Riteneva che lo sport fosse la risultante di gioco e competizione e sosteneva che sportivo sia "chiunque partecipa allo stesso, non solamente con la sua abilità personale e la conoscenza tecnica che possiede dello sport che pratica, ma è l'aggiunta di altro che stabilisce, precisamente, la differenza tra gioco e sport. O sia, lo sportivo deve avere coscienza e responsabilità del ruolo che deve svolgere all'interno della squadra di cui fa parte".
Alla domanda "Chi è il giocatore?" risponde: "Credo che sia la risultante di una serie di elementi che possiamo riassumere in tre punti: 1) fattori fisici; 2) fattori tecnici; 3) fattori psichici."
Qui sotto riporto il capitolo del libro in cui Galeano fa riferimento a Enrique Pichon-Rivière.
UNA TERAPIA DI VINCOLO
Enrique Pichon-Rivière passò tutta la vita penetrando i misteri della tristezza umana e aiutando ad aprire le gabbie dell’incomunicabilità.
Nel calcio trovò un alleato efficace. Negli anni 40, Pichon-Rivière organizzò una squadra di calcio con i suoi pazienti di manicomio. I matti, imbattibili nei campi del litorale argentino, praticavano, giocando, la miglior terapia di socializzazione.
“La strategia della squadra di calcio è il mio lavoro prioritario”, diceva lo psichiatra che della squadra era anche allenatore e goleador. Mezzo secolo più tardi, noi esseri urbani, siamo più o meno tutti matti anche se quasi tutti viviamo, per ragioni di spazio, fuori dal manicomio. Sfrattati dalle automobili, stretti in un angolo dalla violenza, condannati alla mancanza di legami, siamo sempre più accatastati e sempre più soli e abbiamo sempre meno spazio e meno tempo per incontrarci.
Nel calcio, come in tutte le altre attività, sono molto più numerosi i consumatori che i creatori. Il cemento ha ricoperto i campi e gli spiazzi dove ognuno poteva organizzare una partitella di pallone in qualsiasi momento e il lavoro ha divorato il tempo per il gioco. La maggior parte della gente non gioca ma guarda gli altri giocare, dal televisore o dalla tribuna, sempre più lontana dal campo di gioco. Il calcio è diventato, come il carnevale, spettacolo per le masse. Ma come nel carnevale ci sono quelli che si lanciano a ballare per strada oltre a contemplare gli artisti che cantano e ballano, anche nel calcio non mancano gli spettatori che di tanto in tanto diventano protagonisti, per pura allegria, oltre a guardare e ammirare i giocatori professionisti. E non solo i ragazzini: in qualche modo, per quanto possano essere lontani i campi più abbordabili, gli amici del quartiere, i compagni di fabbrica, dell’ufficio o della facoltà si danno ancora da fare per divertirsi col pallone fino a quando cadono sfiniti, e allora vinti e vincitori bevono insieme, fumano, e condividono una bella scorpacciata, insomma, quei piaceri che agli sportivi professionisti sono proibiti.
A volte anche le donne partecipano e segnano i loro goal, anche se ingenerale la tradizione machista le mantiene esiliate da queste feste della comunicazione.