Roger Bastide è stato un antropologo e un sociologo che ha studiato, sul campo, alcune popolazioni brasiliane e africane; tra gli incarichi accademici ha ricoperto, prima, quello di titolare della cattedra di Etnologia sociale e religiosa alla Sorbona dal 1958 al 1968 e, poi, quello di direttore di studi all'Ecole Pratique des Hautes Etudes di Parigi.
Penso siano estremamente significativi perché si tratta di una conferenza che Bastide ha tenuto nel 1958 e, parlando di temi che sono tuttora di enorme attualità (anzi sono proprio gli stessi temi di oggi), permettono di relativizzare le posizioni che vengono assunte in rapporto alla questione dello "straniero" e suggeriscono ipotesi alternative per provare a dare un senso alla paura ed agli atteggiamenti violenti che oggi, come allora, vengono manifestati.
Lo stesso è per quanto riguarda gli Africani. Diciamo: “I Neri sono degli svogliati, degli incapaci; non sanno far andare le macchine; non riusciranno mai a far niente”, e, al contrario, quando un Nero emerge, diciamo di lui: “Beh!, occorre rimetterlo al proprio posto, cercar di fargli comprendere che non è fatto come noi…”. Questi opposti giudizi provano che il pregiudizio è estraneo alle differenze di colore: è perché siamo loro ostili che noi troviamo sempre qualcosa da ridire nei loro confronti.
Ma esiste una teoria di ordine psicologico che mi sembra avere il suo interesse: è la teoria psicanalitica di Dollard, la teoria della frustrazione-aggressione, o, ancora, del capro espiatorio. Forse voi conoscete il passo della Bibbia: quando gli Ebrei si trovavano in difficoltà per una epidemia, per una crisi economica, ecc., ritenevano che ciò derivasse dal fatto che avevano peccato contro Dio. Occorreva dunque estromettere i peccati. Ma come si praticava una tale estromissione? Si prendeva un capro e si facevano passare misticamente i peccati del popolo sull’animale; poi lo si cacciava fuori dalla città e lo si lapidava fino a quando il capro moriva. I peccati del popolo sparivano così con lui.
Ebbene, noi tutti abbiamo dei peccati; abbiamo il senso delle nostre sconfitte e dei nostri “fallimenti” nella vita; vogliamo determinate cose, ma non riusciamo a concretizzare tutto ciò che vogliamo; ci è impedito di realizzare i nostri desideri più cari, ed è questo che è chiamato frustrazione; sogniamo di essere per esempio ricchi, celebri, o molto felici… e siamo poveri, sconosciuti, scontenti. Ora, naturalmente, questa frustrazione si traduce in una volontà di aggressione: vogliamo lottare contro questi ostacoli che si oppongono a noi; ma non volgiamo confessare a noi stessi che la vera causa di questi scacchi risiede in noi, noi che siamo i fautori della nostra miseria, del nostro fallimento; allora cerchiamo fuori di noi un capro espiatorio. Tale capro espiatorio sarà l’Ebreo per la Germania nazista, sarà il Nero per l’America del Nord.
Quando la Germania venne sconfitta a seguito della guerra del 1914-1918 e piombò nella rovina, i Tedeschi cercarono un capro espiatorio. Non era affatto colpa loro, loro che erano Tedeschi, Tedeschi biondi, Tedeschi ariani, Tedeschi dagli occhi blu, se il loro paese era stato sconfitto, se la miseria aveva preso alloggio nelle loro case, e se la rivolta aveva rumoreggiato nel paese: era per colpa di altri. Si è gettato il peccato della Germania sugli Ebrei, li si è perseguitati. Altrettanto, negli Stati Uniti si è potuto notare che il numero dei linciaggi di Neri era in stretta correlazione con le crisi economiche. Se si traccia il diagramma dei linciaggi e dei cicli economici, si nota che è nei periodi di depressione maggiore che i linciaggi aumentano, mentre non ce ne sono o ce ne sono pochissimi nei periodi di prosperità. Ciò vuol dire, pure qui, che la gente caduta nella miseria cerca all’esterno un luogo ove riversare la propria collera.
Penso che sia interessante mettere insieme queste due teorie: la teoria economica che ho sviluppato poco fa, e la teoria psicanalitica della quale ho finito ora di parlare. Quest’ultima spiega il carattere di virulenza che può prendere l’odio razziale, ma non spiega perché questo odio sia diretto contro tale razza piuttosto che tal’altra. È la teoria economica a spiegare perché è la razza giudea o la razza africana l’oggetto di questo odio: si tratta di razze concorrenti capaci di invadere il mercato del lavoro, di impadronirsi dei posti di comando del paese. Contro di esse occorre lottare, di conseguenza, se si vuol mantenere l’ordinamento economico e sociale dell’Ariano o del Bianco.
In Africa del Sud la politica dell’apartheid, cioè della separazione tra Neri e Bianchi, ha esattamente le stesse basi. I Bianchi, che sono una minoranza, temono di essere sommersi dai Bantu il cui ritmo di espansione demografica è molto più incidente. E così, chiudono la propria società ai Neri, ergendo davanti ad essi una vera barriera. L’apartheid è una reazione di difesa di un gruppo razziale che si sente minacciato. A prima vista, questa teoria dell’apartheid è abbastanza seducente: si riallaccia alla teoria del razzismo nero e proclama la propria volontà di sviluppo autonomo per le due comunità, l’una a fianco dell’altra in coesistenza pacifica. Ma in realtà l’apartheid nasconde qualcos’altro: la volontà di mantenere la maggioranza africana sotto la dominazione di una minoranza bianca.
Se ne avessi il tempo mi piacerebbe studiare con voi le funzioni e gli effetti del pregiudizio. Tuttavia, possiamo lasciar da parte il problema delle funzioni senza troppi rimorsi, perché quello che vi ho detto delle origini del pregiudizio ve ne suggerisce le funzioni: si tratta di aiutare una classe a dominare un’altra, di aiutare un gruppo razziale a conservare il proprio ordinamento economico e sociale. Invece, occorre che io spenda almeno una parola sugli effetti del pregiudizio. E non avendo molto tempo, non vi ricorderò che una delle conseguenze del razzismo: l’effetto palla di neve.
Il razzismo bianco crea un razzismo nero o un razzismo asiatico. A sua volta, questo razzismo nero o asiatico contribuisce a rafforzare il razzismo bianco e capita allora come per la palla di neve che quanto più rotola, tanto più diventa grossa: è un meccanismo infernale nel quale l’odio finisce per trionfare su tutte le buone volontà e su tutti i gesti d’amore.
Al giorno d’oggi il razzismo si manifesta un po’ dappertutto ed è per questo che il problema numero uno del mondo contemporaneo è proprio, sembra, il problema dell’integrazione, il problema della coesistenza di razze diverse, unite le une alle altre in un medesimo lavoro utile all’umanità intera.
[…] Il problema è difficile perché si ha talvolta la tentazione – quando si è un uomo di buona volontà – ad andare troppo lontano, vale a dire, ad essere troppo buono, a dare così agli Africani o agli Asiatici con i quali si sta vivendo, l’impressione che nonostante tutto li si considera come degli esseri diversi, dato che si perdonano loro cose che non si perdonerebbero ai Bianchi. Occorre adottare con le persone appartenenti ad altre razze o ad altri gruppi etnici, esattamente il medesimo comportamento che si usa con gli uomini della vostra razza o del vostro gruppo etnico. Ora, tra i Francesi, per esempio, voi fate delle distinzioni. Ci sono persone pigre, persone attive, persone oneste e persone disoneste. Ebbene, occorre agire nella stessa maniera nei confronti delle persone appartenenti ad altre razze o ad altri gruppi etnici; occorre trattarle non come persone che hanno bisogno di indulgenza, ma come degli uguali, come degli adulti, vale a dire secondo i loro meriti personali, e non secondo il colore della loro pelle.
Ma la difficoltà deriva dal fatto che avendo il razzismo creato un clima sfavorevole, l’Asiatico o il Nero con il quale vi comportate nella stessa maniera con la quale vi comportereste con un Bianco, molto spesso è persuaso che voi lo disprezziate non perché sia onesto o pigro, ma perché è Nero o Asiatico. Il risentimento è tale che è difficile restare spontanei nelle relazioni interraziali. L’ho notato in Brasile, quando si facevano degli esami. Naturalmente, i candidati erano giudicati in base ai loro voti. Bene, quando un Africano non supera un esame, sostiene sempre di essere stato trattato ingiustamente: “Mi hanno dato un brutto voto perché sono Nero”. Non dico che questo non capiti mai, ma si tratta di casi veramente eccezionali, soprattutto quando sono lavori scritti perché in Brasile anche gli Africani hanno nomi portoghesi. Il razzismo è esistito, durante tutto il periodo della schiavitù, come mezzo di giustificazione della schiavitù; gli Africani ne hanno subito un tale trauma che ne conservano una specie di mania di persecuzione.
Come vedete, si è presi tra due pericoli: o si trattano senza alcuna discriminazione, su un piano di completa uguaglianza, le persone che non appartengono alla vostra razza, e allora si rischia di offenderli a causa della dolorosa eredità del passato; oppure si trattano con un senso di amicizia più grande, e allora si dà loro una impressione di paternalismo, facendo nascere in loro un complesso di inferiorità e da qui un certo rancore; e si ritorna nell’infernale circolo vizioso.
C’è una soluzione? Non penso che ci siano rimedi preparati in antecedenza, la cui efficacia sia in qualche maniera meccanica. Penso che la soluzione si possa trovare cercando di conoscersi; e per ottenere questo occorre restare a lungo nello stesso posto, nello stesso paese. Una grande amicizia mi ha legato ai Neri brasiliani e quando sono arrivato in Francia e mi vennero affidati degli studenti africani, ho creduto che la stessa amicizia avrebbe subito potuto regnare tra di noi, nonostante le differenze di età. Sono rimasto profondamente deluso, ve lo confesso, quando ho constatato di non essere accolto proprio come l’avrei pensato. Sono un grandissimo ammiratore delle culture tradizionali africane, ma la apologia che ne ho fatto agli studenti africani mi è valsa questa critica: “Voi siete un colonialista; voi volete non che noi progrediamo, ma, al contrario, che noi restiamo sempre ad uno stadio inferiore”. Le nostre relazioni erano dunque state, in partenza, fondate su una ambiguità e su un equivoco, ma ciò non è durato, e la situazione è migliorata quando ci siamo conosciuti meglio reciprocamente.
Davvero, è sempre possibile far nascere l’amicizia tra persone di razze diverse, a condizione di trattarsi vicendevolmente da uomini, vale a dire esseri che hanno la stessa anima, la stessa intelligenza, lo stesso cuore.
L’avvenire delle relazioni razziali dipende dalla maniera con cui noi agiremo domani. Esso è nelle nostre mani. Ne siamo tutti responsabili."