
“La verità profonda, per fare qualunque cosa,
per scrivere, per dipingere, sta nella semplicità.
La vita é profonda nella sua semplicità.”
Charles Bukowski
Agli inizi degli anni '50 mentre lavorava sulla malattia mentale Pichon-Rivière scopre che l'uomo non si evolve in isolamento e che per accedere alla struttura della malattia, l'individuo deve essere osservato come “individuo in situazione” dove è possibile vedere il processo dell'ammalarsi inserito nel suo contesto. Colpito dai meccanismi di isolamento e segregazione messi in atto dai familiari, Pichon-Rivière si accorge che una persona si ammala perché tutto il gruppo familiare cerca di isolare e segregare attraverso di lui, delle cose che non riesce ad elaborare.
La persona che si ammala partecipa a questo gioco gruppale assumendosi il deposito che le viene assegnato.
Il balbettio apparentemente incoerente di uno psicotico cercherebbe di rimettere in circolo quelle cose e i segreti di cui nessuno può, deve o vuole parlare.
Pichon-Rivière diceva che non è possibile risolvere con “uno” quello che è di “tutti” e che il soggetto che si ammala è l'emergente del gruppo all'interno del quale egli stesso si è costituito.
L'emergente è per Pichon-Rivière un effetto di struttura; il soggetto non è solo un soggetto in relazione ma un soggetto prodotto da/in una struttura familiare.
Per questo l'emergente avrà una relazione non solo causale ma anche di senso con la struttura che la determina: per comprendere un delirio diventa importante ricercare l'insieme di forze che agiscono nel contesto gruppale da cui quel delirio emerge.
Per “relazione di causalità” Pichon-Rivière non intende una causalità meccanica, diretta, lineare, ma una causalità “gestaltica” in cui le tensioni della struttura che convergono in un punto, fanno sì che da lì esca un emergente.
Quando Pichon-Rivière deve definire la situazione dell'uomo delle relazioni interpersonali, parla di soggetto prodotto: l'individuo è prodotto di una certa situazione sociale.
Ma Pichon-Rivière diceva che non esiste veramente una relazione “esterna”.
Per situazione sociale egli intende la relazione tra intrapsichico e interpsichico.
Per mettere l'accento sulla sua idea che l'intrapsichico (vincolo interno) è sociale, chiamerà l'intrapsichico “psicosociale” e l'interpsichico (vincolo esterno) “sociodinamico”.
Nel passaggio da Gruppo Operativo a Concezione Operativa di Gruppo A. Bauleo cerca la strada che gli permetta di passare dall'idea di soggetto prodotto a quella di soggetto collettivo. Trasforma il discorso che ha come soggetto l' individuo in un discorso che ha come soggetto il gruppo.
Da questa trasformazione acquista centralità nella discussione la relazione tra struttura psichica e struttura sociale.
Ponendo il gruppo come soggetto, la persona diventa un soggetto collettivo.
C'é un decentramento del soggetto e viene in primo piano il vincolo tra i soggetti.
A. Bauleo crea uno spazio di comprensione tra struttura o organizzazione del soggetto (lo psichismo del soggetto) e struttura o organizzazione sociale.
Partendo concettualmente dal gruppale egli si accorge che c'è un movimento di va e vieni continuo tra soggetti, gruppi, istituzioni, comunità e che quei movimenti vanno creando tessuti di relazioni differenziati.
Con questa trasformazione si dissolve il problema dell'opposizione tra psicologia sociale e psicologia individuale, ovvero di un contesto sociale pensato come produttore di un effetto di influenza sull'individuo.
A partire dalla nozione di vincolo, “sociale” è il testo stesso del soggetto.
Nei vincoli che il soggetto va sperimentando a partire dalla situazione attuale, si produce una molteplicità di sensi e significati. Emergono e si vanno organizzando produzioni simbolico-immaginarie a cui tutti partecipano.
Nei va e vieni succedono cose; si assumono e si assegnano ruoli, emergono ansie e soprattutto emergono fantasie.
Il nostro problema con il gruppo, diceva A. Bauleo, è l'accesso all'immaginario che il gruppo va costituendo; ogni gruppo produce un'atmosfera particolare fatta di fantasie, rapporti interpersonali reali, immaginari, simbolici.
Attraverso di essi si produce spessore; di essi è fatto lo sviluppo del gruppo e del compito.
E' questo modo di vedere lo sviluppo che ci fa parlare di produzione di soggettività. I va e vieni sono tra i soggetti, tra il gruppo e il compito, con il coordinatore, con l'istituzione...
Per interpretare il vincolo dobbiamo cercare sempre l'immaginario.
L'emergente ci arriva dalla fantasia in gioco nel vincolo.
Un emergente ha le stesse caratteristiche del lapsus, di un atto mancato: irrompe inaspettato e trasforma la situazione attuale.
E' interessante l'espressione atto mancato: mette l'accento su qualcosa che manca ma quel qualcosa che manca non significa che non c'è niente; “mancato” rimanda a un pieno; segnala una qualche relazione significativa che ha a che vedere con la situazione attuale, la fa emergere. E' “attività” come dice la parola stessa “atto”; l'atto mancato è affermativo come il “non” del processo primario.
Bauleo diceva che non è facile parlare né di vincolo né di emergente.
L'emergente è una risposta; risponde a una condizione ma anche a un caso, a una contingenza, a un frangente, a una situazione; è una risposta cioè, che ha carattere circostanziale; ha a che vedere con qualcosa che sta intorno, nei paraggi, nelle vicinanze ma concorre a determinare decisioni, atti, eventi.
L'emergente si trova all'interno del gioco del transfert (transfert-controtransferttransfert multipli). Va a fantasie o fantasmi, che hanno a che vedere con il vincolo gruppo-compito/coordinatore.
Vale a dire con il doppio movimento di va e vieni del gruppo con il compito e il doppio movimento di va e vieni del coordinatore con il gruppo che lavora sul compito.
Le funzioni sono differenziate ma l'investimento include tutti.
Investimento significa sempre libido, passione.
Nel movimento, emergente/interpretazione/nuovo emergente transita lo schema di riferimento del coordinatore e da lì anche la sua libido.
La nozione di vincolo ha un enorme valore euristico. Psicologia, Psicoanalisi, Psicopatologia, Pedagogia si “aprono” quando sono guardate dal vincolo. Possiamo dire che la teoria del vincolo è il nostro gioiello di famiglia.
Non é facile parlare della teoria del vincolo, perché non è soltanto una relazione tra due individui; abbiamo sempre due individui ma tre soggetti.
Pichon-Rivière diceva che vincolo significava rapporto tra due corpi e tre persone.
Dire terzo nella teoria del vincolo significa dire che c'è sempre un latente che gioca nella relazione manifesta; noi dobbiamo sempre cercare il terzo, il latente. Tra due persone c'è un rapporto mutuo che coinvolge non solo il corporeo ma anche l'immaginario, l'inconscio, il mondo interno e un contesto.
Durante una seduta un paziente aveva lasciato il cellulare acceso. La persona con cui aveva appena parlato ascoltò tutta la sua seduta.
Quando il paziente tornò nel proprio studio, la persona che aveva ascoltato gli chiese: “ma dove si trovava avvocato? non si capiva niente di quello che dicevate! ma di che cosa stavate parlando?”
Per capire il senso di quello che si dicevano la persona che ascoltava doveva sapere dove si trovasse, che cosa stesse facendo, e chi fosse la persona a cui parlava e che parlava con lui. Praticamente aveva bisogno di conoscere quello che noi chiamiamo l'inquadramento.
Con l'inquadramento entra in gioco la nozione di campo. L'inquadramento genera un campo che mette in moto dei movimenti che si vanno organizzando in un tessuto di relazioni.
Anche il coordinatore, abbiamo detto, è all'interno di quel campo. Da esso emergono, ordinati in termini dicotomici i vincoli. Chiamiamo quel tessuto organizzazione vincolare.
Il meccanismo dell'identificazione proiettiva/introiettiva è il modo di quel movimento.
L'identificazione proiettiva/introiettiva è anche alla base del fenomeno del transfert.
L'emergente è ciò che ci permette di accedere a quel movimento, rimandandoci o mostrandoci una scena. Il vincolo è fatto di scene. La persona che ascoltava al telefono non riusciva a vedere nessuna scena, nessun “testo”. Noi cerchiamo di capire l'emergente per capire la scena in gioco.
L'emergente si presenta come una qualità nuova e proprio questa differenza ci permette di leggere la scena. Appare una trasformazione che è collegata alla situazione, contesto nuovo, in cui l'emergente appare, ma appare anche una temporalità nuova.
Il termine differenza (dal latino differre), ci dice Derrida, include due significati: sia quello di mostrare un altra qualità, sia quello di rinviare, ritardare nel tempo.
Nella scena gioca una fantasia o fantasma in cui tutti sono compromessi e a cui tutti partecipano.
Le fantasie emergono nel vincolo non nella mente di un individuo isolato (solipsichismo). La nozione di campo ci ha permesso di vedere in un modo nuovo come si fabbrica una fantasia; il percorso interpretativo consiste nel dire al gruppo scena per scena ciò che sta succedendo. L'interpretazione serve per aiutare a trasformare elementi della “partecipazione” (socialità sincretica) in vincolo.
Vedendo le scene vediamo i va e vieni del gruppo con il compito. L'immaginario che il gruppo va istituendo è lì dentro.
Tradizionalmente si pensa che la fantasia stia al posto della resistenza e che muovendo la fantasia si scopra ciò che nascondeva. Ma la fantasia non é una cosa in sé, non é “una sostanza”. L'inconscio é un vincolo con l'altro, non si trova dentro le persone, ma nel vincolo. Corrisponde alla fantasia dell'altro su di me e alle mie fantasie su di lui.
Latente non significa trascendente; la fantasia non si trova oltre i “comportamenti”.
Se un paziente dice al terapeuta dopo dieci giorni in cui non ha avuto sedute: “Arrivando mi sono accorto di avere una fame terribile”, sta chiedendo interpretazioni; il latente non si trova nell'affermazione manifesta. La funzione del terzo è sempre quella di fare spazio. Pensare che la fame sia di pane significa rimanere aderenti, appiccicati, tutt'uno. Si tratta di fare un lavoro psichico per discriminare. E' questo il senso del terzo.
Ferenczi diceva che l'inizio della seduta (come il paziente entra, saluta, inizia ...) ci parla di quello che sarà il tema centrale di quella seduta.
Le scene come nelle opere teatrali includono degli aspetti delle persone, ruoli che assegnati e assunti le organizzano; attraverso di esse sono espressi climi, atmosfere, angosce che appartengono a quell'immaginario. In tutto ciò si produce soggettività.
In sintesi. L'emergente chiama l'interpretazione e mette in moto la dialettica continua tra stabilità e movimento, tra “l'uno” e “il molteplice”.
Abbiamo bisogno del movimento e della stabilità dell'inquadramento per rompere il gioco della ripetizione e dello stereotipo.
Lavoro presentato nelle giornate sull' "Emergente", organizzate da Area 3 e la Scuola Bleger, Madrid, 30-31 maggio 2014.
Pubblicato in "ÁREA 3. CUADERNOS DE TEMAS GRUPALES E INSTITUCIONALES".