di Claudio Albertani e Rafael Miranda
A colloquio con uno dei pensatori anarchici più stimolanti degli ultimi decenni, argentino residente da 40 anni a Parigi, psichiatra, militante anarchico.
Claudio Albertani – Già prima di lasciare l'Argentina eri un militante libertario e, al tempo stesso, psicoanalista. Potresti parlarci un po' del tuo percorso?
Eduardo Colombo – Il mio impegno politico iniziò molto presto, già alla scuola secondaria. La passione libertaria si acutizzò per le condizioni in cui vivevamo allora sotto la dittatura. Aderire all'anarchismo fu quasi naturale, perché era un'idea molto viva nella storia operaia dell'Argentina. Quando entrai nella facoltà di Medicina, lo studio universitario e la militanza non erano in contraddizione, fino a quando nel corso di lunghi scioperi fui incarcerato. Uscito di prigione, scoprii che mi avevano fatto scomparire come studente di medicina – insieme a molti altri, mi avevano cancellato del tutto illegalmente dai registri della facoltà – e dovetti aspettare un po' di tempo, una tappa non esente dalle solite persecuzioni poliziesche. Quando alla fine riuscii a laurearmi, mi orientai verso la psichiatria, ma mi interessai anche di sociologia e psicologia. Seguivo le lezioni di Enrique Butelman, (1) lavoravo come libero professionista e all'interno dell'ospedale pubblico.
Alcuni anni dopo fui nominato docente di Psicologia sociale nella Università nazionale di La Plata e poco dopo nella Università di Buenos Aires. Nel 1966, quando Juan Carlos Onganía fece il golpe militare, la polizia entrò in tutte le facoltà picchiando studenti e professori e io abbandonai definitivamente l'università, saltando da una finestra della facoltà di Filosofia. Poiché, da molti anni, ero anche redattore di “La Protesta ”, il periodico anarchico di Buenos Aires, la situazione divenne difficile, perché non potevo lavorare né all'università né all'ospedale. D'altro canto, avevo già cominciato la mia formazione psicoanalitica, che terminai dopo essere giunto in Francia. In Argentina, i parametri della pratica psicoanalitica erano fissati dalla Asociación psicoanalítica internacional, il che significava, quattro sedute di cinquanta minuti alla settimana, e implicava la disponibilità di molto tempo e di molte risorse economiche, perché, benché fossi medico e psichiatra, disponevo di pochi mezzi per pagare un'analisi: l'università non pagava regolarmente e il lavoro quotidiano nell'ospedale, finché esistette, era a titolo gratuito.
Alla fine, la situazione generale in cui ci trovavamo, unita al panorama politico colmo di nubi tempestose, fecero sì che la mia compagna Heloísa e io decidessimo di emigrare. Arrivammo a Parigi nel 1970, con due figli di cinque e sei anni.