1. PREMESSA
L’essere animale è qualcosa che ci riguarda in modo diretto, ma non nella veste di contro-termine da cui ricavare per esclusione la nostra condizione umana né come cifra regressiva, retaggio oscuro che in ogni momento può risalire dai fondali filogenetici per mettere a rischio la nostra umanità, bensì come fondamento stesso della nostra soggettività, del nostro essere affacciati al mondo attraverso la vitalità del desiderio. L’essere animale ha a che fare con il non-equilibrio, l’apertura referenziale che rigetta qualunque autarchia ontologica, la non esplicabilità in termini di fenomeno attraverso una ricognizione seppur puntuale ed esaustiva delle causalità agenti nel qui-e-ora. L’essere animale è una continua invenzione di presente, un andare oltre l’algoritmica delle cause, un trascendere il fenomeno attraverso l’emergenza epifanica, l’invenzione singolare dell’esistere.
La condizione animale è un continuo porre a sintesi “scansioni temporali” differenti e moventi altrettanto diversi, per cui il suo porsi nel momento, la sua presenza, si realizza nel non essere mai interamente compreso nell’istantaneità della funzione. Paradossalmente l’animale può dire di esserci, cioè di avere una presenza, perché non interamente spiegabile facendo riferimento a meccanismi causali agenti nell’istante in cui lo si considera. L’essere animale è pertanto un continuo desiderare, l’azione di un’infaticabile Penelope che mette in relazione cause prossime e cause remote, moventi filogenetici e moventi ontogenetici, motivazioni inerenti e opportunità contestuali, in un flusso diacronicorelazionale dove l’animalità si manifesta in questa presenza connettiva piuttosto che nella funzione in sé. Diciamo che l’animale è soggettivo perché sfugge all’oggettività delle cause agenti nell’istantaneità.