LORENZO SARTINI
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Formazione, trasformazioni e campo analitico

9/1/2021

 
Foto
di Paolo Magatti


1. Incontro e il paradigma della terzietà

Ogni formatore sa quanto sia importante per il successo di un’iniziativa formativa che nel gruppo si generi un clima positivo e collaborativo. Ossia che avvenga un incontro produttivo tra il formatore, i partecipanti e l’oggetto di lavoro e di apprendimento. Incontro al quale ci si può preparare in maniera meticolosa, programmando la scaletta in modo che vi sia un filo logico, modulando attività frontali e sessioni esercitative, prestando attenzione alla fase di avvio (patto formativo e costruzione del gruppo) e a quella conclusiva (bilancio dell’esperienza).
Ci si incontra e in ogni incontro succede qualcosa che sfugge alla “presa” della progettazione: qualche partecipante ritarda, le autopresentazioni prendono più tempo del previsto, una domanda accende un conflitto, un’esercitazione prevista viene annullata e sostituita con un momento di riflessione individuale, e così via, l’elenco potrebbe continuare. Potremmo considerare questi fatti come determinati da carenze di progettazione oppure come incidenti “normali” a cui non prestare particolare attenzione. Personalmente preferisco pensarli come “sporgenze” o “pieghe” che rompono l’ordine razionale degli eventi, l’ordine del discorso, e che segnalano qualche cosa di importante per il processo di apprendimento che si sta svolgendo. Sporgenze, o pieghe, che mi inducono a porre una domanda banale nella sua essenzialità: chi si incontra in un’aula di formazione? O, volendo estendere il discorso “oltre l’aula”, chi si incontra in un setting formativo? Qui entrano in gioco i nostri modelli di riferimento, le nostre visioni filosofiche, i nostri paradigmi. Chi si incontra, quindi? Potremmo dire che si incontrano delle “menti”, ossia non delle sostanze individuali ma delle strutture di per sé relazionali e processuali. Si incontrano delle menti e si attivano diversi livelli di comunicazione, in uno spettro che copre gradualmente dimensioni consce e inconsce, emotive e razionali. Si può ipotizzare, seguendo Bleger, che oltre a questo strato interattivo agisca sempre anche un livello sincretico, di  partecipazione pre-relazionale o a-relazionale, che rimanda ad aree indiscriminate della nostra psiche (socialità sincretica).



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La nozione di emergente. Dialettica dell'uno e del molteplice.

18/7/2015

 
Immagine
di Lucia Balello e Raffaele Fischetti

“La verità profonda, per fare qualunque cosa,
per scrivere, per dipingere, sta nella semplicità.
La vita é profonda nella sua semplicità.”

Charles Bukowski

Agli inizi degli anni '50 mentre lavorava sulla malattia mentale Pichon-Rivière scopre che l'uomo non si evolve in isolamento e che per accedere alla struttura della malattia, l'individuo deve essere osservato come “individuo in situazione” dove è possibile vedere il processo dell'ammalarsi inserito nel suo contesto. Colpito dai meccanismi di isolamento e segregazione messi in atto dai familiari, Pichon-Rivière si accorge che una persona si ammala perché tutto il gruppo familiare cerca di isolare e segregare attraverso di lui, delle cose che non riesce ad elaborare.
La persona che si ammala partecipa a questo gioco gruppale assumendosi il deposito che le viene assegnato.
Il balbettio apparentemente incoerente di uno psicotico cercherebbe di rimettere in circolo quelle cose e i segreti di cui nessuno può, deve o vuole parlare.
Pichon-Rivière diceva che non è possibile risolvere con “uno” quello che è di “tutti” e che il soggetto che si ammala è l'emergente del gruppo all'interno del quale egli stesso si è costituito.



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    SPUNTI
    DI
    RIFLESSIONE



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