DISTURBO DA USO DI SOSTANZE:
DROGHE, ALCOOL, FARMACI
Con il termine tossicodipendenza si intende un abuso di ingestione di sostanze o prodotti chimici (eroina, cocaina, altre sostanze stupefacenti, alcool, farmaci, ecc.) che possono indurre uno stato di dipendenza, apportando problemi fisici che mettono in pericolo la vita e accentuando tutta una serie di difficoltà di natura psicologica.
Quando si parla di dipendenza da sostanze psicoattive (le cosiddette droghe) in genere si intende che una persona ricerca, mediante l’utilizzo di una sostanza o prodotto chimico, una condizione che possa dare un certo piacere o, quando si ha già una lunga carriera tossicomanica alle spalle, una condizione che possa far sentire chi ne fa uso, in qualche modo, come in una situazione di normalità.
Oggi, generalmente si tende a distinguere tra comportamenti di consumo, di abuso o di dipendenza:
- per consumo si intende un uso di sostanze psicoattive che non comporta necessariamente né complicazioni, né danni, ma espone le persone a dei rischi diretti e a condotte a rischio. C’è per esempio un ampio uso, ma spesso limitato e controllato, di alcool che, se non sfocia in abuso, non viene percepito come nocivo (qui c’è un’intensa controversia culturale e politica prima ancora che scientifica..);
- per abuso si intende un consumo suscettibile di indurre danni di tipo fisico, relazionale, psicologico e sociale, sia per il soggetto stesso che per il suo ambiente. L’abuso è una modalità di utilizzo considerata inadeguata che conduce ad un’alterazione significativa delle funzioni e a uno stato di sofferenza;
- per dipendenza si intende, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, un comportamento recidivante e cronico, configurabile come una vera e propria malattia, caratterizzata da:
a) un desiderio prepotente e irrefrenabile (compulsivo) di utilizzare una sostanza psicoattiva;
b) incapacità o grande difficoltà nell’interrompere l’abitudine;
c) sindrome di astinenza fisiologica allorché la persona interrompe l’assunzione. La dipendenza implica poi un abbandono progressivo di altre fonti di gratificazione e di interesse ad esclusivo vantaggio del rapporto con la sostanza che non viene interrotto nonostante il sopraggiungere di conseguenze evidentemente nocive.
Se da una parte è vero che non tutti i consumatori sviluppano dipendenza o riportano dei danni e per alcuni il consumo rimane tale o cessa nell'arco di un tempo variabile, è altrettanto vero che anche il semplice uso espone la persona a dei rischi, incluso quello di sviluppare una carriera tossicomanica verso la dipendenza. Pertanto il consumo di sostanze rientra nel quadro dei comportamenti e delle condotte a rischio. La pericolosità non è solo determinata dalla farmacologia della sostanza, dalle modalità del consumo o del reperimento, ma anche dalle caratteristiche della persona e da fattori economici, sociali e culturali.
Così come per le cosiddette droghe anche l'abuso e la dipendenza da alcool possono definirsi come particolari comportamenti legati all’utilizzo delle sostanze alcoliche con totale orientamento verso l’assunzione di alcool a discapito delle altre sfere della propria vita: la salute viene messa in secondo piano e, in generale, si hanno gravi ripercussioni sulle capacità di adattamento socio-ambientale del soggetto. La persona che abusa di alcool si connota per una “discreta tolleranza all’azione dell’alcol e dalla comparsa di sintomatologia astinenziale qualora il soggetto si astenga dal bere o riduca fortemente l’assunzione di bevande alcoliche” (I. Maremmani, C. Balestri).
Se in precedenza il modello psicoanalitico vedeva l’abuso di sostanze psicoattive come un movimento regressivo verso una fase evolutiva antecedente (la fase orale), attualmente il comportamento di abuso di sostanze viene interpretato come modalità difensiva e adattiva, sebbene venga osservato, di fronte ad affetti potenti come rabbia, vergogna e depressione, una regressione verso stati evolutivi passati.
Il modello attuale vede il tossicomane più come una persona che ha delle difficoltà nel prendersi cura di se stesso piuttosto che come una persona pervasa da impulsi autodistruttivi. Tale supposta carenza nella capacità di prendersi cura di sé deriverebbe da un percorso evolutivo difficile caratterizzato da una problematica interiorizzazione delle figure genitoriali.
Bibliografia:
Glenn O. Gabbard, "Psichiatria psicodinamica", Raffaello Cortina Editore, 1995
Icro Maremmani e Claudio Balestri, “Alcolismo: clinica e terapia”
Quando si parla di dipendenza da sostanze psicoattive (le cosiddette droghe) in genere si intende che una persona ricerca, mediante l’utilizzo di una sostanza o prodotto chimico, una condizione che possa dare un certo piacere o, quando si ha già una lunga carriera tossicomanica alle spalle, una condizione che possa far sentire chi ne fa uso, in qualche modo, come in una situazione di normalità.
Oggi, generalmente si tende a distinguere tra comportamenti di consumo, di abuso o di dipendenza:
- per consumo si intende un uso di sostanze psicoattive che non comporta necessariamente né complicazioni, né danni, ma espone le persone a dei rischi diretti e a condotte a rischio. C’è per esempio un ampio uso, ma spesso limitato e controllato, di alcool che, se non sfocia in abuso, non viene percepito come nocivo (qui c’è un’intensa controversia culturale e politica prima ancora che scientifica..);
- per abuso si intende un consumo suscettibile di indurre danni di tipo fisico, relazionale, psicologico e sociale, sia per il soggetto stesso che per il suo ambiente. L’abuso è una modalità di utilizzo considerata inadeguata che conduce ad un’alterazione significativa delle funzioni e a uno stato di sofferenza;
- per dipendenza si intende, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, un comportamento recidivante e cronico, configurabile come una vera e propria malattia, caratterizzata da:
a) un desiderio prepotente e irrefrenabile (compulsivo) di utilizzare una sostanza psicoattiva;
b) incapacità o grande difficoltà nell’interrompere l’abitudine;
c) sindrome di astinenza fisiologica allorché la persona interrompe l’assunzione. La dipendenza implica poi un abbandono progressivo di altre fonti di gratificazione e di interesse ad esclusivo vantaggio del rapporto con la sostanza che non viene interrotto nonostante il sopraggiungere di conseguenze evidentemente nocive.
Se da una parte è vero che non tutti i consumatori sviluppano dipendenza o riportano dei danni e per alcuni il consumo rimane tale o cessa nell'arco di un tempo variabile, è altrettanto vero che anche il semplice uso espone la persona a dei rischi, incluso quello di sviluppare una carriera tossicomanica verso la dipendenza. Pertanto il consumo di sostanze rientra nel quadro dei comportamenti e delle condotte a rischio. La pericolosità non è solo determinata dalla farmacologia della sostanza, dalle modalità del consumo o del reperimento, ma anche dalle caratteristiche della persona e da fattori economici, sociali e culturali.
Così come per le cosiddette droghe anche l'abuso e la dipendenza da alcool possono definirsi come particolari comportamenti legati all’utilizzo delle sostanze alcoliche con totale orientamento verso l’assunzione di alcool a discapito delle altre sfere della propria vita: la salute viene messa in secondo piano e, in generale, si hanno gravi ripercussioni sulle capacità di adattamento socio-ambientale del soggetto. La persona che abusa di alcool si connota per una “discreta tolleranza all’azione dell’alcol e dalla comparsa di sintomatologia astinenziale qualora il soggetto si astenga dal bere o riduca fortemente l’assunzione di bevande alcoliche” (I. Maremmani, C. Balestri).
Se in precedenza il modello psicoanalitico vedeva l’abuso di sostanze psicoattive come un movimento regressivo verso una fase evolutiva antecedente (la fase orale), attualmente il comportamento di abuso di sostanze viene interpretato come modalità difensiva e adattiva, sebbene venga osservato, di fronte ad affetti potenti come rabbia, vergogna e depressione, una regressione verso stati evolutivi passati.
Il modello attuale vede il tossicomane più come una persona che ha delle difficoltà nel prendersi cura di se stesso piuttosto che come una persona pervasa da impulsi autodistruttivi. Tale supposta carenza nella capacità di prendersi cura di sé deriverebbe da un percorso evolutivo difficile caratterizzato da una problematica interiorizzazione delle figure genitoriali.
Bibliografia:
Glenn O. Gabbard, "Psichiatria psicodinamica", Raffaello Cortina Editore, 1995
Icro Maremmani e Claudio Balestri, “Alcolismo: clinica e terapia”
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