BULIMIA NERVOSA
Nella condizione bulimica si riscontrano persone che hanno un peso relativamente nella norma ma, poiché anch’esse caratterizzate dalla paura di ingrassare o di essere in sovrappeso, spesso dedite ad abbuffate e all’uso di purganti: si cerca di controllarsi per dimagrire o non ingrassare, salvo poi cedere all’impulso di riempirsi mediante l’assunzione di grandi quantità di cibo (in genere alimenti già pronti e molto calorici che vengono mischiati senza alcuna attenzione al gusto o ai sapori). Quando le crisi bulimiche arrivano a presentarsi più volte al giorno diventa impossibile riuscire a mantenere una modalità di alimentazione regolare.
L’abbuffata viene vissuta come perdita del controllo, cui fa seguito il vissuto di colpa ed il senso di vergogna legato alla supposta incapacità di mantenere lo standard comportamentale ricercato (non mangiare per non aumentare di peso): questa catena di eventi si conclude con il doloroso vissuto di insoddisfazione per non aver mantenuto fede al proprio obiettivo. Dunque, in definitiva, la perdita dell’autocontrollo provoca un senso di colpa che deve essere espiato, ciò che si pensa di poter fare mettendo in atto comportamenti compensativi come l’autoinduzione del vomito. Una volta che ci si è liberati dal peso psicologico costituito dall’ingestione smodata di cibo e che si pensa di aver espiata la colpa, ci si ritrova nella situazione di partenza, pronti per ricominciare il circolo vizioso del disturbo bulimico.
Anche se ci sono differenze significative tra la condizione clinica dell’anoressica e quella della bulimica, sembra esserci anche una linea di continuità tra l’anoressia nervosa e la bulimia nervosa tanto che dalla condizione clinica di anoressia nervosa si può passare a quella di bulimia nervosa (è molto più raro il contrario).
In un’ottica psicoanalitica si può pensare alla persona anoressica come contraddistinta da una maggiore forza dell’Io e da un maggior controllo del Super-Io (da qui la sua capacità di autocontrollo) mentre, al contrario, la persona bulimica può essere connotata da un Io e da un Super-Io più deboli (da cui l’incapacità di posticipare la scarica degli impulsi: ciò che può presentarsi non solo nella sfera alimentare ma anche nelle sfere delle relazioni sociali e della sessualità). Una questione centrale nella tematica bulimica sembrerebbe essere la difficoltà di separazione sia nei genitori che nella persona che manifesta il sintomo. Si può pensare che questa esigenza di non separarsi sia dovuta al bisogno della famiglia di vedersi come solamente “buona”, dovendo quindi contare su una persona che possa contenere la “cattiveria” costituita dagli aspetti inaccettabili degli altri familiari.
La persona bulimica, con l’abbuffata incontrollata e la conseguente espulsione del cibo ingerito, parrebbe così rappresentare concretamente una scissione: mette dentro delle cose “cattive” (i cibi calorici, i carboidrati, le merendine..) che divora e distrugge aggressivamente, delle quali sente poi di doversi liberare. Una gestione dell’aggressività che risulta però problematica poiché basata sul diniego e non si ricerca, invece, un’integrazione degli aspetti “buoni” con quelli “cattivi”.
Bibliografia: Glenn O. Gabbard, "Psichiatria psicodinamica", Raffaello Cortina Editore, 1995
L’abbuffata viene vissuta come perdita del controllo, cui fa seguito il vissuto di colpa ed il senso di vergogna legato alla supposta incapacità di mantenere lo standard comportamentale ricercato (non mangiare per non aumentare di peso): questa catena di eventi si conclude con il doloroso vissuto di insoddisfazione per non aver mantenuto fede al proprio obiettivo. Dunque, in definitiva, la perdita dell’autocontrollo provoca un senso di colpa che deve essere espiato, ciò che si pensa di poter fare mettendo in atto comportamenti compensativi come l’autoinduzione del vomito. Una volta che ci si è liberati dal peso psicologico costituito dall’ingestione smodata di cibo e che si pensa di aver espiata la colpa, ci si ritrova nella situazione di partenza, pronti per ricominciare il circolo vizioso del disturbo bulimico.
Anche se ci sono differenze significative tra la condizione clinica dell’anoressica e quella della bulimica, sembra esserci anche una linea di continuità tra l’anoressia nervosa e la bulimia nervosa tanto che dalla condizione clinica di anoressia nervosa si può passare a quella di bulimia nervosa (è molto più raro il contrario).
In un’ottica psicoanalitica si può pensare alla persona anoressica come contraddistinta da una maggiore forza dell’Io e da un maggior controllo del Super-Io (da qui la sua capacità di autocontrollo) mentre, al contrario, la persona bulimica può essere connotata da un Io e da un Super-Io più deboli (da cui l’incapacità di posticipare la scarica degli impulsi: ciò che può presentarsi non solo nella sfera alimentare ma anche nelle sfere delle relazioni sociali e della sessualità). Una questione centrale nella tematica bulimica sembrerebbe essere la difficoltà di separazione sia nei genitori che nella persona che manifesta il sintomo. Si può pensare che questa esigenza di non separarsi sia dovuta al bisogno della famiglia di vedersi come solamente “buona”, dovendo quindi contare su una persona che possa contenere la “cattiveria” costituita dagli aspetti inaccettabili degli altri familiari.
La persona bulimica, con l’abbuffata incontrollata e la conseguente espulsione del cibo ingerito, parrebbe così rappresentare concretamente una scissione: mette dentro delle cose “cattive” (i cibi calorici, i carboidrati, le merendine..) che divora e distrugge aggressivamente, delle quali sente poi di doversi liberare. Una gestione dell’aggressività che risulta però problematica poiché basata sul diniego e non si ricerca, invece, un’integrazione degli aspetti “buoni” con quelli “cattivi”.
Bibliografia: Glenn O. Gabbard, "Psichiatria psicodinamica", Raffaello Cortina Editore, 1995
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