Per la prima volta dal 2010 aumentano i giovanissimi che consumano marijuana e hashish. Droghe sempre meno leggere e sempre più pericolose. Perché vengono assunte già a 12 anni e spesso insieme ad alcol e altre sostanze. Quasi 7 milioni di fumatori complessivi, quasi 1,5 milioni fra gli under 25. Per dirla nel modo più semplice possibile, in Italia 1 adulto su 9 e 1 giovane su 5, si sono fatti almeno uno spinello nel corso del 2016. Se nel nostro Paese i numeri del consumo di cannabis - messi in fila dall’ultimo report dell’Osservatorio sulle tossicodipendenze e dal rapporto al Parlamento del Dipartimento politiche antidroga di Palazzo Chigi - mantengono proporzioni più o meno stabili, a preoccupare è un altro trend: per la prima volta dal 2010 a oggi i consumatori nella fascia compresa fra 15 e 19 anni, la più vulnerabile, sono cresciuti in maniera esponenziale passando da 547.000 a 675.000. Cioè dal 21% al 27% dei giovani della loro età.
I ragazzi sono inesperti
Il consumo di hashish e marijuana avrebbe a che fare con gli ultimi casi di cronaca in cui sono morte 2 adolescenti: una 14enne di Milano caduta da una balaustra a causa di un malore dopo aver fumato e una 16enne di Genova uccisa al termine di una serata nel corso della quale, però, alla cannabis si sarebbero aggiunte alcol e metanfetamine. «Il problema, parlando in generale, è quasi sempre questo» osserva Lorenzo Sartini, psicoterapeuta bolognese con una lunga esperienza nei Sert e nelle scuole. «L’assunzione non solo è sempre più giovane e inconsapevole, ma viene spesso associata al consumo di altre sostanze, come le droghe sintetiche e l’alcol». È ovvio però che in un Paese come il nostro, che solo lo scorso marzo ha ammesso l’uso della cannabis a scopo terapeutico e da anni dibatte sulla legalizzazione, almeno parziale, delle droghe leggere, gli effetti delle canne sugli adolescenti - dai presunti danni clinici di lungo periodo al ruolo di apripista per altre dipendenze - continuano a preoccupare i genitori.
Come stanno davvero le cose? «Sul tema c’è tanta confusione» ammette Sartini «ma a livello scientifico non è mai stata dimostrata una correlazione assoluta fra il Thc, cioè il principio attivo di hashish e marijuana, e i danni o le patologie che possono affliggere il sistema nervoso. È vero tuttavia che negli adolescenti, e soprattutto fra under 16, i fattori di rischio aumentano». Il perché lo spiega Luigi Grassi, uno dei responsabili del servizio prevenzione tossicologica delle Asl liguri: «Fino ai 16-17 anni i neuroni non raggiungono una maturazione completa e lo spinello, specie se acceso di frequente, può modificarne funzioni, struttura, empatia». In ogni caso la maggior parte degli effetti gravi - su questo la scienza è concorde - affliggono chi è già predisposto, per esempio, a comportamenti psicotici e compulsivi. Altre conseguenze sono perlopiù temporanee e indifferenziate rispetto all’età: demotivazione, apatia, mutazione dei cicli di fame e di sonno-veglia, calo dell’attenzione.
La "qualità" è spesso scadente
Attenzione, però: perché il ragionamento vale se ci riferiamo a un utilizzo non smodato di cannabis tradizionale. «Il guaio è che oggi nelle piazze di spaccio, o sul web camuffate da incensi o sali da bagno, si trovano sostanze con principi attivi dalle 20 alle 100 volte più forti rispetto alla molecola naturale del Thc» continua Grassi. Per non parlare dei casi in cui l’erba viene tagliata con altre sostanze, dall’ammoniaca agli antidolorifici passando per il litio delle batterie automobilistiche. In entrambi i casi, difficilmente il prezzo al dettaglio supera i 10 euro al grammo. Sono praticamente le stesse tariffe di 15 anni fa. «In questo modo gli spacciatori accrescono il loro margine di guadagno, ma spingono i ragazzi verso una dipendenza più difficile da gestire o, talvolta, verso la ricerca di stimoli analogamente forti, tipici delle droghe sintetiche» continua l’esperto.
Il rischio è il policonsumo
Anche quando parliamo di stupefacenti più leggeri e dagli effetti mai letali, dunque, dobbiamo tenere presente che i rischi aumentano progressivamente con l’abbassarsi dell’età. Non è un caso se nei Sert delle grandi città le richieste d’intervento coinvolgono sempre più spesso ragazzini che hanno a stento finito le medie. Anche in questo caso i dati ufficiali sono impressionanti: 4 consumatori di droga su 10 hanno fatto la loro prima esperienza con uno stupefacente al di sotto dei 15 anni e 2 su 10 fra i 13 e i 14. E non si tratta solo di spinelli: il 20% dei giovanissimi ammette di aver già provato 2 o più sostanze e fra i 19 e i 20 anni il policonsumo è diventato un’abitudine per 1 ragazzo su 3. Ma se si tratta di alcol e marijuana a volte l’uso combinato inizia a 12. Eppure quasi nessuno ammette l’uso di altri stupefacenti con genitori e medici, e questa omissione rappresenta uno dei nodi della questione. «Anche in presenza di malori gravi, molti giovanissimi si limitano a confessare di aver fumato cannabis, nascondendo il resto» conclude Sartini «e questo comportamento tende a ingigantire le responsabilità di uno stupefacente che al massimo enfatizza sintomi già esistenti e tipici dell’adolescenza. Sono quelli che dobbiamo imparare a riconoscere, e ad affrontare, dialogando con i nostri figli».
I numeri del fenomeno
21,4% è la quota di italiani che hanno provato almeno uno stupefacente. In testa cannabis, oppiacei e coca. 100 i minorenni in cura per dipendenze da stupefacenti a Genova, città dell’ultimo decesso. 7,8 i morti per droga su ogni milione di abitanti in Italia, contro una media europea di 20,1 (Fonte: Osservatorio europeo sulle dipendenze).
L'acquisto è libero solo per uso terapeutico
Sono oltre una dozzina le proposte di legge su vendita e consumo di cannabis presentate nel corso dell’ultima legislatura. La più accreditata, firmata da 218 parlamentari nel 2015 e non ancora discussa in aula, propone di legalizzare la detenzione di modiche quantità e la coltivazione in proprio per uso ricreativo, ma non dà l’ok ai negozi sul modello olandese. Oggi in Italia l’acquisto libero (all’interno di strutture mediche e a prezzi prefissati) è consentito solo a fini terapeutici e in presenza di ricetta e dichiarazione di uno specialista come il neurologo.
(da 'Donna Moderna' del 9 agosto 2017)