in questo studio della soggettività prodotta, mirerebbe alla problematica del corpo e del sesso. Come si dilata e si contrae quel corpo? Perché i muscoli si irrigidiscono e come interpretare il loro stato nella mulltifunzionalità istituzionale? Si rendono necessari analisti o anche massaggiatrici per studiare e trattare gli aspetti soggettivi istituzionali?
I sessi si intersecano e a volte creano curiosi vincoli di attrazione-rifiuto.
È interessante notare che il corpo (e la sua cura) era al centro di una psicologia del lavoro che si dedicava soprattutto al lavoro di fabbrica e, talvolta, a quello imprenditoriale. Ma il burn-out ha messo al tappeto i corpi in altri lavori apparentemente tranquilli. Il famoso “surmenage” ha raggiunto diversi membri istituzionali.
Nella salute mentale, Pichon-Rivière ironizzava sul fatto che correvano poche differenze tra psichiatri, psicologi e psicotici. Fu Freud ad aggiungere gli psicoanalisti, quando segnalò la possibilità di analisi di tanto in tanto, poiché i pazienti producono alterazioni nelle nostre strutture mentali.
B) Il secondo livello corrisponderebbe al secondo meccanismo interno proprio del primitivo processo di istituzionalizzazione, ossia lo sviluppo storico che ha compiuto l’istituzione per costituirsi. Quando si è considerato che l’istituzione non è un ente statico e monolitico ma che la sua conformazione si è realizzata e si realizza all’interno di un processo storico che produce grandi o piccole modifiche; cioè l’istituzione, vista in un certo momento, è un ritaglio che realizziamo con un certo metodo, all’interno di un processo di istituzionalizzazione.
La storia è anche una storia di istituzioni, che spazia dai costumi quotidiani fino alle forme dello Stato, e le istituzioni hanno la loro storia, come un lungo processo che si estende dalla loro creazione fino al momento presente.
La questione è che il ritmo di quei tempi, di questa storia, non dipende solo dall’istituzione ma dal contesto socio-economico-culturale in cui si sta verificando questa istituzionalizzazione.
Quando cerchiamo di segnalare questa evoluzione storica dell’istituzione dobbiamo includere le due facce del processo: non ci sarebbe solo una presenza manifesta (establishment, obiettivo, personale, organigramma, ecc.) ma anche un aspetto latente o istituente (come lo ha chiamato Lourau), ossia i legami intersoggettivi e ideologici che si sono strutturati nel processo di sviluppo dell’istituzione.
Al processo storico di istituzionalizzazione hanno quindi contribuito elementi manifesti (prendendo in considerazione anche la decisione, formulata a suo tempo, di creare quell’istituzione) nonché i differenti apporti soggettivi (emozionali, di diversi interessi, motivazioni, ecc.), che sono inclusi nella sua materializzazione.
Come conseguenza di tutto ciò, consideriamo che un’analisi di un momento particolare di una istituzione deve contemplare ambedue le facce di quella istituzione.
Il latente o istituente, per farsi visibile deve provocare crisi o rotture poiché il manifesto (burocrazia, abitudini, interessi personali o di gruppo, questioni economiche) non lo lascia apparire e occupare il luogo di “smascheramento” degli stereotipi o dei comportamenti rigidi e ritualistici propri della resistenza al cambiamento.
In rapporto al modello ospedalocentrico, e più chiaramente nell’istituzione manicomiale, in questi momenti non può sopportare la minore interrogazione sui suoi obiettivi, sul suo funzionamento, sul prolungamento del soggiorno dei suoi ospiti, e le risposte professionali (qualunque sia la sua categoria) alle sofferenze o ai malesseri degli utenti.
La nascita di fantasie catastrofiche di fronte al cambiamento del modello rende difficoltoso e ostruisce un processo necessario. Le fantasie mirano ad accentuare le situazioni che hanno una certa risonanza sociale come, per esempio, “la perdita dell’impiego” o “la scomparsa di una funzione o ruolo”; tutte queste fantasie sono, a loro volta, rinforzate vilmente da coloro che traggono profitto dalle disgrazie degli altri.
È inutile negare che il cambiamento di modello produce una dislocazione, essendo necessario stabilire altri luoghi e funzioni. Questo non provoca disoccupazione ma aumento di personale poiché la rete assistenziale funziona grazie a équipes bene organizzate.
Ciò che è utile sottolineare è che sarà necessario “rendere flessibili” le vecchie ideologie manicomiali che accompagnavano comportamenti, nella maggior parte dei casi, indesiderabili e rigidi, e pertanto incompetenti in rapporto alla sofferenza mentale.
Qui dobbiamo insistere, soprattutto con le autorità di diverse gerarchia e funzione, sulla necessità di stabilire “spazi” in cui possiamo informarci e apprendere. In questo caso, informazione e apprendimento sono due categorie centrali.
C) Dobbiamo considerare, come terza situazione, la presenza comunitaria e sociale nella quale si è sviluppato il processo di istituzionalizzazione.
Si apre il ventaglio dei determinanti storici, sociali, economici, culturali che resero possibile lo sviluppo di quell’opera strutturale che è una istituzione.
Credo che si sia detto molto sulla storia internazionale e nazionale della creazione, del mantenimento e della conservazione del manicomio. I protagonisti di quelle storie da Pinel fino ad oggi sono abbastanza conosciuti.
Formano anche parte della loro storia le modifiche che hanno avuto, in bene o in male, queste istituzioni. E come sempre accade, la sua “negazione” (come indicava Basaglia) ci fa nuovamente pensare a quelle determinanti, poiché sarà necessario trasformarle in altre determinanti per effettuare il cambiamento di modello.
Si desidera e si cerca di penetrare in un altro possibile paradigma. Khun segnalava che i cambiamenti di paradigma di una scienza modificano le visioni di tutte le altre scienze.
Qui non so se il cambiamento o la trasformazione del modello ospedalocentrico modificherà le altre discipline (o quali?) ma posso assicurare che trasforma molte delle discipline che sono comprese nella Salute Mentale.
Torniamo alla problematica sociale. Anche qui si confermano fenomeni complessi.
Questi vanno dalla collocazione in un determinato territorio fino all’immagine che quella comunità si è fatta di quella istituzione e dei suoi utenti.
Abbiamo visto che questa immagine comunitaria dell’istituzione a volte favorisce un intervento e in altre lo fa fallire.
Nel nostro caso particolare, quello dell’ospedale psichiatrico, in quella immagine si annidano, in quantità disparate, i pregiudizi che la popolazione ha sui dispositivi della nostra specialità di salute mentale, e su coloro che li utilizzano e ne hanno bisogno.
Qui, la promozione della salute, l’informazione sui malesseri che cerchiamo di curare, sui soggetti che ci chiedono aiuto, sul nostro stesso lavoro, devono compiere un’azione intensa e fare in modo che la popolazione ci accompagni in questo sforzo per affrontare la sofferenza mentale.
Abbiamo così brevemente commentato i tre livelli.
Ma rimarrebbe un’ultima questione da trattare, giacché essa attraversa e compromette le altre tre. Stiamo segnalando la questione della “implicazione”.
Questa questione indica l’“impegno” soggettivo, istituzionale e comunitario di chi si disimpegna in una istituzione, quale che sia il suo ruolo e la sua funzione. Vale a dire, dall’“incarico sociale” alla posizione che occupa nell’istituzione, fino alle sue motivazioni o i suoi interessi soggettivi; tutte cose che dovrebbero almeno essere delineate in un’analisi o descrizione della nostra prestazione professionale.
Come possiamo osservare, il lavoro di trasformazione del modello è arduo ma non per questo meno attraente. Sono necessari tempo, ritmo e lotta per destituire le molteplici complessità, molte delle quali fantasmatiche.
*Il professor Bauleo è psichiatra, psicoanalista e psicologo sociale, direttore scientifico della Scuola di Prevenzione “José Bleger” di Rimini. Autore di numerose pubblicazioni.
E' stata approvata una legge sulla Salute Mentale, recentemente promulgata dalla Città di Buenos Aires, che decreta il termine del modello ospedalocentrico e che propone un'organizzazione dell'assistenza della Salute Mentale in rete, vale a dire che una serie di dispositivi (ambulatori, day hospital, comunità terapeutiche, ecc.) si faranno carico dell'attenzione alla sofferenza mentale, pertanto è necessario chiarire una serie di punti.
Prima di tutto si pone la questione del come effettuare il trattamento dell'operazione di smantellamento di quel modello ospedalocentrico.
Ossia, considerando i pensieri e le pratiche che dimostrano la non validità dei mezzi che l’istituzione organizza per i fini attribuiti (o per svolgere l’“incarico sociale” della sua funzione) e non essendo oggi in grado di soddisfare le domande che ricoprono il suo campo di lavoro, tenendo presente la legge approvata, dobbiamo iniziare ad elaborare una strategia per smantellare e decostruire i saperi di quell’apparato istituzionale.
L’esperienza (i diversi tentativi di trasformazioni istituzionali nei campi della Salute e della Salute Mentale nel nostro paese e in quelli stranieri) ci suggerisce che, in questa operazione di smantellamento, sia necessario considerare tre livelli che funzionano scambiando e intercalando elementi tra loro e che, a volte, rendono macchinoso il lavoro da svolgere.
Proviamo, perlomeno, ad indicarli ed evidenziarne il funzionamento.
Uno di essi comprende il piano soggettivo della problematica; il secondo mira al funzionamento storico dell’istituzione; il terzo al contesto sociale in cui è inserita l’istituzione.
A) In ogni organizzazione istituzionale è presente ciò che viene denominata una “produzione di soggettività” inerente al continuo funzionare dell’istituzione. Esisterebbe un ambiente o spazio occupato da istanze desideranti, economiche, politiche, informative, ecc., che abitano in luoghi distinti della struttura istituzionale e che costituiscono una specie di magma con punti diversi di incandescenza.
Quando parliamo della soggettività in gioco, registriamo che nella sua materialità sono presenti una serie di contraddizioni e che fluttuano innumerevoli elementi o forme paradossali (a dire di Winnicott) che organizzano una eterogeneità nella costituzione di quella materialità. Non esisterebbe una superficie liscia, tutto è rugoso in essa. Chiariamo che quando si parla di “produzione di soggettività”, non dobbiamo credere che in essa troviamo solamente elementi impegnati (per la loro ideologia, le loro aspirazioni, le tradizioni, ecc.) a sviluppare gli obiettivi di questa istituzione, ma possiamo anche trovare principi cospirativi (per l’ideologia contrastante con una certa storia dell’istituzione, risentimenti, odii, frustrazioni). È per tale motivo che penetrare in quei vari aspetti soggettivi obbliga a tempi non sempre cronologici.
I soggetti, nei loro ruoli e funzioni, producono “climi”, nei quali si trovano inclusi.
“Gli individui producono istituzioni che poi li producono”, diceva un autore.
Sottolineiamo anche il lavoro psichico che è necessario per lavorare in una istituzione. Ossia, essa (l’istituzione) non si trova solo fuori di noi, e noi andiamo da lei, ma si costituisce anche come oggetto (più o meno libidinizzato) nel nostro psichismo. È in noi e guida aspetti dei nostri comportamenti, delle nostre sensazioni, dei nostri sentimenti e dei nostri pensieri.
Abitiamo un’istituzione ed essa ci abita. Difficile individuare un’oggettività per poter commentare, a chi si stabilisce in un’istituzione, rispetto a quella istituzione. I racconti su di essa includono coloro che li fanno. È anche difficile parlare di essa non essendo lì, e per farlo sarebbe utile avvalersi di un metodo proprio degli antropologi quando si propongono di descrivere una tribù.
In altre parole, non vi sarebbe un puro vincolo oggettivo, le relazioni sono quelle di un nastro di Moebius, sarebbero, per esprimerlo semplicemente, esterni e interni nel loro stesso processo.
Un capitolo particolare, in questo studio della soggettività prodotta, mirerebbe alla problematica del corpo e del sesso. Come si dilata e si contrae quel corpo? Perché i muscoli si irrigidiscono e come interpretare il loro stato nella mulltifunzionalità istituzionale? Si rendono necessari analisti o anche massaggiatrici per studiare e trattare gli aspetti soggettivi istituzionali?
I sessi si intersecano e a volte creano curiosi vincoli di attrazione-rifiuto.
È interessante notare che il corpo (e la sua cura) era al centro di una psicologia del lavoro che si dedicava soprattutto al lavoro di fabbrica e, talvolta, a quello imprenditoriale. Ma il burn-out ha messo al tappeto i corpi in altri lavori apparentemente tranquilli. Il famoso “surmenage” ha raggiunto diversi membri istituzionali.
Nella salute mentale, Pichon-Rivière ironizzava sul fatto che correvano poche differenze tra psichiatri, psicologi e psicotici. Fu Freud ad aggiungere gli psicoanalisti, quando segnalò la possibilità di analisi di tanto in tanto, poiché i pazienti producono alterazioni nelle nostre strutture mentali.
B) Il secondo livello corrisponderebbe al secondo meccanismo interno proprio del primitivo processo di istituzionalizzazione, ossia lo sviluppo storico che ha compiuto l’istituzione per costituirsi. Quando si è considerato che l’istituzione non è un ente statico e monolitico ma che la sua conformazione si è realizzata e si realizza all’interno di un processo storico che produce grandi o piccole modifiche; cioè l’istituzione, vista in un certo momento, è un ritaglio che realizziamo con un certo metodo, all’interno di un processo di istituzionalizzazione.
La storia è anche una storia di istituzioni, che spazia dai costumi quotidiani fino alle forme dello Stato, e le istituzioni hanno la loro storia, come un lungo processo che si estende dalla loro creazione fino al momento presente.
La questione è che il ritmo di quei tempi, di questa storia, non dipende solo dall’istituzione ma dal contesto socio-economico-culturale in cui si sta verificando questa istituzionalizzazione.
Quando cerchiamo di segnalare questa evoluzione storica dell’istituzione dobbiamo includere le due facce del processo: non ci sarebbe solo una presenza manifesta (establishment, obiettivo, personale, organigramma, ecc.) ma anche un aspetto latente o istituente (come lo ha chiamato Lourau), ossia i legami intersoggettivi e ideologici che si sono strutturati nel processo di sviluppo dell’istituzione.
Al processo storico di istituzionalizzazione hanno quindi contribuito elementi manifesti (prendendo in considerazione anche la decisione, formulata a suo tempo, di creare quell’istituzione) nonché i differenti apporti soggettivi (emozionali, di diversi interessi, motivazioni, ecc.), che sono inclusi nella sua materializzazione.
Come conseguenza di tutto ciò, consideriamo che un’analisi di un momento particolare di una istituzione deve contemplare ambedue le facce di quella istituzione.
Il latente o istituente, per farsi visibile deve provocare crisi o rotture poiché il manifesto (burocrazia, abitudini, interessi personali o di gruppo, questioni economiche) non lo lascia apparire e occupare il luogo di “smascheramento” degli stereotipi o dei comportamenti rigidi e ritualistici propri della resistenza al cambiamento.
In rapporto al modello ospedalocentrico, e più chiaramente nell’istituzione manicomiale, in questi momenti non può sopportare la minore interrogazione sui suoi obiettivi, sul suo funzionamento, sul prolungamento del soggiorno dei suoi ospiti, e le risposte professionali (qualunque sia la sua categoria) alle sofferenze o ai malesseri degli utenti.
La nascita di fantasie catastrofiche di fronte al cambiamento del modello rende difficoltoso e ostruisce un processo necessario. Le fantasie mirano ad accentuare le situazioni che hanno una certa risonanza sociale come, per esempio, “la perdita dell’impiego” o “la scomparsa di una funzione o ruolo”; tutte queste fantasie sono, a loro volta, rinforzate vilmente da coloro che traggono profitto dalle disgrazie degli altri.
È inutile negare che il cambiamento di modello produce una dislocazione, essendo necessario stabilire altri luoghi e funzioni. Questo non provoca disoccupazione ma aumento di personale poiché la rete assistenziale funziona grazie a équipes bene organizzate.
Ciò che è utile sottolineare è che sarà necessario “rendere flessibili” le vecchie ideologie manicomiali che accompagnavano comportamenti, nella maggior parte dei casi, indesiderabili e rigidi, e pertanto incompetenti in rapporto alla sofferenza mentale.
Qui dobbiamo insistere, soprattutto con le autorità di diverse gerarchia e funzione, sulla necessità di stabilire “spazi” in cui possiamo informarci e apprendere. In questo caso, informazione e apprendimento sono due categorie centrali.
C) Dobbiamo considerare, come terza situazione, la presenza comunitaria e sociale nella quale si è sviluppato il processo di istituzionalizzazione.
Si apre il ventaglio dei determinanti storici, sociali, economici, culturali che resero possibile lo sviluppo di quell’opera strutturale che è una istituzione.
Credo che si sia detto molto sulla storia internazionale e nazionale della creazione, del mantenimento e della conservazione del manicomio. I protagonisti di quelle storie da Pinel fino ad oggi sono abbastanza conosciuti.
Formano anche parte della loro storia le modifiche che hanno avuto, in bene o in male, queste istituzioni. E come sempre accade, la sua “negazione” (come indicava Basaglia) ci fa nuovamente pensare a quelle determinanti, poiché sarà necessario trasformarle in altre determinanti per effettuare il cambiamento di modello.
Si desidera e si cerca di penetrare in un altro possibile paradigma. Khun segnalava che i cambiamenti di paradigma di una scienza modificano le visioni di tutte le altre scienze.
Qui non so se il cambiamento o la trasformazione del modello ospedalocentrico modificherà le altre discipline (o quali?) ma posso assicurare che trasforma molte delle discipline che sono comprese nella Salute Mentale.
Torniamo alla problematica sociale. Anche qui si confermano fenomeni complessi.
Questi vanno dalla collocazione in un determinato territorio fino all’immagine che quella comunità si è fatta di quella istituzione e dei suoi utenti.
Abbiamo visto che questa immagine comunitaria dell’istituzione a volte favorisce un intervento e in altre lo fa fallire.
Nel nostro caso particolare, quello dell’ospedale psichiatrico, in quella immagine si annidano, in quantità disparate, i pregiudizi che la popolazione ha sui dispositivi della nostra specialità di salute mentale, e su coloro che li utilizzano e ne hanno bisogno.
Qui, la promozione della salute, l’informazione sui malesseri che cerchiamo di curare, sui soggetti che ci chiedono aiuto, sul nostro stesso lavoro, devono compiere un’azione intensa e fare in modo che la popolazione ci accompagni in questo sforzo per affrontare la sofferenza mentale.
Abbiamo così brevemente commentato i tre livelli.
Ma rimarrebbe un’ultima questione da trattare, giacché essa attraversa e compromette le altre tre. Stiamo segnalando la questione della “implicazione”.
Questa questione indica l’“impegno” soggettivo, istituzionale e comunitario di chi si disimpegna in una istituzione, quale che sia il suo ruolo e la sua funzione. Vale a dire, dall’“incarico sociale” alla posizione che occupa nell’istituzione, fino alle sue motivazioni o i suoi interessi soggettivi; tutte cose che dovrebbero almeno essere delineate in un’analisi o descrizione della nostra prestazione professionale.
Come possiamo osservare, il lavoro di trasformazione del modello è arduo ma non per questo meno attraente. Sono necessari tempo, ritmo e lotta per destituire le molteplici complessità, molte delle quali fantasmatiche.
*Il professor Bauleo è psichiatra, psicoanalista e psicologo sociale, direttore scientifico della Scuola di Prevenzione “José Bleger” di Rimini. Autore di numerose pubblicazioni.
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