LORENZO SARTINI
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Genitori (e alunni) violenti con gli insegnanti: perché accade e come intervenire

6/5/2018

 
di Gabriella Lanza

Con l’aiuto di due psicologi abbiamo cercato di capire perché sempre più genitori ricorrono alla violenza contro gli insegnanti per difendere le ragioni dei propri figli e come bisogna intervenire quando ad essere aggressivi sono gli alunni stessi
C'era un tempo in cui ai genitori non importava se i figli avessero ottimi motivi per essere arrabbiati con il professore di matematica o se la professoressa di italiano li rimproverasse ingiustamente. La loro risposta non cambiava: l’insegnante ha sempre ragione. Oggi, invece, l’alleanza educativa tra famiglia e scuola sembra vacillare. E le reazioni di mamma e papà davanti alla nota della maestra sono ben diverse. Il più delle volte si limitano a protestare con l’insegnante o con il preside, ma nei casi più gravi possono perfino alzare le mani contro il docente. 


È successo a gennaio in un liceo di Avola, dove i genitori di un ragazzo hanno spaccato la costola all’insegnante di educazione fisica, colpevole di aver invitato l’alunno a chiudere la finestra prima di scendere in palestra. In questo triste e vergognoso elenco, uno degli ultimi casi in ordine di tempo è l'aggressione contro un professore ipovedente di un istituto di Palermo: il padre di una ragazza l'ha colpito con un pugno in volto, causandogli una emorragia cerebrale.   
Per quali motivi si arriva alla violenza fisica contro gli insegnanti e come deve comportarsi il resto della classe in questi casi? Lo abbiamo chiesto a Lorenzo Sartini, psicologo e psicoterapeuta. 


Riconoscere il ruolo educativo dell’insegnante 

Una delle radici di questo problema è di natura "sociale". Per i docenti è sempre più difficile farsi rispettare in classe e a volte i primi a non riconoscere la loro figura professionale sono i genitori: «Una volta l’insegnante aveva un ruolo educativo definito e importante. Oggi è considerata una persona che non è riuscita a fare quello che voleva, viene pagata poco e ha un riconoscimento sociale precario. A questo si aggiunge il rifiuto dei ragazzi nell’interiorizzare l’autorità che viene sistematicamente messa in discussione, prima a casa e poi in classe».


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