Riassunto
L’autore fa un’introduzione del documento “Dalla Psicoanalisi alla Psicologia Sociale” elaborato da Pichon-Rivière e Anna P. Quiroga per collocare la propria posizione nell’ambito di un’accesa polemica esistente nella Prima Scuola Privata di Psicologia Sociale di Buenos Aires e nella Scuola di Psicologia Sociale di Tucuman. Nell’ambito di una agitata situazione sociale che si esprimeva anche nel campo scientifico in termini di dibattito e disputa, gli autori scrivono questo testo (1972). Il passaggio da un campo disciplinare all’altro ha coinvolto profondamente la struttura delle discipline stesse, provocando trasformazioni che Pichon-Rivière chiama con l’espressione “una nuova problematica per”, dove in qualche modo si abbandona il dispositivo psicoanalitico e si costruisce una nuova o “altra” Psicologia Sociale che pensa con la Psicoanalisi, con il metodo psicoanalitico. Vengono introdotte una serie di nozioni per creare un campo con nuove premesse del problema della vita psichica. Tra di esse si esaminano le nozioni di contesto, necessità, comportamento, vincolo, teoria degli ambiti, aree di espressione fenomenica, critica della vita quotidiana.
Parole chiave: Psicologia Sociale; Vincolo; Vita Quotidiana.
1. Premessa
Rivisitare testi degli anni settanta si impone come una necessità in questa fase della ricerca nel campo psicologico e psicopatologico che presenta molte stanchezze, ripetizioni o tentativi che appaiono velleitari. Alcuni studi poi che si presentano come delle novità non sono altro che una ripresa di lavori e nozioni già presenti in un contesto e a un livello di sperimentazione più collaudati.
Un mio desiderio è recuperare di quegli anni la posizione di coinvolgimento e di responsabilità sociale dell’intellettuale e la motivazione a inventare forme nuove di intervento nel campo della salute. Ripensare, in questo caso, è incontrare la storia nel presente ed è anche la possibilità di porre in questione i limiti del momento attuale per immaginarne un altro possibile.
Il lavoro che viene qui introdotto “Dalla Psicoanalisi alla Psicologia Sociale” è un documento elaborato da Pichon-Rivière (1) e Anna P. Quiroga per collocare la propria posizione nell’ambito di un’accesa polemica esistente nella Prima Scuola Privata di Psicologia Sociale di Buenos Aires e nella Scuola di Psicologia Sociale di Tucuman. Nell’ambito di una agitata situazione sociale che si esprimeva anche nel campo scientifico in termini di dibattito e disputa, gli autori scrivono questo testo (1972).
2. Transiti
Il passaggio dalla Psicologia Sociale alla Psicoanalisi è un percorso che alcuni ricercatori hanno vissuto ma più che comportare una trasformazione delle due discipline ha portato a una trasformazione interna del viaggiatore. L’esperienza dell’analisi ha aiutato nel nostro contesto alcuni specialisti di Psicologia Sociale a interiorizzare le teorie e tecniche del dispositivo psicoanalitico, ma ha in qualche modo lasciato inalterato l’impalcatura della disciplina “Psicologia Sociale”, aggiungendovi nuovi capitoli dove sono descritte teorie ed esperienze di alcune correnti psicoanalitiche in riferimento al gruppo e all’istituzione (2).
Il passaggio operato da Pichon-Rivière dalla Psicoanalisi alla Psicologia Sociale ha prodotto non solo grandi movimenti interni come lui stesso testimonia (3) nella prefazione al “Processo Gruppale”, ma ha coinvolto profondamente la struttura delle discipline stesse, provocando trasformazioni che chiama con l’espressione “una nuova problematica per” (4), dove in qualche modo si abbandona il dispositivo psicoanalitico e si costruisce una nuova o “altra” Psicologia Sociale che pensa con la Psicoanalisi, con il metodo psicoanalitico.
Una nuova problematica per la Psicologia Sociale vuol dire creare un campo con nuove premesse del problema della vita psichica. Tra le premesse che definiscono il campo della problematica della Psicologia Sociale, quello che opera come insieme di condizioni di produzione e sviluppo del soggetto è il contesto, il mondo umano, la costruzione storico-sociale e, più specificamente, ogni formazione concreta, nella misura in cui è anche l’insieme di condizioni di produzione e sviluppo della necessità.
Pichon-Rivière utilizza la nozione di necessità e non quella di istinto della Psicoanalisi (5), come si leggerà nel documento. Necessità, come registro di movimenti interni di destrutturazione e ristrutturazione in relazione all'ambiente che emerge nell'intergioco soggetto-contesto. La caratteristica della necessità è quella di trasformarsi nell'atto di soddisfarsi. La dialettica necessità-soddisfacimento costituisce la motivazione, il fondamento d’ogni comportamento.
Sappiamo che inizialmente in Psicoanalisi il termine comportamento è stato usato in correlazione con azione, come un suo sinonimo. D. Lagache (6) (1949) afferma per primo che è l'insieme formato dall'intreccio d’azioni mentali, verbali e motorie. Alcuni comportamenti sono alloplastici, modificano cioè l'ambiente materialmente o simbolicamente, altri autoplastici, modificano direttamente il soggetto nella mente o nel corpo. Le espressioni verbali del paziente non sono considerate soltanto sulla base del loro contenuto astratto, del loro valore apparente, ma anche come una parte del comportamento concreto, un modo di trattare la situazione psicoanalitica. Nello stesso periodo lo strutturalismo genetico lo descrive come “un tentativo di risposta coerente e significativa”.
Per Pichon-Rivière comportamento è l'insieme delle operazioni materiali e simboliche attraverso le quali un soggetto in situazione tende a risolvere le proprie contraddizioni interne tra necessità e soddisfacimento, in relazione costante di modifica reciproca con il contesto. Il comportamento ha una finalità che si relaziona con la tendenza del campo all’equilibrio, a mantenere costanti le condizioni interne; la finalità non è di eliminare la tensione, ma di mantenerla ad un livello ottimale d’ansia. E’ sempre legato ad un oggetto (relazione oggettuale) e possiede un senso anche per quanto riguarda le manifestazioni che sfuggono al controllo volontario o cosciente.
Pichon-Rivière parla di comportamento normale o patologico a seconda che si tratti di un adattamento attivo o passivo alla realtà. E' sempre, approfondisce, un vincolo (7) con altri, una relazione interpersonale. Ogni azione nel mondo esterno è ovviamente una relazione del soggetto con un oggetto (animato o inanimato); ma anche ogni comportamento nell'area della mente o del corpo è sempre riferita ad un oggetto che, in questo caso, è virtuale (oggetto interno), ma non per questo meno reale dal punto di vista psicologico (8). Il vincolo virtuale e l'oggetto virtuale d’ogni vincolo concreto è ciò che Freud ha chiamato contenuti inconsci. Tutti i comportamenti sono sempre un vincolo, una Gestalt, costituita dall’oggetto, il soggetto o parte del soggetto (l’Io) e un determinato modello o qualità della relazione (la struttura) e questi elementi non sono mai separabili. Il nostro comportamento con oggetti presenti è influenzato dalle esperienze precedenti che abbiamo avuto con altri oggetti e il comportamento risulta più adeguato se si sovrappongono l'oggetto concreto e quello virtuale. Risulta invece discordante se i due oggetti differiscono. Questa è la base del comportamento delirante. La relazione con l'oggetto reale presente modifica e rettifica le esperienze precedenti in modo che il comportamento risulti adeguato all'oggetto, ma può succedere che le caratteristiche reali dell'oggetto presente non riescano a rettificare il comportamento che si attiva soprattutto in relazione con l'oggetto virtuale (oggetto interno). Il comportamento non è una qualità che emerge dall’interno e che poi si manifesta fuori, non bisogna cercare in un dentro quello che si manifesta fuori. Le qualità dell'uomo derivano sempre dall'insieme delle relazioni totali e reali.
La motivazione di un comportamento è sempre in funzione di un insieme di fattori presenti. Un certo comportamento non si spiega ricorrendo all’istinto. Il fatto, per esempio, che ci sia una situazione biologica che renda possibile l’aggressione, ciò non spiega perché un soggetto è aggressivo proprio in un certo momento.
Sarebbe interessante confrontare a questo punto il percorso compiuto da Foulkes, l’altro grande psicoanalista che ha operato il passaggio dalla Psicoanalisi alla Gruppoanalisi.
Foulkes non mette in discussione la teoria degli istinti che, come abbiamo visto, si presenta per Pichon-Rivière come un vero ostacolo epistemologico al dispiegamento di un nuovo modello di Psicologia Sociale (9). Bisogna d’altro canto ricordare che sin dagli anni ’40 all’interno del paradigma psicoanalitico la teoria degli istinti era stata molto criticata, provocando soprattutto negli Stati Uniti l’allontanamento di autori come E. Fromm, K. Horney, C. Thompson, H. S. Sullivan, A. Kardiner (10). La critica di Foulkes al punto di vista psicoanalitico si dirige al fatto che essa ci fa vedere solo gli aspetti individuali che sono spesso la parte meno importante della storia clinica del paziente. La psicopatologia deve adottare un punto di vista sociale come avviene per i gruppi terapeutici. Ma cosa intende per sociale Foulkes (11): “Noi non condividiamo la giustapposizione psicoanalitica di una realtà psicologica “interna” ed una realtà “esterna”, fisica o sociale che per la psicoanalisi ha grande significato. Ciò che all’interno è all’esterno, il “sociale” non è esterno ma pure profondamente all’interno e penetra l’essere più interno della personalità individuale. La realtà “obiettiva” esterna è inseparabile dall’essere, animale o umano ed invero dall’individuo di cui essa è il mondo, ed è perciò parte pure della realtà psicologica”. Le due discipline non sono incompatibili, ma complementari. “Quale sia la preferita dipende dalle circostanze o dallo scopo dell’osservazione e dell’indicazione per l’azione richiesta. Personalmente io credo che l’ipotesi multipersonale della mente sia più vicina alla vera natura degli eventi”. Questa è certamente una delle idee più entusiasmanti di Foulkes dove si sostiene che non può esistere un individuo separato dal sociale e al di fuori di esso. L’uomo, dice Pichon-Rivière, è sempre un soggetto “in situazione”.
3. Genius loci (12)
Per avere una migliore comprensione del testo credo sia importante allargare lo sguardo alla localizzazione dello stesso nel contesto dell’Argentina all’inizio degli anni settanta. Queste note possono apparire come una biografia di idee, ma una biografia non è una storia unitaria. Si sa che non si scrive mai da soli. Quando si scrive si inscrivono al singolare relazioni plurali. E’ possibile che in alcuni possano produrre nostalgia e in altri estraneità rispetto a riferimenti sconosciuti.
Il 1972 è un anno cruciale per la storia dell’Argentina (13). Un forte movimento di protesta che comprendeva operai, disoccupati, studenti, intellettuali e molte associazioni professionali, i lavoratori della salute mentale in testa, aveva da qualche anno messo a dura prova i governi militari. Esisteva inoltre un forte gruppo di guerriglieri che, proprio in questo anno, con lo sterminio di quasi un centinaia di detenuti politici a Trellew da parte di reparti della Marina che aveva scosso l’opinione pubblica, aveva radicalizzato la lotta contro la dittatura militare e prodotto un aumento della combattività del popolo argentino. La situazione politica era un proliferare di scioperi, assemblee politiche e manifestazioni di piazza.
Con questo sfondo socio-politico, l’associazione degli psichiatri (F.A.P.), quella degli psicologi e in genere tutti i lavoratori della salute della salute mentale. Si studia Politzer, Wallon, Marcuse, Laing e Cooper, Estherson, Serque, W. Reich e i culturalisti americani 3) le connotazioni ideologiche delle teorie e delle pratiche specifiche.
Si introduce in Argentina il pensiero di Althusser e lo strutturalismo.
Un discorso a parte merita l’introduzione in Buenos Aires dell’althusserianismo. La necessità di studiare in quegli anni il materialismo storico e dialettico era molto forte e Raul Sciarreta si impone con la teoria marxista di Althusser, che si presentava sia come una critica dell’ideologia che come una teoria epistemologica.
Attraverso questo modello Sciarreta salva solamente la Psicoanalisi classica individuale e condanna come ideologiche e antiscientifiche, la psicoterapia di gruppo, familiare, di coppia, istituzionale, gli interventi comunitari. Gli autori da studiare attentamente sono Marx, Freud e Althusser. Occorre innanzitutto uno studio e una teoria immacolata del marxismo, quella di Althusser. Le pratiche psicoterapeutiche e sociali sono messe da parte. Questo clima porterà ben presto, in concomitanza con una nuova fase di dittatura militare, all’introduzione della visione lacaniana e al distacco da tutte le pratiche che includono il sociale per una buona parte di professionisti della salute mentale. Tutti questi dibattiti attraversano la Prima Scuola di Psicologia Sociale.
Il riferimento esplicito che Pichon-Rivière fa all’inizio del lavoro del marxismo (“segnaliamo come punto di partenza la psicoanalisi e il materialismo storico e dialettico”), da una parte risulta una novità perché non aveva fatto fino a quel momento citazioni così esplicite e dall’altra è la possibilità di inserire un’altra prospettiva di marxismo rispetto all’egemonia che andava assumendo lo studio di Althusser nel contesto psicoanalitico e psichiatrico. Il marxismo per Pichon-Rivière che non è mai stato comunista, ma che si considerava un socialista sui generis, non è altro che la possibilità di utilizzare il metodo dialettico, una posizione molto vicina a quella di Piaget.
Non si tratta per Pichon-Rivière di trarre la dialettica dal di fuori, in riferimento ad altri campi di conoscenza. Il fatto è che la dialettica è nei fatti clinici e sono i fatti clinici che ne esigono la conseguente introduzione nella teoria per rendere più chiara la stessa esperienza. “Da un punto di vista globale definiamo il comportamento come struttura, come sistema dialettico e significativo in permanente interazione, cercando di risolvere da questa prospettiva le antinomie mente-corpo, individuo-società organismo-ambiente (Lagache)” (14). L’inclusione della dialettica ci porta ad ampliare la definizione di comportamento, intendendolo non solo come struttura, ma come strutturante, come unità molteplice o sistema di interazione e si introduce come concetto dell’interazione dialettica la nozione di modifica reciproca, l’interrelazione intrasistemica (il mondo interno del soggetto) e intersistemica (relazione del mondo interno del soggetto con il mondo esterno). Il riferimento è al filosofo francese Lucien Goldmann che in “Genesi e struttura” aveva dato un interpretazione più dinamica dello strutturalismo e allo strutturalismo genetico di Jean Piaget con cui condivide la rappresentazione della realtà come una spirale dialettica.
4. Ostacoli epistemologici
Con il documento del 1972 si ripropone una questione epistemologica che Pichon-Rivière aveva posto per la prima volta quando aveva fondata la Prima Scuola di Psicologia Sociale. Una teoria e tecnica di gruppo necessitano di essere inserite all’interno di una Psicologia Sociale che ne delimiti i confini e nello steso tempo rivitalizzi gli oggetti della stessa disciplina, in quanto il gruppo è una struttura in sè, un oggetto di conoscenza attraverso il quale ripensare la Psicologia Sociale stessa.
Questa posizione finisce con il porsi in maniera critica rispetto a quegli psicoanalisti che nell’utilizzo del dispositivo gruppale pensano che in fondo si tratta di cambiare di territorio, passando al gruppo
con i modelli della Psicoanalisi e di ritornare alla propria istituzione con la spiegazione che non hanno mai smesso d’essere psicoanalisti.
Si tratta, si giustificano, di Psicoanalisi Applicata.
Tra gli altri teorici sul gruppo soltanto Kurt Lewin, al di fuori dell’istituzione psicoanalitica, si era posto questo problema. Bion finisce con il disperdere il gruppo all’interno dello studio del paziente psicotico o di certe successive analisi sulle istituzioni; Foulkes sa che i comportamenti di gruppo non si possono leggere con la Psicoanalisi e che la concettualizzazione sui gruppi deve derivare dallo specifico studio dei gruppi stessi. Cerca nelle ipotesi del sociologo Norbert Elias i necessari puntelli per una base teorica dei gruppi. Lo stesso Malcolm Pines riconosce insieme a Dalal che Foulkes fallisce l’obiettivo di creare una teoria della persona basata sul sociale che si distingua dalla Psicoanalisi. Più recentemente Käes ripropone l’impossibilità di pensare la gruppalità al di fuori della teoria psicoanalitica (18).
Un tema importante sul gruppo è la relazione tra lo spazio gruppale e il contesto istituzionale e/o sociale. Se il contesto era pensato come produttore di un effetto di influenza sui movimenti del gruppo, Pichon-Rivière è portato a ipotizzare che il contesto è il testo stesso del gruppo, nel senso che non c’è una realtà esterna che produca maggiori o minori effetti di influenza sugli avvenimenti gruppali, ma tale realtà è parte del testo gruppale nelle sue diverse modalità e per questo fondante di ogni gruppo. Si organizzano costantemente attraversamenti tra le produzioni simbolico-immaginarie gruppali e l’immaginario istituzionale e sociale. Si tratta di decostruire il dentro e il fuori gruppale in quanto entità ipostatizzate e pensate come coppie di opposti.
5. L’uomo in situazione
“Il contrasto che più sorprende lo psicoanalista nell’esercizio del suo compito, consiste nello scoprire con ogni paziente che non ci troviamo di fronte a un uomo isolato, ma a un messaggero; nel comprendere che l’individuo come tale non è solo l’attore principale di un dramma che si chiarisce attraverso l’analisi, ma anche il portavoce di una situazione rappresentata dai membri del gruppo sociale (la sua famiglia), con i quali è implicato da sempre e che ha interiorizzato nel suo mondo interno a partire dai primi istanti della sua vita” (19). Questa affermazione di Pichon-Rivière assomiglia in modo impressionante, anche nel tono a una fatta da Foulkes nel 1974 (20): “Si può osservare che quando pazienti sottoposti a trattamento cominciano a cambiare seriamente, come regola, essi si troveranno nei guai con altre persone della loro rete. L’intero equilibrio e la psicopatologia della rete era basata sul fatto che i nostri pazienti fossero proprio come essi sono, e perciò l’equilibrio proprio degli altri è ora minacciato”.
Pichon-Rivière lamenta che le scienze “dello spirito” hanno negato “l’uomo totale”, frammentandolo nella sua struttura e distruggendone l’identità. Ne è derivata una psicologia dissociante e spersonalizzata per la quale la mente si frantumava in compartimenti stagni.
Come risultato di questa divisione è sfuggito allo psicologo il problema dell’azione; si lavora con l’immagine del soggetto statico e isolato dal proprio contesto sociale. Sono rimasti così al margine dell’analisi i suoi vincoli con l’ambiente nel quale necessariamente vive immerso.
Ricercatori con maggiore coraggio hanno osato rompere con questo paradigma e, prendendo come punto di partenza situazioni concrete (21) e rappresentazioni del quotidiano, hanno collocato l’evento psicologico nella dimensione sociale. Pichon-Rivière fa riferimento al pensiero di Herbert Mead (22), che ha concepito l’uomo come un soggetto dinamizzato dalle immagini della realtà esterna; immagini che, una volta introiettate e agite all’interno, assumono una forma personale e si trasformano nel segno dell’identità. La vecchia contrapposizione tra individuo e società si risolve dunque nel nuovo campo della Psicologia Sociale, dove esiste soltanto “l’uomo in situazione”. Ma nella pratica tale sintesi teorica si trova di fronte a elementi apparentemente antagonisti, come possono essere il determinismo sociale, da un lato, e la libertà individuale, dall’altro, come in quegli anni discuteva J. P. Sartre.
Il determinismo genera un pericolo: l’alienazione; la libertà lotta invece con un timore: la paura della libertà. La Psicologia Sociale si sforza di salvare questo conflitto che lacera il soggetto interiormente, nel tentativo di integrare la propria individualità con il mondo sociale al quale appartiene e che lo abita.
Diventa centrale l’utilizzo de dispositivi gruppali nei contesti istituzionali, nella Psicologia di Comunità e nelle pratiche di prevenzione per aprire condizioni di possibilità.
6. Vita quotidiana
Pichon-Rivière ha sempre pensato che se si vuole lavorare ai limiti della Psicoanalisi e sulle relazioni con le altre discipline, questa frangia di terreno questo campo difficile di frontiera corrisponde alla
Psicologia Sociale. Entriamo così in una zona di interrogativi, in un luogo dove niente è sicuro, ma in una posizione di problematizzazione, dove si tratta di provare come è possibile riflettere sull’intersoggettività. Per questo scopo la Psicologia Sociale utilizza la teoria degli ambiti e la nozione di vincolo.
Per ambito s’intende, per Pichon-Rivière e Bleger, l'ampiezza o l'estensione della totalità degli elementi che interagiscono in un tempo dato (campo).
Si possono riconoscere quattro tipi d’ambiti:
- ambito psicosociale: è quello che include un solo individuo, che è studiato autonomamente. Ma è lo studio di un individuo attraverso tutti i vincoli o relazioni interpersonali.
- ambito sociodinamico: qui lo studio si centra sul gruppo, preso come unità e non sopra ciascuno degli individui che lo formano, come nel caso precedente.
- ambito istituzionale: la relazione dei gruppi tra loro e le istituzioni che li reggono costituiscono l'asse dell'indagine.
- ambito comunitario: è lo studio della comunità, del territorio nel suo insieme.
I quattro ambiti non sono escludenti, al contrario uno studio completo dovrebbe comprenderli tutti, nella loro unità e nell'intergioco e perlomeno non bisogna prendere uno di essi come totalità o confondere o sovrapporre indiscriminatamente i fenomeni che hanno luogo in uno o nell'altro. I fenomeni sociali e psicologici esistono nello stesso tempo nei quattro ambiti e costituisce un errore supporre che il fenomeno sociale esista esclusivamente nei raggruppamenti umani e non nell'individuo o nella personalità, così com’è un errore supporre che la psicologia esista solo come psicologia dell'individuo o della personalità.
Il vincolo è una struttura complessa che include almeno due soggetti, la loro reciproca interrelazione, sia a livello di oggetti esterni sia a livello di oggetti interni, le loro funzioni e le loro fantasie. Questa configurazione crea uno spazio emotivo e mentale che ha una specifica rappresentazione inconscia.
In questo modo vediamo come il vincolo forma una struttura perfettamente visibile e controllabile, e investigabile con i metodi della Psicologia Sociale.
Non esistono unicamente relazioni interpersonali (23) giacché il vincolo a due si stabilisce sempre in funzioni di altri vincoli storicamente condizionati nel soggetto e che, accumulati in lui, costituiscono ciò che chiamiamo l’inconscio. L’inconscio è costituito anche da una serie di modelli di comportamento accumulati in relazione con vincoli e ruoli che il soggetto stabilisce di fronte a determinati soggetti. Allora, quando deposita su un altro soggetto mediante il meccanismo di spostamento o di proiezione un determinato oggetto interno, stabilisce con lui un vincolo fittizio, come lo è per esempio il vincolo di transfert, dove l’analista ha le caratteristiche di una figura precedente e risulta operativo nel trattamento proprio per questo, perché attraverso il transfert si può rivivere il vincolo primitivo che il paziente ha con le figure primarie, dei primi anni di vita. In questo modo si può modificare la natura di queste immagini e fare l’apprendimento della realtà.
Se è vero che le condizioni concrete d’esistenza determinano in qualche modo la soggettività, la Psicologia Sociale deve intendersi come fondamentalmente critica della vita quotidiana. La critica della vita quotidiana si compie attraverso la critica dei vincoli perché il vincolo è l'ambito nel quale si attualizzano le risposte socialmente modellate per le necessità del soggetto. La rappresentazione della vita quotidiana si muove nel campo di una familiarità acritica. La familiarità, la pseudo-conoscenza vela i fatti della vita quotidiana, li sottrae alla problematizzazione. Per questo la realtà sociale si mostra e si occulta nella vita quotidiana. Con il grande interesse per la vita quotidiana Pichon-Rivière si inserisce nel filone di autori che vanno da M. Heidegger a H. Lefebvre, da Roland Barthes a G. P. Sartre, da G. Bachelard a K. Kosik (24).
7. Transfert-controtransfert
Il lavoro del ricercatore sociale consiste nell’indagare le difficoltà che ogni soggetto incontra in un determinato gruppo, come può essere la famiglia, l’azienda dove lavora, la comunità di appartenenza. Questo dà luogo a diversi livelli di indagine: gli ambiti.
Il campo di intervento dello psicologo sociale diventa quello delle paure legate a queste difficoltà; il suo compito è chiarirne l’origine e il carattere irrazionale. Le paure in ultima analisi possono essere ricondotte a due: la paura della perdita e la paura dell’attacco.
Entrambe si alimentano in un contesto il cui comune denominatore è l’insicurezza di base legata alle ansie di fronte al cambiamento, insieme all’incertezza che ruota intorno ai mezzi di sussistenza e che costituisce il legame obbligato dalla moderna organizzazione sociale.
In particolare, l’incertezza si riferiva in quel momento storico in Argentina alle limitate opportunità di occupazione, alle scarse entrate, al licenziamento, alla malattia, alla vecchiaia. Quest’ansia, quando è vissuta in forma gruppale, acquisisce le caratteristiche di paura della morte e di disgregazione familiare. Lo psicologo sociale cerca di conseguire il ripristino dei meccanismi di sicurezza che si manifestano come situazioni di un incontro al sicuro, con protezioni di fronte al caso. Nel clima di insicurezza lo psicologo sociale risentirà degli impatti provenienti anche in forma di incertezza, legati da un lato alla propria storia personale e, dall’altro, alla sfiducia o atteggiamento ambivalente del cliente che lo considera con eccessiva onnipotenza nella risoluzione dei problemi, e contemporaneamente, mantiene una costante sfiducia di fronte ai risultati che interpreterà come mero prodotto del caso. Lo psicologo sociale si trova a vincere le forti resistenze provenienti da se stesso, e dagli altri, ma potrà superare questa cornice di ansia e sfiducia con una buona strumentazione.
Essere psicologo sociale vuol dire occupare un posto che deve essere appreso, perché non si nasce con questa possibilità. Solo quando può risolvere le proprie ansie e i propri disturbi nella comunicazione con gli altri, può raggiungere una corretta interpretazione dei conflitti altrui. Nella misura in cui il soggetto dispone di un buono strumento di lavoro, risolve incertezze e insicurezze.
Lo voglia o no, il ricercatore sociale si trova compromesso nel proprio lavoro dal momento che utilizza per comprendere l’altro la propria persona. Attraverso l’identificazione proiettiva riesce a introdursi nell’altro e per risonanza o analogia si produce “empatia”.
In seguito appare la comprensione “simpatica”, cioè collocarsi nel posto dell’altro per vedere che cosa gli sta succedendo. Tutto ciò comporta molteplici ansie: collocarsi al posto dell’altro significa mettersi in una situazione di incertezza, perché non si sa che cosa si va ad incontrare nell’altro, che cosa succederà nel momento in cui si assumere il ruolo dell’altro. La distanza ottimale è difficile da raggiungere. O è eccessiva (atteggiamento fobico) o si sta troppo vicino (confusione).
“DALLA PSICOANALISI ALLA PSICOLOGIA SOCIALE”
di Enrique Pichon-Rivière e Ana Pempliega De Quiroga
(Traduzione di Lucia Papaleo. Tratto da Area 3, n. 9, 2003)
Quando esplicitiamo i fondamenti sui quali poggiano i nostri postulati di una teoria della vita psichica, segnaliamo come punto di partenza la psicoanalisi e il materialismo storico e dialettico. Senza dubbio, l’esplicitazione non può fermarsi lì. Risulta imprescindibile rendere manifesti i modi di articolazione tra le due fonti, soprattutto quando pensiamo che ciò che conferisce specificità e validità all’impostazione non è la giustapposizione di teorie o la ricerca di un parallelismo formale a livello dei modelli, ma la possibilità di stabilire un taglio perpendicolare, un intervento critico sulle premesse del discorso psicoanalitico che permetta una nuova valorizzazione dei suoi apporti.
Il luogo teorico dal quale proponiamo una revisione dello schema concettuale della psicoanalisi e tentiamo di dare un fondamento alla psicologia sociale, è quello della dialettica materialista, il che indica la scelta di un metodo dialettico.
La scelta di questo luogo teorico implica, rispetto alla psicoanalisi, un cambiamento di problematica, l’apertura di una nuova problematica, cioè l’impostazione, a partire da nuove premesse, del problema dei processi psichici. La psicologia sociale, che postuliamo come teoria della vita psichica, costituisce rispetto alla psicoanalisi uno spazio teorico differente, un’ottica diversa, una modifica delle premesse.
Psicoanalisi e Psicologia Sociale non rappresenteranno dunque possibilità della stessa teoria, ma apparati concettuali separati da divergenze fondamentali, anche quando l’una apporta propri elementi all’altra.
Parlare in questo caso di una problematica implica la necessità di esplicitare tanto le premesse su cui si fonda la produzione psicoanalitica, e a cui si rivolge la nostra critica, quanto quelle che configurano lo spazio teorico della psicologia sociale.
Il punto di rottura tra psicoanalisi e psicologia sociale passa attraverso la teoria degli istinti e la concezione dell’uomo e della storia implicita in essa. La nostra critica si dirige contro una delle premesse di base dalle quali partono gli sviluppi psicoanalitici, premessa che definisce il campo teorico della psicoanalisi. Ci riferiamo al presupposto su cui la vita psichica si sostiene o è la risultante dell’azione di forze istintive innate che si caratterizzano come: “forze endosomatiche che hanno un rappresentante psichico, carica energetica, fattore di motricità che fa tendere un organismo verso un fine”. L’istinto che appare come una forza costante ha la sua fonte nell’eccitazione corporea -il suo fine è quello di sopprimere lo stato di tensione della fonte pulsionale- e un oggetto per il quale l’istinto raggiunge la sua finalità (scarica).
La premessa istintivista apre la problematica della psicoanalisi.
A partire da questa ottica si articolano in un campo comune i problemi della vita psichica.
L’escluso, l’occultato dalla problematica definita a partire dal riconoscimento dell’istinto come fondamento della vita psichica, è la funzione del contesto storico-sociale come determinante del processo stesso. Intendiamo il contesto storico-sociale come determinante della vita psichica nella misura in cui esso è la condizione specifica nella quale si può manifestare come fenomeno. Il contesto storico-sociale fissa come determinante i limiti nei quali si compie il processo di emersione e sviluppo della vita psichica.
Dalle premesse che definiscono il campo della problematica della psicologia sociale, quello che opera come insieme di condizioni di produzione e sviluppo del soggetto è il mondo umano, la costruzione storico-sociale e, più specificamente, ogni formazione concreta, nella misura in cui è anche l’insieme di condizioni di produzione e sviluppo della necessità.
Il concetto di necessità sostituisce in questa ottica la nozione di istinto. Si caratterizza come l’espressione di un grado di carenza che deve essere risolto in un processo di interazione. Molti tratti che la teoria psicoanalitica attribuisce all’istinto: “forze endosomatiche, fattori di motricità...ecc.”, caratterizzano la necessità, ma la nostra visione la sposta dall’ambito di una teoria economica.
La necessità, che coinvolge il soggetto come totalità, appare come la condizione interna dello sviluppo della vita psichica, condizione interna della dialettica, della contraddizione non polarizzata tra soggetto e natura, tra soggetto e mondo esterno. In questo processo dialettico, in questa contraddizione, il soggetto è prodotto.
La produzione del soggetto è storico-sociale. La formazione sociale non opera come causa della necessità (causa nel senso meccanicistico: causa-effetto), ma come condizione delle sue possibilità e sviluppo. È la legge e ciò che codifica la necessità, la orienta nella ricerca di soddisfacimento, offrendole le mete socialmente disponibili.
La esprime e la manipola.
La necessità non è semplice effetto della struttura, ma come condizione interna della produzione del soggetto, emerge, si sviluppa e trasforma in relazione con le condizioni esterne che operano attraverso di essa. (Produzione sociale del soggetto. Socializzazione).
L’idea di un “soggetto in relazione”, inclusa nella problematica psicoanalitica, implica invece:
a) che il soggetto si costituisca come tale autonomamente dalle relazioni esterne (a questo si lega l’ipotesi idealista del principio di piacere come legittimità del pensiero non sostenuta dall’esperienza, non determinata dal mondo reale);
b) una successiva relazione con la realtà esterna che opererà successivamente nel soggetto, rappresentando un principio di realtà e un’internalizzazione del mondo sociale in una istanza psichica: il Super-io;
c) de-gerarchizzazione della relazione soggetto-oggetto, soggetto-mondo esterno, che centra l’analisi su uno dei termini della relazione (soggetto), ciò implica l’affermazione della possibilità di una vita mentale autonoma, che non abbia nell’esperienza la sua base materiale.
Questo dà luogo a ipotesi riguardo al soddisfacimento allucinatorio dei desideri fondato sul principio di piacere, o di fantasie inconsce che sono l’espressione di un mondo narcisista autistico, non solo “senza oggettività ma anche senza oggetto” (Joan Rivière).
Il presupposto ideologico implicito nella problematica psicoanalitica è l’illusione metafisica della “natura umana”, essenza immodificabile. La pericolosità dell’ipotesi risiede nel suo carattere che occulta la determinazione da parte della struttura socio-economica di fatti come la guerra, la violenza, la dominazione, la proprietà privata, l’autoritarismo, ecc.
La teoria psicoanalitica, nel riconoscere, nonostante le esitazioni di Freud, che non può prescindere dalla nozione di istinto per fondare le sue ipotesi, si rinchiude in una problematica avanzata da altre teorie istintiviste, secondo le quali, le relazioni tra gli uomini si stabiliscono, in ultima istanza, sul gioco di forze istintive innate. La conseguenza, più o meno esplicita, è che di fronte alla scarsa variabilità dei modelli biologici presi come determinanti, si ipotizza l’immodificabilità delle relazioni sociali.
Vediamo qui in gioco la funzione di occultamento del presupposto ideologico incluso nell’istintivismo.
La nozione di istinto come fondamento di una teoria della vita psichica opera come ostacolo epistemologico nell’elaborazione di un apparato concettuale che includa la relazione tra struttura sociale e vita psichica e che analizza i processi attraverso i quali si dà la produzione sociale del soggetto.
Non è casuale che la psicoanalisi come schema concettuale e come pratica istituzionalizzata sia stata posta al servizio delle classi dominanti. La sua ottica le ha permesso di convertirsi in un’antropologia riformista, in un’antropologia alternativa rispetto al marxismo. Gli elementi di denuncia presenti in questa problematica, l’importanza della formulazione del concetto di inconscio, introdurrebbe nella valutazione dello schema un grado di ambiguità che ha ostacolato la posizione critica. La valutazione della pratica analitica, così come si sviluppa a partire dalle istituzioni che veicolano la teoria, permette oggi la caratterizzazione della prassi psicoanalitica attuale come una delle forme dell’individualismo al servizio dell’adattamento passivo. Come strumento ideologico, l’ortodossia analitica, “più freudiana di Freud”, ha operato per occultare dietro una complessa sistematizzazione, le condizioni di produzione del soggetto.
I POSTULATI DELLA PSICOLOGIA SOCIALE
I postulati della psicologia sociale – scienza in fase di costruzione – implicano, come abbiamo detto, una nuova problematica, cioè un’impostazione con nuove premesse del problema della vita psichica. Il punto di partenza è l’ipotesi che esista una relazione dialettica tra il soggetto e il mondo. L’uomo – attraverso la prassi – si costituisce storicamente e socialmente in una contraddizione non polarizzata con la natura, dalla quale emerge e che domina. L’uomo è una costruzione storico-sociale risultante da una prassi.
Dice Gramsci “l’uomo in generale”, “la natura umana”, è un’astrazione. L’uomo non è un punto di partenza, non esiste l’essenza umana, l’uomo è un punto di arrivo, in costante costruzione, diverso in ogni momento storico, in ogni formazione concreta. L’uomo si costruisce, dunque, nella relazione dialettica con il mondo, il motore della relazione è la necessità.
Quando si dice: “Il soggetto è un essere di necessità che vengono soddisfatte soltanto nelle relazioni che lo determinano” (Pichon-Rivière, 1971), “Il soggetto è prodotto in una prassi, non c’è niente in esso che non sia risultante dell’interazione tra individui, gruppi e classi”, si afferma di conseguenza:
1) che i processi psichici sono l’espressione di una relazione dialettica tra soggetto e mondo esterno, o forse più precisamente, tra necessità e mondo esterno: e che il mondo esterno è determinante di questa vita psichica come repertorio di possibilità, come condizione di sviluppo della necessità e del suo soddisfacimento.
2) Si stabiliscono i lineamenti per la formulazione di un criterio di adattamento attivo, stabilendo che l’appropriazione del reale e la sua trasformazione, la mutua modificazione soggetto-contesto in una relazione dialettica, sarà il parametro della valutazione della qualità del comportamento, gerarchizzando così i processi di comunicazione e apprendimento.
3) Si gerarchizza l’operazione dell’oggetto, l’operazione del mondo esterno. Questo porta a formulare il concetto di struttura vincolare, che spiegherebbe la relazione del soggetto con il mondo, relazione che ha due dimensioni: l’intersoggettiva e l’intrasoggettiva.
4) Come conseguenza della gerarchizzazione dell’oggetto, del mondo esterno e del dibattito sulla teoria degli istinti e sugli elementi idealisti rappresentati dal principio di piacere, si procederà ad una riformulazione delle ipotesi riguardo alla fantasia inconscia come espressione della necessità e delle vicissitudini del vincolo dentro al quale si dà la relazione necessità-mondo esterno.
5) Per l’attribuzione di un carattere determinante delle condizioni esterne sulla vita psichica, si riformulerà l’ipotesi sul carattere significativo del contenuto della fantasia e del comportamento deviante. Si stabilisce così una terapia della psicosi (schizofrenia), partendo dall’ipotesi della malattia mentale come emergente (segno) di processi di interazione patologica, e del malato come portavoce.
6) Si formulano tecniche terapeutiche gruppali (gruppo familiare), che sebbene operino nella dimensione dell’immaginario gruppale, o nell’intergioco delle fantasie inconsce che ogni integrante ha su di sè e sugli altri, la considerazione della relazione dialettica mondo interno-mondo esterno porta a impostare una tecnica di confronto tra la fantasia e i processi reali di interazione, tra il gruppo fantasticato e il gruppo reale, il che permette l’apprendimento della realtà, la ridistribuzione delle ansie, ecc.
Abbiamo detto che, a partire da queste premesse, una psicologia sociale si trova in fase di costruzione. Questi presupposti ci permettono di ripensare gli apporti della psicoanalisi, ma non solo questi. Ci interessa l’approccio al “soggetto prodotto” nella propria vita quotidiana. Questa problematica inquadra il compito e orienta la produzione della Scuola (Gli autori fanno riferimento alla Prima Scuola privata di Psicologia Sociale e alla Scuola di Psicologia Sociale di Tucuman [nota del traduttore]). I suoi membri vengono chiamati all’integrazione rispetto a questo compito e a impegnarsi in questo lavoro.
Buenos Aires, Ottobre, 1972
Note:
1. Enrique Pichon-Rivière (1907-1977) psichiatra, psicoanalista, psicologo sociale, fondatore negli anni quaranta dell’Associazione Psicoanalitica Argentina (A.P.A.) è unanimemente riconosciuto come il personaggio più importante e creativo del movimento psicoanalitico sudamericano. Tra le sue opere tradotte: Il processo gruppale, Lauretana, Loreto, 1985.
2. Vedi, per esempio, Stella S.- Quaglino G. P., Prospettive di psicosociologia, Angeli, Milano, 1976; Amerio P., Fondamenti teorici della psicologia sociale, Giappichelli, Torino, 1973; Carli R.-Paniccia R. M., Psicosociologia delle organizzazioni e delle istituzioni, Il Mulino, Bologna, 1981; Carli R.-Ambrosiano L., Esperienze di psicosociologia, Angeli, Milano, 1982.
3. “Penso che quella rottura significò un vero “ostacolo epistemologico” una crisi profonda il cui superamento mi ha richiesto molti anni, e che chissà se ho raggiunto ora con la pubblica zione di questi scritti.”, in Pichon-Rivière E., Il processo gruppale, op. cit., p.26.
4. Nel 1967 Pichon-Rivière aveva scritto un importante articolo proprio “Una nuova problematica per la psichiatria” dove tratteggia la sua teoria della salute e della malattia mentale centrata nello studio del vincolo come struttura, che sostituisce la nozione di relazione d’oggetto della Psicoanalisi.
5. “Possiamo osservare, d’accordo con gli apporti della scuola di Melanie Klein, che ci si riferisce a relazioni sociali esterne che sono state interiorizzate, relazioni che chiamiamo legami interni, che riproducono nell’ambito dell’Io relazioni gruppali o ecologiche. Queste strutture di legame che includono il soggetto, l’oggetto e le loro reciproche interrelazioni si formano sulla base di esperienze precocissime, perciò escludiamo dalle nostre teorie il concetto di istinto, sostituendolo con quello di esperienza.” (Il processo gruppale, op. cit., p.70).
6. Lagache D., Introduzione alla Psicologia, Newton Compton, Roma, 1972.
7. Traduco il termine spagnolo “vinculo” di Pichon-Rivière con vincolo e non più come avevo fatto precedentemente con legame, perché nel nostro contesto questo termine mantiene una confusione con la nozione sistemica.
8. Basandosi fondamentalmente su D. Lagache e P. Schilder, Pichon-Rivière ha sistematizzato tutto il comportamento (normale e patologico) in tre aree che rappresenta graficamente come tre circoli concentrici:
- Area uno o della mente
- Area due o del corpo
- Area tre o del mondo esterno.
Le tre aree cono sempre coesistenti e cooperanti e la qualificazione di ogni comportamento in ognuna delle tre aree si riferisce al predominio relativo di una di esse in un determinato momento. Le tre aree d’espressione (corpo, mente e mondo esterno) sono gli ambiti proiettivi dove il soggetto ubica i suoi vincoli in un intergioco di mondo interno e contesto esterno mediante processi d’interiorizzazione ed esteriorizzazione. Il comportamento implica sempre manifestazioni coesistenti nelle tre aree, ma in alcuni momenti non si esclude il predominio di una di loro.
9. Afferma Pichon Rivière: “Nonostante (Freud) abbia intravisto la fallacia della opposizione dilemmatica tra psicologia individuale e psicologia collettiva, il suo attaccamento alla “mitologia” della psicoanalisi, alla teoria degli istinti e al disconoscimento della dimensione ecologica gli impedirono di formulare ciò che aveva intravisto, che ogni psicologia, in senso stretto è sociale” (Il processo gruppale, op. cit., p. 70).
10. Vedi il testo di P. Robinson, La sinistra freudiana, Astrolabio, Roma, 1971 e l’interessante lavoro di A. Salvini, Aspetti sociali della personalità, Bertani, Verona, 1977.
11. Il gruppo come matrice mentale dell’individuo in Wolberg L. e Schwarz E., Terapia di gruppo, Terapia moderna, n. 2, aprile 1974, pag. 280.
12. Il Genius loci era per i Latini un nume che aveva un particolare rapporto con l’armonia del posto. Claudio Neri (Gruppo, Borla, Roma, 1995) introduce il concetto di Genius loci nel gruppo per indicare la funzione di tenere collegati la dinamica gruppale alla base affettiva. Giorgio Agamben precisa che comprendere la concezione implicita in “Genius” significa capire che l’uomo non è soltanto Io e coscienza individuale, ma che egli convive sempre con una parte impersonale e preindividuale (vedi Agamben G., Genius, Nottetempo, Roma, 2004).
13. Vedi: A.A. V.V., Cuestionamos I e II (rispettivamente 1971 e 1973), Ed. Granica, Buenos Aires; Simoes G., La fractura dell’A.P.A.: El grupo documento, Rev. Psiche, n. 3, ottobre 1986; Matrajt M. e Jordana E., Una toma de conciencia. Los trabajadores de salud mental en Argentina, dattiloscritto; Volnovich J. C., Psicoanalisis argentino. Trenta aňos sin Plataforma, in w.w.w. etatsgeneraux-psychanalyse.net.
14. Il processo gruppale, op. cit, p.249.
15. Sta in Goldmann L., Marxismo e scienze umane, Newton Compton, Roma, 1973.
16. “Il metodo (di K. Lewin) è doppiamente sperimentale: a) è uno sforzo per render pratica la sperimentazione sociologica; b) tende a una nuova forma di sperimentazione: la ricerca attiva (action research).” (Il processo gruppale, op. cit., p.222).
17. Dalal F., Prendere il gruppo sul serio, R. Cortina, Milano, 2003, pp. 1-4.
18. Di René Käes leggi: Il gruppo e il soggetto del gruppo, Borla, Roma, 1994; La parola e il legame, Borla, Roma, 1996, Le teorie psicoanalitiche del gruppo, Borla, Roma, 1999.
19. Pichon-Rivière E., Psicologia de la vida cotidiana, Nueva Vision, Buenos Aires, 1985, p.19.
20. “Il gruppo come matrice mentale dell’individuo”, op. cit., pag. 278.
21. Pichon-Rivière utilizza l’aggettivo nel senso datogli da Politzer nel 1928 per indicare lo studio dell'essere umano nelle situazioni reali della vita quotidiana. La Psicologia Concreta supera la contrapposizione tra psicologia soggettiva e oggettiva. Il fatto psicologico non è, né un dato della percezione interna, né un dato della percezione esterna, ma risulta dalla nostra esperienza comune del “dramma”.
22. “Il concetto di ruolo preso dalla Psicologia Sociale e sviluppato da G. H. Mead (il grande precursore di questa disciplina, che ha basato tutto il suo pensiero sul concetto di ruolo, la sua interazione, il concetto di me, dell’altro generalizzato, che rappresenterebbe il gruppo interno come prodotto di un’internalizzazione degli altri) soffre, nonostante tutto, di un limite che abbiamo risolto aggiungendo, all’idea di gruppo interno, o mondo interno del soggetto, l internalizzazione ecologica. L’internalizzazione dell’altro non avviene come se si trattasse di un altro astratto e isolato, essa include gli oggetti inanimati, l’habitat nella sua totalità, che alimenta fortemente la costruzione dello schema corporeo.” (Il processo gruppale, op. cit., p. 49).
23. “...come meccanismo di interazione deve essere letto come una Gestalt che include un terzo, che nella teoria della comunicazione funziona come rumore e nell’apprendimento come ostacolo epistemologico” (Il processo gruppale, op. cit., p.223).
24. Vedi: Lefebvre H., Critica della vita quotidiana 2 voll., Dedalo, Bari, 1997; Lefebvre H., La vita quotidiana nel mondo moderno, Il Saggiatore, Milano, 1978; Barthes R., Miti d’oggi, Einaudi, Torino, 1974; Kosik K., Dialettica del concreto, Bompiani, 1965; Sartre J. P., Critica della ragione dialettica, Il
Saggiatore, Milano, 1990; Heidegger M., Essere e Tempo, Longanesi, Milano, 1970; Bachelard G., La ragione scientifica, Bertani, Verona, 1974.
(Tratto da "Narrare i gruppi. Prospettive cliniche e sociali. Anno 1, Vol. 2, Luglio 2006")