(da: http://smargiassi-michele.blogautore.repubblica.it)
Se qualcuno mi domandasse (non l'ha ancora fatto nessuno, allora me lo domando da me) quali fotografie spiegano meglio l'avvento delle neo-foto, le foto della condivisione universale, le fotine della disseminazione sul Web, via Facebook, Instagram o quel che vi pare, le fotografie della pizza, dei piedi, delle smorfiette, gli ultracorpi fotografici che spaventano sconcertano indignano tutti, tranne quelli che le fanno e se ne fregano, dicevo: se qualcuno mi chiedesse quali foto sceglierei per provare a coglierne il segreto, credo non avrei dubbi: le fotografie di Abu Ghraib.
Sì, le disgustose fotografie degli allegri aguzzini della prigione americana in Iraq, ricordate? Pile di prigionieri nudi sbeffeggiati da euforiche donne-marine, torture con cani e finte elettrocuzioni fotografate come souvenir, perfino un ritratto con sorriso a tutti denti e pollice alzato di fianco a un cadavere insanguinato.
Orpo! Ho dunque un'idea così spaventosa delle foto con cui i nostri figli riempiono i loro album online? No, niente affatto, al contrario. A dispetto delle smorfie degli snob che le considerano pattume estetico, le neo-foto della condivisone sono per me una sana manifestazione di vita.