Intervista di Erminio Ferrari ed Ellade Ossola (da: www.planetmountain.com)
«Vorrei essere ricordato come l’alpinista che ha fallito più di tutti sugli Ottomila». Ecco, se avete un’idea di Reinhold Messner ricalcata sull’immagine che ne hanno dato (complice lui stesso) giornali, libri e televisioni, cambiatela. Le parole che riempiono una sala spoglia di Castel Firmiano, dove ha sede il maggiore dei cinque musei fondati dall’alpinista altoatesino, sono quelle di un uomo di 65 anni, che è sì cresciuto sulle proprie certezze, ma che non ha mai esitato davanti ai fatti o agli incontri che gliele hanno fatte correggere. Ricordarlo come il primo salitore di tutte le quattordici cime di ottomila metri è davvero poca cosa. Prima che in Himalaya, la sua grandezza alpinistica aveva già fatto sensazione sulle Alpi e sulle Dolomiti; poi vennero le traversate dell’Antartide, della Groenlandia, quella in solitaria del Deserto del Gobi, il mandato di parlamentare europeo, l’avventura dei musei della montagna. Ma sono stati senza dubbio i giganti himalayani a dargli una fama che nessun alpinista aveva mai conosciuto, né forse avrà più. Cominciamo da qui, allora.
Come si portano l’onore e la responsabilità di essere la prima figura di alpinista universalmente nota?
«La notorietà non significa per forza qualità dell’alpinista. Ma è vero, sono una persona nota perché faccio attività anche al di fuori dell’alpinismo. Sono una figura che attira interesse; ma a me interessa soprattutto poter fare la mia vita, senza volere essere un leader, né compiacere i desideri di qualcuno o di un pubblico. Non voglio essere seguito».