- PREFAZIONE
Esiste un qualche legame fra la psicoanalisi di Freud e il materialismo dialettico di Marx ed Engels? Rispondere a questa domanda, scoprire questi legami, se essi esistono, è lo scopo che ci proponiamo. La nostra risposta ci autorizzerà anche a dire se si possa aprire una discussione sui rapporti della psicoanalisi con la rivoluzione proletaria e la lotta di classe.
Non appena si abbandona il terreno peculiare della psicoanalisi e specialmente quando si tenta di applicarla ai problemi sociali, la si trasforma immediatamente in una Weltanschauung, una concezione del mondo, una specie di filosofia; essa prende allora la forma di sistema psicologico, di sistema che, contrariamente al marxismo, preconizza il regno della ragione e pretende di migliorare il divenire sociale per mezzo di una regolamentazione tesa al controllo cosciente degli istinti. Questo razionalismo utopistico - che tradisce d’altronde una concezione individualistica del fenomeno sociale - non è né originale né rivoluzionario ed esula dalla competenza della psicoanalisi. Quest’ultima, secondo la definizione del suo stesso fondatore, è soltanto un metodo psicologico che, servendosi di procedimenti scientifici, cerca di descrivere e spiegare la vita psichica intesa come un dominio particolare della natura. Poiché non è un sistema filosofico, poiché non è nemmeno capace di generarne uno, la psicoanalisi non potrebbe né sostituire né completare la concezione materialistica della storia. Scienza naturale, essa non ha niente in comune con le concezioni storiche di Marx.
Il vero oggetto della psicoanalisi, tuttavia, è la vita psichica dell’uomo divenuto essere sociale. Essa non si occupa della psicologia delle masse se non in quanto vi appaiono fenomeni individuali (problema del capo, per esempio) e in quanto, grazie alle sue esperienze sull’individuo, essa può spiegare le manifestazioni “dell’anima delle masse” quali la paura, il panico, l’obbedienza, ecc.
Ma il fenomeno della coscienza di classe sembra esserle appena accessibile, e problemi come il movimento di massa, la politica, lo sciopero, che sono di competenza della sociologia, sfuggono al metodo psicoanalitico. Esso non può quindi sostituirsi alla sociologia, né trarre da sé una dottrina sociologica. Tuttavia, rispetto alla sociologia, può esercitare la parte di scienza ausiliaria, sotto forma di psicologia sociale, per esempio.
La psicoanalisi può scoprire le cause irrazionali che spingono una natura di capo[1] ad accostarsi al socialismo piuttosto che al nazionalismo, e viceversa; essa può anche distinguere l’influenza delle ideologie sociali sullo sviluppo psichico dell’individuo. Le critiche marxiste hanno dunque ragione quando rimproverano a molti psicoanalisti di voler spiegare quello che, con il loro metodo, non è spiegabile; ma hanno torto quando identificano il metodo con coloro che lo applicano e quando gli fanno carico degli errori commessi da questi ultimi.
La sociologia marxista è il risultato dell’applicazione del metodo marxista alla vita sociale. In quanto scienza, la psicoanalisi è l’equivalente della sociologia marxista: l’una tratta dei fenomeni psichici, l’altra dei fenomeni sociali, e, se accade loro di assistersi mutualmente, è soltanto in quanto il fatto sociale deve essere esplorato nello psichismo individuale, e viceversa. Il marxismo non potrebbe mai spiegare, infatti, una nevrosi, uno scompiglio dell’attitudine al lavoro, o un impulso della sessualità. Ma le cose sono diverse se si tratta del materialismo dialettico. Il confronto dei due metodi è possibile e le alternative sono due: o la psicoanalisi si propone come metodo alternativo al marxismo - essa sarebbe in tal caso idealistica ed antidialettica - oppure, nel suo campo particolare, la psicoanalisi ha effettivamente scoperto il materialismo dialettico e sviluppato delle teorie corrispondenti: inconsapevolmente, d’altronde, come tante altre scienze naturali.
Dal punto di vista metodologico la psicoanalisi non può opporsi al marxismo o inquadrarsi in esso. Nel primo caso, ossia se le conclusioni della psicoanalisi non sono dialettiche o materialistiche, il marxismo deve respingere questa dottrina; ma, nel secondo caso, esso sa di trovarsi di fronte ad una scienza che non è in contraddizione con il socialismo.
Due obiezioni sono state fatte dai marxisti alla psicoanalisi in quanto disciplina che si pretende collegata al socialismo.
1. Essa sarebbe un fenomeno di decomposizione della borghesia decadente.
Questa obiezione tradisce un’insufficiente comprensione dell’origine dialettica della psicoanalisi. La dottrina sociale marxista non è stata anch’essa un “fenomeno di decomposizione” della borghesia? Essa è stata “fenomeno di decomposizione” in quanto non avrebbe mai potuto sorgere senza la contraddizione tra le forze produttive e i rapporti di produzione del capitalismo; ma essa è anche stata il riconoscimento e, nello stesso tempo, il germe ideologico del nuovo ordine economico che si sviluppava in seno all’antico.
Noi torneremo più tardi sul punto di vista sociologico della psicoanalisi; per il momento faremo appello al marxista Wittfogel[3], che discute quest’obiezione meglio di quanto avremmo potuto fare noi.
«Alcuni critici marxisti - gli iconoclasti - non provano alcun imbarazzo nel giudicare la scienza attuale. Con voci e gesti taglienti essi affermano: scienza borghese! E per loro queste due parole risolvono tutta la questione.
Un tale metodo (se così lo si può chiamare) lavora con lo strumento dei barbari. Di Marx e del suo pensiero dialettico esso non ha preso, ahimé, che il nome. Il dialettico sa che la cultura non è un tutto uniforme. Esso sa che ogni ordine sociale ha le proprie contraddizioni e che nel suo seno crescono i germi delle nuove epoche sociali. Di conseguenza il dialettico non considera come valori inferiori e inutilizzabili nella futura società quel che le mani borghesi hanno creato all’epoca della borghesia».
2. Essa sarebbe una scienza idealista.
Una conoscenza un po’ più estesa avrebbe risparmiato ai critici questo giudizio; con un po’ di obiettività essi non avrebbero dimenticato che, nella società borghese, ogni scienza dà luogo, e deve darlo, a deformazioni idealistiche. Nella formazione della teoria, non appena ci si allontana necessariamente, per quanto poco, dall’empirismo, si concepisce una deviazione idealistica senza che per questo la reale natura della scienza possa essere pregiudicata. Jurinetz si è dato molto da fare per cercare di sottolineare proprio le deformazioni idealistiche della psicoanalisi. Certo ve ne sono, e anche numerose; ma non sta qui la questione; in realtà sono in causa gli elementi della teoria, le concezioni fondamentali dei fenomeni psichici.
Molto spesso la psicoanalisi si trova evocata nella discussione delle correnti politiche riformiste. Si trae argomento dal fatto che la filosofia riformista si rimette volentieri al giudizio della psicoanalisi: de Man, per esempio, si è servito in modo reazionario della psicoanalisi contro il marxismo. Ora io affermo - e posso riferirmi qui a dei marxisti di sinistra - che si può, quando si vuole, servirsi del “marxismo” contro il marxismo in modo altrettanto reazionario. Ma un critico che conoscesse realmente la psicoanalisi non avrebbe mai avuto l’idea di stabilire un legame qualsiasi fra la “psicoanalisi” di de Man e la psicoanalisi di Freud. Ci si domanda che cosa il socialismo sentimentale di de Man possa avere in comune con la teoria della libido, anche quando egli invoca la psicoanalisi che non ha mai compreso. Nell’ultimo capitolo cercherò di dimostrare che, nelle mani dei riformisti, la psicoanalisi ha subìto la stessa sorte del marxismo ortodosso: avvilimento e liquefazione.
Noi studieremo nell’ordine:
ƿ La base materialistica della teoria psicoanalitica.
ƿ La dialettica nella vita mentale.
ƿ La posizione sociologica della psicoanalisi.
II. LE NOZIONI MATERIALISTE DELLA PSICOANALISI E QUALCHE DEFORMAZIONE IDEALISTICA.
Prima di mostrare quale grande progresso la psicoanalisi rappresenti in senso materialistico, nei confronti della psicologia, soprattutto idealistica e formalistica, che l’ha preceduta, conviene mettere da parte, una volta per tutte, una concezione “materialistica” erronea della vita psichica, concezione ancora molto diffusa perfino negli ambienti marxisti.
Essa è il materialismo meccanicistico, quale fu patrocinato dai materialisti francesi del XVIII secolo e quale sopravvive nella concezione volgare del materialismo[4]. Secondo questa concezione i processi psichici non hanno alcuna realtà in se stessi; il materialista conseguente non deve trovare nel mondo materiale che fenomeni esclusivamente fisici. Per alcuni materialisti la sola nozione di “spirito” appare come un errore idealistico, il che è, certamente, una reazione estrema contro idealismo platonico.
Non è lo spirito ad essere reale e materiale - affermano essi - ma i dati fisici che gli corrispondono, vale a dire i dati non soggettivi, ma obiettivi, misurabili e ponderabili.
L’errore meccanicistico sta nel fatto di identificare con la materia ciò che è misurabile e ponderabile, ossia tangibile.
«Il grande difetto di tutto il materialismo passato (compreso quello di Feurbach), è che la cosa concreta, il reale, il sensibile non è altro che la forma dell’oggetto o dell’intuizione, non come attività umana sensibile, come pratica; non soggettivamente. Ecco perché il lato attivo si trova sviluppato astrattamente, in opposizione al materialismo, dall’idealismo: quest’ultimo ignora naturalmente la reale attività sensibile come tale. Feurbach vuole oggetti sensibili, realmente distinti dagli oggetti del pensiero: ma egli non concepisce l’attività umana stessa come attività oggettiva»[5].
Per Marx, la questione dell’obiettività dunque della realtà materiale dell’attività psichica (“del pensiero umano”), è una questione puramente scolastica quando la si isoli dalla pratica.
«La dottrina materialistica della trasformazione indotta dall’ambiente e dall’educazione dimentica che l’ambiente è trasformato dagli uomini e che l’educatore deve essere lui stesso educato»[6].
In nessun luogo Marx parla di negare la realtà materiale dell’attività mentale. Se si riconoscono come praticamente materiali i fenomeni della psicologia umana, si è però obbligati ad ammettere ipso-facto la possibilità teorica di una psicologia materialistica, anche se essa non spiega quest’attività mentale per mezzo dei processi organici. Non ammettere questo punto di vista significa interdirsi di discutere marxisticamente un metodo puramente psicologico. Ma per essere logici, non si dovrà più parlare di coscienza di classe, di volontà rivoluzionaria, di ideologia religiosa, ecc.; ci si contenterà semplicemente di attendere che la chimica abbia fissato in formule tutti i fenomeni psicologici corrispondenti, o che la reflessologia abbia scoperto i riflessi in questione.
Una psicologia di questo genere, dovendo restare necessariamente fissata entro un formalismo causale, senza dare accesso al contenuto pratico delle idee e dei sentimenti, non giungerà affatto ad una migliore comprensione del piacere, della sofferenza o della coscienza di classe. Queste considerazioni risolvono la questione: nel sistema del marxismo appare indispensabile una psicologia che analizzi i fenomeni psichici per mezzo di un metodo psicologico e non organico.
Certamente non basterà per qualificare come materialista una psicologia, che essa si occupi dei dati materiali della vita mentale. Bisognerà soprattutto che essa ci dica chiaramente se considera l’attività psichica come un dato metafisico, ossia al di là della vita organica, o come una funzione secondaria che si innesta sull’organismo fisico ed è legata alla sua esistenza. Secondo Engels, nell’opera già citata, l’idealismo e il materialismo si distinguono essenzialmente l’uno dall’altro, in quanto il primo dà la precedenza allo “spirito”, il secondo alla materia (organica), alla natura; ed Engels sottolinea che non usa queste due nozioni in un altro senso.
In Materialismo ed empiriocriticismo[7] Lenin ha preso come oggetto dei suoi studi critici una seconda differenza: l’attitudine osservata nei confronti della teoria della conoscenza. E’ reale il mondo? Esiste esso al di fuori e indipendentemente dal nostro pensiero (materialismo), o non esiste che nel nostro spirito, come rappresentazione, sensazione e percezione (idealismo)?
Una terza differenza, legata alle precedenti, sta in questa domanda: è l’organico che edifica il mentale? O viceversa?
Tutte queste domande si pongono alla psicoanalisi. Invece di dar loro una risposta generica, cominceremo con l’esporre le teorie fondamentali della psicoanalisi. Non cercheremo di dimostrarle, perché un impegno di questo genere supererebbe il programma di questo lavoro e sarebbe d’altronde sterile. Il lettore troverà delle prove nella propria personale esperienza empirica.
1. La dottrina psicoanalitica degli istinti.
La teoria degli istinti costituisce l’ossatura delle dottrine psicoanalitiche; l’elemento più solido di essa è la teoria della libido, della dinamica della vita sessuale. L’istinto è una “nozione limite fra lo psichico e il somatico”. Freud[8], per libido, intende l’energia dell’istinto sessuale. Secondo lui la sorgente della libido è un processo mal conosciuto che si svolge nell’organismo, particolarmente nell’apparato sessuale e nelle zone dette “erogene”, ossia nelle parti dell’organismo maggiormente sensibili all’eccitazione sessuale e dove questa si concentra. Su queste basi si edifica la possente superstruttura delle funzioni psichiche della libido: questa struttura resta legata alla base, si modifica con essa, sia quantitativamente che qualitativamente - nella pubertà, per esempio- e comincia ad estendersi con essa, come dopo la menopausa. La libido si riflette nella coscienza come una tendenza fisica e psichica alla soddisfazione sessuale.
Freud ha espresso la speranza di vedere un giorno la psicoanalisi sistemata su di un fondamento organico; e l’idea del chimismo sessuale rappresenta, a titolo di nozione ausiliaria, una parte importante della sua teoria della libido. Comunque sia, la psicoanalisi non può abbordare metodicamente i fenomeni organici concreti: questo studio rimane riservato alla fisiologia.
La natura materiale della nozione di libido elaborata da Freud appare molto bene dal fatto che la sua teoria della sessualità infantile è stata, dopo di allora, completamente confermata dai fisiologi, che hanno scoperto dei processi evolutivi perfino nell’apparato sessuale dei neonati.
Freud ha fatto tabula rasa della concezione secondo la quale l’istinto sessuale non si sveglia che alla pubertà; egli ha mostrato che fin dalla nascita la libido passava per determinate tappe di sviluppo prima di raggiungere lo stadio della sessualità genitale. Egli ci ha dato una nozione di sessualità comprendente tutte le funzioni del piacere che non sono legate alla sfera genitale, ma che sono innegabilmente di natura sessuale, come le tendenze erotiche orali, anali, ecc. Le forme infantili “pregenitali” vengono più tardi subordinate alla preponderanza del genitale, alla supremazia dell’apparato sessuale propriamente detto.
Ciascuna delle fasi di sviluppo della libido - e torneremo più avanti sul carattere dialettico di questo sviluppo - caratterizzata dalle condizioni di vita del bambino; così la fase orale ha origine con l’ingestione del nutrimento, la fase anale con l’insegnamento della pulizia.
La scienza, imbevuta di morale borghese, ha puramente e semplicemente trascurato questi fatti, confermando la concezione popolare della “pulizia” del bambino. La rimozione sessuale di origine sociale era ormai divenuta un ostacolo all’indagine scientifica.
Fra gli istinti, Freud distingue due gruppi principali, psicologicamente indivisibili: l’istinto di conservazione e l’istinto sessuale, conformandosi così alla distinzione popolare tra fame e amore. Tutti gli altri istinti - volontà di potenza, ambizione, avidità di guadagno, ecc. - non sono, per Freud, che formazioni secondarie, derivate da questi due bisogni fondamentali. Freud scrisse in qualche luogo che l’istinto sessuale sembrava fondato soltanto sull’istinto di nutrizione; questa frase rivestirebbe la massima importanza per la psicologia sociale, se si arrivasse a trovare in essa una corrispondenza con quella tesi analoga di Marx secondo la quale nella vita sociale il bisogno di nutrimento è anche la base delle funzioni genitali della società.
Più tardi Freud ha contrapposto l’istinto sessuale all’istinto di distruzione e collegato l’istinto di nutrizione all’eros, in quanto funzione d’amore dell’io (narcisismo di conservazione dell’io)[9].
I rapporti fra la nuova teoria degli istinti e l’antica non sono ancora chiaramente determinati. Le nuove nozioni della teoria degli istinti: istinto dell’eros e istinto di morte (istinto sessuale e istinto di distruzione), sono stati definiti come le due funzioni fondamentali della sostanza organica: assimilazione (costruzione) e disassimilazione (distruzione); l’eros raccoglie tutte le tendenze dell’organismo psichico che costruiscono, riuniscono, stimolano; l’istinto di distruzione raccoglie al contrario le tendenze che distruggono, disperdono, riportano allo stato originario. Lo sviluppo psichico risulterebbe così da una lotta fra queste due tendenze antagonistiche; ecco una concezione essenzialmente dialettica dello sviluppo.
Ma la difficoltà non è qui. Mentre la base fisica dell’istinto sessuale e dell’istinto di nutrizione è evidente, manca alla nozione di istinto di morte un fondamento materiale altrettanto chiaro: il richiamo al processo organico della disassimilazione rappresenta in questo caso più un’analogia formale che un’affinità di contenuto effettivo.
L’“istinto di morte” è materialistico soltanto se un reale rapporto lo ricongiunge ai processi di autodistruzione nell’organismo. Ma non si potrebbe negare che il suo contenuto impreciso e l’impossibilità di considerarlo da questo punto di vista - come si fa per la libido, per esempio - ne fanno facilmente il rifugio di speculazioni idealistiche e metafisiche sulla vita psichica. Esso ha già suscitato nella psicologia più di un malinteso, portato a delle teorie finalistiche e a delle esagerazioni delle funzioni morali, cosa che noi consideriamo come una deviazione idealistica della psicoanalisi.
Secondo lo stesso Freud, l’“istinto di morte” è un’ipotesi extraclinica, ma non è per caso che ci si destreggia così facilmente con esso e che esso ha aperto, in psicoanalisi, la porta a speculazioni inutili. Per reagire alla corrente idealistica che si è sviluppata nella psicoanalisi con la nuova ipotesi degli istinti, l’autore di queste righe ha tentato di concepire l’istinto di distruzione come dipendente dalla libido, di sistemarlo dunque entro
la teoria materialistica della libido.
Questo tentativo poggia sull’osservazione clinica; ci si convince che le disposizioni ostili di un individuo e i suoi sentimenti di colpevolezza dipendono, almeno per quanto riguarda la loro intensità, dallo stato della libido; l’insoddisfazione sessuale aumenta l’aggressività, la soddisfazione la diminuisce.
Secondo questa concezione l’istinto di distruzione è psicologicamente una reazione alla mancanza di soddisfazione sessuale, e la sua base materiale è lo spostamento dell’eccitazione libidinale convogliata verso il sistema muscolare.
Ma è innegabile che l’istinto aggressivo è anche uno strumento dell’istinto di nutrizione e che esso si rinforza particolarmente quando il bisogno di nutrimento non è abbastanza soddisfatto.
A mio parere l’istinto di distruzione è una formazione secondaria e tardiva dell’organismo, determinata dalle condizioni in cui l'istinto di nutrizione e la sessualità sono soddisfatti.
Regolatore della vita istintiva è il “principio piacere-dispiacere”. L’istinto ricerca il piacere e tende ad evitare il dispiacere. La tensione sgradevole del desiderio non può essere soppressa che per mezzo della soddisfazione del bisogno che ne è la causa. Lo scopo dell’istinto è dunque di sopprimere la tensione sopprimendo l’eccitazione che origina l’istinto. Questa soddisfazione procura piacere. Un’eccitazione fisica nella zona genitale, per esempio, provoca un’eccitazione che genera, a sua volta, un bisogno (un istinto) di sopprimere la tensione creatasi. Un’eccitazione fisica degli organi della nutrizione genera la fame e spinge all’ingestione di nutrimento. Questa considerazione causale comporta la considerazione finale, lo scopo a cui tende l’istinto essendo determinato dalla fonte dell’eccitazione. Qui, la psicoanalisi, si oppone completamente alla psicologia individuale di Alfred Adler, a orientamento esclusivamente finalistico.
Tutto ciò che provoca il piacere attira, tutto ciò che provoca il dispiacere respinge: così il principio del piacere determina il movimento, la trasformazione dello stato di cose esistente. La fonte di questa funzione è l’apparato organico degli istinti, in particolare il chimismo sessuale. Soddisfatto il bisogno, sopravviene un periodo di riposo alla fine del quale l’apparato degli istinti si tende di nuovo. Alla base di questa tensione noi troveremo dei fenomeni di assimilazione e disassimilazione.
Ma il modo del funzionamento dei due bisogni umani fondamentali assume la sua forma precisa soltanto nell’esistenza sociale dell’individuo: quest’ultima, in effetti, limita la soddisfazione degli istinti. Nell’enunciare il “principio di realtà”, Freud ha raccolto in esso tutte le limitazioni e tutti i contrasti sociali che tendono a limitare i bisogni o a ritardarne la soddisfazione. Questo “principio di realtà” si oppone dunque in parte al principio di piacere, nella misura in cui esso interdice completamente certe soddisfazioni; ma esso lo modifica anche, in quanto costringe l’individuo a ricercare delle soddisfazioni di compenso o a ritardare determinate soddisfazioni.
Il lattante, per esempio, non deve succhiare il suo nutrimento che ad ore stabilite; la ragazza pubere, nell’attuale società, non può soddisfare immediatamente i suoi bisogni sessuali naturali. Gli interessi economici (il borghese direbbe “interessi culturali”) la costringono a conservare la propria verginità fino al matrimonio, sotto pena di incorrere nel pubblico disprezzo o a rischio di non trovare marito.
Il divieto della soddisfazione diretta dell’erotismo anale, come lo pratica il bambino, è ugualmente la conseguenza del principio di realtà.
Ma la definizione del principio di realtà come esigenza della società resta formale se non si mette in chiaro che il principio della realtà, sotto la forma che esso riveste per noi, è il principio della società attuale. Sono numerose le deviazioni della psicoanalisi per quanto riguarda il modo di concepire il principio di realtà. E così esso è spesso presentato come un dato assoluto. Per adattamento alla realtà si intende semplicemente l’adattamento alla società, il che in pedagogia e nella terapeutica delle nevrosi costituisce innegabilmente una formulazione reazionaria. Concretamente: il principio di realtà nell’epoca capitalistica impone al proletario una limitazione estrema dei suoi bisogni, non senza invocare a questo scopo gli obblighi religiosi di umiltà e modestia. Esso impone anche la forma sessuale monogamica e ben altre cose ancora. Il tutto è basato sulle condizioni economiche; la classe dominante possiede un principio di realtà che serve alla conservazione del suo dominio.
Inculcare questo principio al proletario, farglielo ammettere come assolutamente valido in nome della cultura, equivale a fargli sottoscrivere il proprio sfruttamento, a fargli accettare la società capitalista. Bisogna vedere chiaramente che il principio di realtà, quale è concepito oggigiorno da numerosi psicoanalisti, corrisponde ad un’attitudine conservatrice (benché inconscia, forse) e si trova così in contraddizione con il carattere obiettivamente rivoluzionario della psicoanalisi. Il principio di realtà aveva in origine un altro contenuto, esso si modificherà nella misura in cui si modificherà l’ordine sociale.
Naturalmente anche il contenuto concreto del principio di piacere non è assoluto e cambia con il modo di vita sociale. In un’epoca cui si consacra una grande attenzione alla pulizia, la soddisfazione anale, per fare esempio un esempio, sarà più debole, la tendenza a questa soddisfazione più forte che in una società primitiva; questa differenza si esprime anche qualitativamente nella formazione di determinati tratti del carattere. Che si pensi soltanto all’estetismo edificato sull’erotismo anale ed al diverso significato che esso possiede nella società borghese, nella società primitiva o nel medioevo. Alcuni aspetti della tendenza al piacere sono condannati più energicamente, altri più debolmente; questo dipende naturalmente dalla classe a cui appartiene il bambino. Così le tendenze anali sembrano molto più pronunziate nella borghesia che nel proletariato, mentre, al contrario, gli impulsi genitali sono molto più intensi nel proletariato. Ma anche l’educazione e le condizioni di abitazione entrano nel conto.
La differenza, nelle disposizioni biologiche, non deve essere, senza dubbio, né troppo grande né troppo determinata. Ma, fin dalla nascita, l’ambiente sociale comincia a modellare il contenuto del principio del piacere. Le future ricerche ci diranno forse se le differenze nelle condizioni di nutrizione non agiscono sul germe stesso e non determinino la qualità degli impulsi.
2. La teoria dell’inconscio e della rimozione.
Nell’apparato psichico Freud distinse tre sistemi. Anzitutto il conscio che abbraccia la funzione di percezione dell’apparato sensoriale e l’insieme delle rappresentazioni e dei sentimenti coscienti. Poi, il preconscio, che accoglie tutte le rappresentazioni inconsce in un determinato momento, ma che possono divenire o ridiventare coscienti in ogni momento. Questi due sistemi erano ben conosciuti dalla psicologia preanalitica. Quello che gli studiosi non psicoanalisti classificano come inconscio (paracosciente, subcosciente) fa parte ancora integralmente del sistema del preconscio di Freud. La vera scoperta di Freud riguarda il terzo sistema, l’inconscio, caratterizzato dal fatto che i suoi contenuti non possono divenire coscienti, poiché una censura preconscia sbarra loro l’accesso alla coscienza.
Questa censura non ha nulla di mistico: essa attinge dal mondo esterno un insieme di proibizioni e di regole.
L’inconscio non abbraccia soltanto i desideri e le rappresentazioni proibite, incapaci di diventare coscienti, ma anche (verosimilmente) delle rappresentazioni ataviche, a cui corrispondono i simboli. Anche l’inconscio, però, si modifica con il tempo: l’esperienza clinica mostra infatti che esso ricava dei nuovi simboli dallo sviluppo della tecnica; così, ai tempi degli zeppelin, numerose donne sognavano quelle navi aeree come rappresentazione dell’organo sessuale maschile.
Poiché le ricerche avevano dimostrato che l’inconscio contiene molto di più che la zona vera e propria degli istinti rimossi, Freud si decise a completare la sua teoria sulla struttura dell’apparato psichico. Egli distinse l’es, l’io e il super-io.
L’es, da parte sua, non è al di sopra dei sensi; esprime la porzione biologica della personalità. Una zona di esso è costituita dall’inconscio nel senso precedentemente definito, dalla zona propriamente detta della rimozione.
Che cos’è dunque la rimozione? E’ un processo che si svolge fra l’io e l’aspirazione dell’es. Ogni bambino porta con sé, nascendo, degli istinti e acquista nella sua prima età dei desideri che non può soddisfare, perché la grande società e la piccola – la famiglia - non lo permettono (desideri incestuosi, anali, esibizionistici, sadici, ecc.). La società, nella persona dell’educatore, esige infatti dal bambino ch’egli reprima i suoi desideri.
Il bambino, dotato di un io debole ed obbediente di preferenza al principio di piacere, non vi riesce, spesso, se non eliminando i propri desideri della coscienza e ignorandoli volontariamente. Per mezzo della rimozione i suoi desideri divengono inconsci. Un altro modo - sociale - di soppressione dei desideri irrealizzabili è la sublimazione, contropartita della rimozione: invece di essere rimosso, l’istinto è soltanto deviato verso un’attività sociale possibile.
Noi vediamo dunque che la psicoanalisi non può concepire il bambino senza la società; il bambino non esiste per lei che come essere sociale. La società esercita sugli istinti primitivi un’azione continua: limitatrice, modificatrice, acceleratrice. I due istinti fondamentali si comportano d’altronde in modo diverso. La fame è più rigida, più implacabile, esige più imperiosamente dell’istinto sessuale una soddisfazione immediata: in nessun modo essa può essere rimossa come quest’ultimo.
L’istinto sessuale è modificabile, plastico, sublimabile; le sue tendenze fondamentali sono trasformabili nei loro contrari, ma tuttavia non possono rinunciare ad ogni soddisfazione. L’energia dedicata alle attività sociali, ivi comprese quelle che soddisfano l’istinto sessuale, proviene dalla libido. Dal momento in cui essa cade sotto l’influenza della società, diviene il motore dello sviluppo psichico.
Il motore della rimozione è l’istinto di conservazione dell’io. Esso domina l’istinto sessuale; dal loro conflitto risulta lo sviluppo psichico. Fatta astrazione dal suo meccanismo e dai suoi effetti, la rimozione è un problema sociale perché i suoi contenuti e i suoi modi dipendono dalla vita sociale dell'individuo. Essa è ideologicamente concentrata in una somma di formule, di prescrizioni e interdizioni, nel super-io. Delle grandi porzioni ne sono d’altronde incoscienti.
La psicoanalisi riconduce tutta l’etica umana alle influenze dell’educazione e rifiuta così di attribuire alla morale un carattere metafisico, come, ad esempio, la nozione morale di Kant. Essa analizza la morale con uno spirito materialistico, mettendola in rapporto con l’esperienza e con l’istinto di conservazione, e anche con il timore del castigo. Nel bambino la morale appare o come paura della punizione, o come amore per gli educatori.
Quando infine Freud parla di una “morale inconscia” e dei “sentimenti inconsci di consapevolezza”, egli intende dire soltanto con questo che, assieme ai desideri proibiti, sono anche rimossi alcuni elementi del senso di colpa: il che è, per esempio, ciò che succede con la proibizione dell’incesto. Jurinetz non ha compreso nulla della nozione del sentimento incosciente di colpa quando egli pensa che, con esso, si ammetta indirettamente un’essenza morale originaria dell’io, una specie di peccato metafisico. Malgrado la psicoanalisi che applicano, e per non si sa quali ragioni, alcuni analisti possono credere nella morale e nella divinità originaria dell’uomo, ma essi non derivano certo questa fede dalla psicoanalisi. Al contrario la psicoanalisi distrugge radicalmente e scientificamente una simile credenza, negando alla filosofia il diritto di discutere della morale. Lasciamo che ogni psicoanalista risolva a modo proprio il conflitto fra la sua credenza in una morale metafisica e in un Dio e
le sue convinzioni psicoanalitiche. Non è fondato inquietarsi per la psicoanalisi finché essa non comincia a smarrirsi nelle speculazioni metafisiche. La teoria del senso inconscio di colpa non demolisce quindi la teoria dell’inconscio come teme Jurinetz, poiché, al contrario, essa rimanda a basi materiali l’apparizione della morale.
Noi abbiamo mostrato fino ad ora che l’es, come il super-io, sono ben lontani dall’essere delle costruzioni metafisiche e che il loro contenuto si può ricondurre completamente a bisogni e ad attività reali del mondo esteriore.
Certo, l’opera di Freud, Al di là del principio del piacere, si prestava a far nascere delle concezioni erronee nella psicoanalisi. Il suo stesso autore ha criticato, però, questo lavoro sia oralmente che per iscritto, specificando che esso non si trova affatto sul terreno della psicoanalisi clinica. Se, ciononostante, esso è stato il punto di partenza di speculazioni completamente inconsistenti legate all’ipotesi dell’istinto di morte, questo dipende dal fatto che la teoria della libido è molto scomoda per l’ideologia borghese ed essa la cambia ben volentieri con un ipotesi meno scabrosa.
La natura materiale dell’io non può essere messa in dubbio per il fatto stesso che essa è legata a tutto il sistema percettivo degli organi sensoriali. In seguito, e come abbiamo già detto, l’io deriva per Freud dall’influenza delle eccitazioni materiali sull’apparato degli istinti. Esso non è per lui che una porzione particolarmente differenziata dall’es, un paraurti, una specie di organo protettivo fra l’es e il mondo reale. L’io non è libero nel proprio modo di agire; esso dipende dall’es e dal super-io, vale a dire dal biologico e dal sociale.
La psicoanalisi combatte dunque il libero arbitrio e la sua concezione quadra completamente con quella di Engels: «Il libero arbitrio non è nient’altro che l’attitudine a poter decidere con cognizione di causa». La corrispondenza è così perfetta ch’essa si esprime perfino nella concezione fondamentale della terapeutica analitica delle nevrosi: prendendo conoscenza di ciò che è rimosso, riconducendo alla coscienza il suo inconscio, il malato raggiunge la possibilità di decidere “con miglior cognizione di causa” di quanto le sue tendenze essenziali restavano incoscienti. Naturalmente questo non è ancora il libero arbitrio nel senso in cui l’intendono i metafisici; esso è sempre limitato dalle esigenze dei bisogni naturali. Quando i desideri sessuali, per esempio, sono divenuti coscienti, il malato non può decidersi a rimuoverli di nuovo; gli è ugualmente impossibile di optare per la continenza durevole, ma egli può proporsi di vivere in astinenza per un certo tempo. Dopo un’analisi riuscita l'io non ha affatto scrollato il legame che lo subordina all’es e alla società, ha soltanto imparato a risolvere meglio i conflitti.
Dalle condizioni che presiedono alla loro apparizione risulta che l’io (in parte) o il super-io (per intero) comprendono nel loro contenuto completo istanze tratte dalla loro vita sociale. All’epoca di Platone il super-io femminile è essenzialmente differente da ciò che esso è nella società capitalista e i contenuti del super-io si modificano naturalmente nella misura in cui, in una società data, è ideologicamente in preparazione la società che seguirà.
Questo processo vale per la morale sessuale come vale per l’ideologia della proprietà sacrosanta. Esso varia anche a seconda del posto che occupa l’individuo nel processo di produzione. Ma, in qual modo l’ideologia agisce sull’individuo? La sociologia marxista ha dovuto scartare questa questione come non di sua competenza; in compenso la psicoanalisi può rispondere ad essa: la famiglia, tutta imbevuta dell’ideologia sociale, e che anzi della società costituisce la basilare cellula ideologica, rappresenta la società stessa agli occhi del bambino finché egli non sia entrato nel processo di produzione. Il rapporto edipico comporta non solo atteggiamenti istintivi; il modo in cui il bambino reagisce al complesso di Edipo e lo supera è infatti condizionato indirettamente tanto dall’ideologia sociale che dal posto occupato dai genitori nella produzione, di modo che, i destini del complesso di Edipo, come tutto il resto, dipendano in ultima analisi dalla struttura economica della società. Ma c’è di più: il fatto stesso che il complesso di Edipo possa apparire, è imputabile alla particolare struttura della famiglia, determinata dalla società.
Dovremmo attendere il prossimo capitolo per giungere al momento di studiare la natura storica, non soltanto nelle forme, ma anche nell’esistenza, del complesso edipico.
III. LA DIALETTICA DELLA VITA MENTALE.
Passiamo ora ad un nuovo problema: le nozioni materialistiche dell’analisi hanno esse rivelato la dialettica dei processi psichici? Prima di rispondere ricordiamo i principi essenziali del metodo dialettico, quale fu elaborato da Marx e Engels ed applicato dai loro discepoli. La dialettica materialistica di Marx apparve come il rovesciamento della dialettica idealistica di Hegel, vero e proprio fondatore del metodo dialettico. Hegel considerava la dialettica dei concetti come il fattore primo dello sviluppo storico e non vedeva nel mondo reale che il riflesso di idee e concetti che si evolvono dialetticamente. Marx rovesciò in senso materialistico questa concezione del mondo; per usare la sua espressione egli rimise “in piedi dalle fondamenta” tutto l’edificio hegeliano, riconoscendo nel fenomeno materiale il fattore primo a cui sono subordinate le idee. Ma prendendo in prestito da Hegel la concezione dialettica del fenomeno egli spazzò via ad un tempo e l’idealismo metafisico di Hegel e il materialismo meccanicistico del XVIII secolo. I principi essenziali del materialismo dialettico sono i seguenti:
1) La dialettica non è soltanto una forma del pensiero; essa esiste nella materia indipendentemente dal pensiero; detto diversamente, il movimento della materia è obiettivamente dialettico. Il dialettico materialistico non pone nella materia ciò che si trova soltanto nella sua testa; ma con l’ausilio dei suoi sensi e del suo pensiero - anche esso soggetto alle leggi della dialettica - egli abbraccia direttamente il fenomeno materiale della realtà obiettiva. E’ chiaro che questo punto di vista è esattamente agli antipodi dell’idealismo Kantiano[10].
2) Lo sviluppo, non soltanto della società, ma anche di tutti gli altri fenomeni, compresi i fenomeni naturali, non deriva, come affermano i metafisici (siano essi materialisti o idealisti) da un “principio di sviluppo” o da una “tendenza allo sviluppo inerente a tutte le cose”; questo sviluppo deriva da una contraddizione interiore; da contraddizioni contenute nella materia, da un conflitto fra queste contraddizioni; conflitto che non può essere risolto nel modo di esistenza dato e che quindi le contraddizioni spezzano per crearne un altro, in cui appaiono nuove contraddizioni, e via di seguito.
3) Obiettivamente, ciò che genera lo sviluppo dialettico non è né buono né cattivo, ma inevitabile e necessario.
Tuttavia ciò che ha cominciato col favorire lo sviluppo può finire col paralizzarlo.
Così, il modo di produzione capitalistico ha dato dapprima un’energica spinta allo sviluppo delle forze produttive della tecnica, per diventare in seguito, per il gioco delle contraddizioni immanenti, un impaccio a questo sviluppo. Il modo di produzione socialista libera lo sviluppo da questo impaccio.
4) Lo sviluppo dialettico risultante dalle contraddizioni fa sì che niente sia durevole; tutto ciò che è, porta in sé il germe della propria scomparsa. Come Marx ha dimostrato, una classe che vuol consolidare il proprio dominio non può accettare la concezione dialettica sotto pena di condannare a morte se stessa. Nel suo balzo in avanti, la borghesia ha procreato una classe, il proletariato, le cui condizioni di esistenza implicano la sparizione del capitalismo. Ed è per questo che soltanto la classe proletaria può riconoscere praticamente e integralmente la dialettica, mentre la borghesia deve necessariamente marcire nell’idealismo assoluto.
5) Ogni sviluppo è l’espressione e la conseguenza di una doppia negazione; negazione della negazione. Prendiamo, ancora una volta, un esempio dell’evoluzione sociale.
La produzione di merci fu la negazione del comunismo primitivo, in cui non si producevano che valori d’uso. L’ordine economico socialista è la negazione della primitiva negazione; esso nega la produzione di merci e giunge, per via indiretta, ad una tappa superiore, all’affermazione di ciò che fu negato, alla produzione dei valori d’uso, al comunismo.
6) Le contraddizioni non sono assolute, ma si compenetrano l’un l’altra; ad un momento determinato, la quantità si trasforma in qualità. Ogni causa di un dato effetto è nello stesso tempo effetto di quest’ultimo che agisce come causa.
Non v’è semplicemente azione reciproca di fenomeni nettamente separati, ma compenetrazione di questi fenomeni, azione e reazione dell’uno sull’altro. Inoltre, in determinate condizioni, un elemento può trasformarsi nel proprio contrario.
7) Lo sviluppo dialettico è progressivo, ma in certi momenti esso avanza per sbalzi. Raffreddata progressivamente, l’acqua diviene ghiaccio a poco a poco; ma, ad un certo punto, la qualità acqua si trasforma bruscamente in qualità ghiaccio.
Questo non significa che il cambiamento sia sorto all’improvviso dal niente; esso si è infatti sviluppata a poco a poco, dialetticamente fino al salto. Ed ecco come la dialettica risolve anche, sena sopprimerla, la contraddizione evoluzione-rivoluzione. La trasformazione dell’ordine sociale è dapprima preparata dall’evoluzione (socializzazione del lavoro, proletarizzazione della maggioranza, ecc.), poi realizzata dalla rivoluzione.
Proviamo ora, studiando alcuni fenomeni tipici della vita mentale rivelati dall’analisi, a mettere in evidenza la loro dialettica, la quale, lo ripetiamo, non avrebbe potuto rivelarsi senza la psicoanalisi.
Prendiamo prima di tutto come esempio la formazione dialettica del sintomo nella nevrosi, descritta per la prima volta da Freud. Secondo Freud, il sintomo nevrotico prende origine dal fatto che l’io, socialmente sottomesso, si difende dapprima contro un impulso istintivo e poi lo rimuove. Ma la rimozione di un impulso istintivo non costituisce da solo un sintomo; occorre per questo che l’istinto rimosso tenti di tornare di nuovo
alla ribalta sotto una forma mascherata, divenuta così sintomo. Secondo Freud il sintomo contiene nello stesso tempo sia l’impulso contro cui il soggetto si difende e la difesa stessa; il sintomo tiene conto delle due tendenze opposte.
In che risiede, dunque, la dialettica del modo di formazione del sintomo? L’io dell’individuo è sottoposto alla pressione di un “conflitto psichico”. La situazione contradditoria, creata da una parte dall’impulso istintivo, dall’altra dalla realtà che rifiuta o punisce la soddisfazione, esige una soluzione. L’io è troppo debole per sfidare la realtà, troppo debole anche per dominare l’istinto.
Questa debolezza, conseguenza a sua volta di un’evoluzione anteriore, di cui la trasformazione del sintomo non rappresenta che una fase, è dunque il terreno su cui si svolge il conflitto; quest’ultimo è risolto nella seguente maniera: obbedendo alle esigenze sociali, in realtà per non sparire o per non essere punito, ossia per istinto di conservazione, l’io rimuove l’istinto in causa. La rimozione è dunque la conseguenza di una contraddizione insolubile per la coscienza. Poiché l’istinto è diventato incosciente, il conflitto ha trovato una temporanea soluzione, per la verità, patologica. Seconda fase: dopo la rimozione del desiderio, nello stesso negato ed affermato dall’io, l’io stesso si trova modificato: la sua coscienza si è impoverita di un elemento (l’istinto) e arricchita di un altro (la pacificazione passeggera). Ma, sia esso rimosso o cosciente, l’istinto non può rinunziare alla propria soddisfazione; lo può ancor meno in quanto rimosso, dato che non è più neppure sottomesso al controllo della coscienza. La rimozione si evolve verso la sua sparizione: essa dà luogo, infatti, ad una forte accumulazione di energia istintiva che finisce per sfogarsi rompendo la rimozione. Questo nuovo processo è il risultato della contraddizione fra la rimozione e l’accumulazione di energia; proprio come la rimozione stessa era la conseguenza della contraddizione fra il desiderio istintivo e il rifiuto del mondo esteriore (sotto la condizione: debolezza dell’io). Non esiste dunque una “tendenza” alla formazione del sintomo: come abbiamo potuto vedere, lo sviluppo risulta dalle contraddizioni del conflitto psichico. Assieme alla rimozione noi abbiamo la condizione che prelude alla sua rottura: l’accumulo di energia derivante dall’istinto insoddisfatto. La rottura della rimozione, nella seconda fase, non ci riporta allo stato primitivo? Sì e no. Sì, in quanto l’istinto domina di nuovo l’io; no, in quanto esso si trova nella coscienza sotto forma modificata, mascherata, sotto forma di sintomo. Quest’ultimo contiene l’elemento antico: l’istinto, e nello stesso tempo il suo contrario, la resistenza dell’io. Nella terza fase (sintomo), gli elementi antagonistici iniziali sono dunque riuniti in uno stesso fenomeno. Quest’ultimo è la negazione (rottura) della negazione (della rimozione). Arrestiamoci un momento per illustrare con un esempio concreto l’esperienza psicoanalitica.
Prendiamo il caso di una donna sposata che ha paura di essere assalita da banditi immaginari a colpi di coltello. Essa non può star sola in una stanza e sospetta che ogni angolo nasconda un feroce criminale. L’analisi rivela quanto segue:
Conflitto psichico e rimozione (prima fase). Prima del suo matrimonio questa donna ha conosciuto un uomo che le faceva delle proposte a cui ella avrebbe volentieri acconsentito se non fosse stata moralmente impedita. Essa ha potuto liquidare questo conflitto consolandosi con la prospettiva del matrimonio. Ma l’uomo la lasciò; essa ne sposò un altro senza riuscire a dimenticare il primo, la cui immagine non smetteva di tormentarla.
Dopo averlo incontrato di nuovo, e lla fu in preda a un grave conflitto fra il suo desiderio e il suo rispetto della fedeltà coniugale. In queste condizioni il conflitto era insopportabile e insolubile, poiché il suo desiderio era altrettanto forte che i suoi principi morali. Essa cominciò ad evitare l’uomo (resistenza), poi finì per dimenticarlo. In realtà non si trattava di vero oblio, ma di una rimozione. Ella si credette guarita e non pensò più a lui, almeno coscientemente.
Rottura della rimozione (seconda fase). Qualche tempo dopo essa ebbe una violenta lite con suo marito perché flirtava con un’altra donna. Come apparve molto più tardi, essa fece questo ragionamento, durante la lite: «Se tu ne hai il diritto, io sarei ben stupida a non permettermi la stessa cosa»; sotto i suoi occhi si era allora designata l’immagine del primo uomo amato. Ma l’idea era troppo pericolosa; non avrebbe potuto evocare tutto l’antico conflitto? E allora quest’idea cosciente cesso di occuparla; essa l’aveva di nuovo rimossa. Ma nel corso della notte seguente apparve uno stato di angoscia; essa ebbe bruscamente l’impressione che uno straniero scivolasse verso il suo letto per violarla. L’istinto era tornato alla coscienza sotto una forma mascherata, sotto l’aspetto del suo diretto contrario: lo straniero non era più desiderato, ma temuto. Questo travestimento (terza fase) era la base della formazione del sintomo. Se noi analizziamo ora il sintomo stesso, vediamo nel fatto che un uomo scivoli verso il letto della donna durante la notte, la realizzazione di un desiderio rimosso, quello di commettere l’adulterio. (L’analisi attenta rivelò che, senza saperlo, essa aveva realizzato l’immagine del suo primo amore: la statura, il colore dei capelli, ecc. erano identici). Ma il sintomo in questione contiene anche la resistenza, il timore dell’istinto, che appare come la paura dell’uomo. Più tardi, l’elemento “essere violata” fu sostituito con la paura di “essere assassinata”, corrispondente per conseguenza ad un nuovo travestimento del contenuto, fino a quel momento troppo trasparente, del sintomo.
Questo esempio ci mostra non soltanto la fusione in un solo fenomeno di due contraddizioni inizialmente separate, ma anche la trasformazione del fenomeno nel suo contrario, del desiderio in angoscia. Questa trasformazione dell’energia sessuale in angoscia, una delle principali e fondamentali scoperte di Freud, presume che, in determinate condizioni, la stessa energia possa produrre un risultato contrario a quello che essa produrrebbe in altre condizioni.
Nel nostro esempio si esprime anche un altro principio di esperienza dialettica. Il nuovo (il sintomo) contiene anche l’antico (la libido); tuttavia, l’antico non è più identico a se stesso; esso è nello stesso tempo divenuto qualche cosa di interamente nuovo, ossia l’angoscia. Ma la contraddizione dialettica tra libido e l’angoscia si risolve anche in un altro modo, partendo dalle contraddizioni fra l’io e l’ambiente. Prima di abbordare questo argomento, citiamo qualche piccolo esempio per illustrare anche meglio la dialettica dello psichismo. Prendiamo il passaggio dalla quantità alla qualità; la rimozione o il semplice soffocamento di un impulso istintivo è, fino ad un certo punto, piacevole per l’io, poiché esso sopprime un conflitto, ma, a partire da un grado determinato, il piacere si trasforma in dispiacere. La leggera eccitazione di una zona erogena incapace di dar luogo alla soddisfazione finale, è piacevole; ma se l’eccitazione si prolunga, il piacere si trasforma in dispiacere.
La tensione e la distensione sono nozioni e fenomeni dialettici. Niente mette questo in evidenza meglio dell’istinto sessuale. La tensione di un’eccitazione sessuale accresce il desiderio, ma la soddisfazione, raggiunta proprio nel corso dell’eccitazione, diminuisce questa tensione, che è dunque, nello stesso tempo, distensione. La tensione di uno sforzo prepara la sua distensione.
Inversamente, la distensione si produce al massimo della tensione - per esempio nell’atto sessuale, o a teatro nelle scene che preludono alla soluzione - pur essendo anche il punto di partenza di una nuova tensione.
Il principio dell’identità dei contrari appare nella nozione della libido narcisistica e della libido dell’oggetto. Secondo Freud l’amore di sé e l’amore dell’oggetto non sono che dei contrari; l’amore dell’oggetto proviene dalla libido narcisistica e può in ogni momento ritornare al suo punto di partenza; ma nella misura in cui entrambi rappresentano delle tendenze amorose, essi sono identici; molto spesso essi tornano ad una sorgente comune, l’apparato sessuale somatico e il “narcisismo primitivo”. Prendiamo ora le nozioni di “conscio” e “inconscio”. Esse sono dei contrari; ma, nelle nevrosi coatte, si dimostra che essi possono essere nello stesso tempo contrari e identici.
I malati che ne sono colpiti rimuovono delle rappresentazioni nella maniera seguente: essi si contentano di distogliere da esse la propria attenzione, di spogliarle dei loro ornamenti affettivi; la rappresentazione “rimossa” è nello stesso tempo cosciente e tuttavia incosciente, vale a dire che il malato la può produrre, ma ne ignora il significato. Le nozioni dell’io e dell’es esprimono anche esse dei contrari identici: l’io non è che una frazione particolarmente differenziata dell’es; ma in certe speciali condizioni esso ne diviene l’avversario, l’antagonista funzionale.
Il concetto dell’identificazione corrisponde non solamente ad un fenomeno dialettico ma anche a un’identità di contrari. Per Freud l’identificazione consiste nel fatto che il soggetto “si appropria” del suo educatore (o si identifica con esso); questo educatore è amato e odiato nello stesso tempo e il soggetto fra propri i principi e le qualità di quest’ultimo. In genere la relazione di oggetto sparisce a questo punto. L’identificazione mette fine allo stato di relazione d’oggetto; essa è di conseguenza il suo contrario, la sua negazione; tuttavia essa mantiene questa relazione d’oggetto sotto un’altra forma e costituisce per conseguenza anche un’affermazione.
Si trova alla base di questa situazione il conflitto seguente: «Io amo x, educatore; egli mi vieta molte cose e perciò io lo odio e vorrei distruggerlo, sopprimerlo; ma io lo amo, ed è per questo che vorrei anche conservarlo». Questa contraddizione, che non potrebbe sussistere quale essa è a partire dal momento in cui gli impulsi antagonistici raggiungono una certa intensità, si può risolvere nel modo seguente: «Io lo assorbo, io mi identifico con lui, io lo distruggo (vale a dire io distruggo i miei rapporti con lui) nell’ambiente, ma lo conservo in me, modificato; io l’ho distrutto e nello stesso tempo conservato».
Nella nozione psicoanalitica d’ambivalenza, quella del sì e del no concomitanti, si trova egualmente una folla di fenomeni dialettici, di cui noi sottolineeremo qui i più salienti, la trasformazione dell’amore in odio e viceversa.
Odio può significare in realtà amore, e viceversa. Queste due tendenze sono identiche nella misura in cui permettono, entrambe, dei rapporti intensi con l’altra persona. La trasformazione nel contrario è una proprietà che Freud attribuisce agli istinti in genere.
Tuttavia, in questa trasformazione, l’antico non sparisce: esso rimane integralmente conservato nel suo contrario.
Nello stesso modo, i contrari “perversioni e nevrosi” si risolvono dialetticamente in quanto ogni nevrosi è una perversione negata e viceversa.
La rimozione sessuale secolare ci mostra un bell’esempio di sviluppo dialettico.
Fra i primitivi esiste un violento antagonismo fra il tabù dell’incesto riguardante la sorella (e la madre) e la licenza sessuale riguardo alle altre donne. Ma la limitazione sessuale si estende sempre più, prima ai cugini, poi a tutte le donne dello stesso clan, poi, estendendosi ancora, finisce per trasformarsi qualitativamente, dando luogo ad una nuova attitudine verso la sessualità in genere: questo è ciò che accade, per esempio, con il patriarcato e in particolare con l’istituzione del cristianesimo. A sua volta, la rimozione accentuata della sessualità provoca in genere il suo contrario, nel fatto che il tabù delle relazioni infantili fra fratelli e sorelle è effettivamente spezzato. A causa della rimozione sessuale troppo pronunciata, gli adulti non sanno più nulla della sessualità infantile, e i giochi sessuali fra fratelli e sorelle non sono più considerati sessuali e sono ammessi come cose naturalissime nelle famiglie più “distinte”.
Il primitivo non ha neppure il diritto di guardare sua sorella; quanto al resto egli è completamente libero dal punto di vista sessuale; il civilizzato esaurisce la propria sessualità infantile sulla sorella; quanto al resto è ostacolato da severi principi morali.
Vediamo ora in quale misura la psicoanalisi abbia rivelato la dialettica della psicologia anche per quanto riguarda lo sviluppo generale dell’individuo nella società. In quest’ordine di idee noi dovremmo considerare due questioni importanti.
Prima di tutto, si può derivare la dialettica dei fenomeni psichici dalla contraddizione primitiva (di nuovo risolvibile) fra l’io (l’istinto) e l’ambiente?
Poi, come avviene che la concezione razionale e la concezione irrazionale delle qualità individuali si contraddicano l’un l’altra e passino tuttavia dall’una all’altra?
Abbiamo già esposto nel primo capitolo la concezione della psicoanalisi freudiana secondo la quale, psichicamente, l’individuo viene al mondo come un fascio di bisogni e istinti corrispondenti a questi bisogni. Essere sociale, si egli inserisce immediatamente con i suoi bisogni nella società, non soltanto nella società ristretta della famiglia, ma indirettamente, per l’intermediario dei bisogni economici dell’esistenza familiare, nella società nel senso largo della parola. Riportata alla sua più semplice espressione, la struttura economica della società - grazie a numerosi legami: classe sociale dei genitori, condizioni economiche della famiglia, ideologia, rapporti tra genitori fra di loro, ecc. - agisce sull’istinto dell’io del neonato.
Se questo modifica il suo ambiente, l’ambiente modificato reagisce a sua volta su di lui. L’armonia regna se gli istinti sono parzialmente soddisfatti. Ma nella maggior parte dei casi sorge una contraddizione fra i bisogni istintivi e l’ordine sociale di cui, come abbiamo detto, la famiglia (più tardi la scuola) sono le rappresentanti. Questa contraddizione crea un conflitto tra individuo e società, che darà origine dialetticamente a certe modificazioni; e, poiché l’individuo è l’avversario più debole, queste modificazioni sopravvengono nella sua struttura psichica. Simili conflitti, risultanti da contraddizioni che sarebbero insolubili se il bambino fosse dotato di una struttura immutabile, variano ogni giorno, ad ogni ora, e costituiscono dei veri e propri elementi motori. Si parla, è vero, in psicologia, di una disposizione, di tendenza allo sviluppo, ecc., ma i fatti rivelati finora dallo sviluppo della prima infanzia militano unicamente in favore dello sviluppo dialettico descritto sopra, in favore dello sviluppo per contraddizioni, di tappa in tappa. Si distinguono delle fasi nello sviluppo della libido: si dice che la libido attraversa queste fasi di sviluppo, ma l’osservazione dimostra che, senza il rifiuto della soddisfazione dell’istinto, nessuna fase potrebbe realmente succedere alla precedente.
Così il rifiuto della soddisfazione dell’istinto, per il conflitto che genera nel bambino, diviene il motore del suo sviluppo. Mettiamo da un lato la parte di questo sviluppo determinata dall’eredità, perché si può difficilmente rappresentare come tale, per esempio, la disposizione delle zone erogene e dell’apparato percettivo. Questa parte costituisce un dominio ancor oscuro delle ricerche biologiche. Il problema della natura della sua dialettica non si affronta qui. Dovremo fare i conti con essa, ma ci contentiamo della formula di Freud, secondo la quale la predisposizione degli istinti ha la stessa importanza dell’esperienza nello sviluppo.
A fianco delle soddisfazioni dell’istinto, le proibizioni rappresentano una parte di primo piano come fattori di sviluppo. La contraddizione fra l’istinto dell’io e il mondo esterno finisce per divenire una contraddizione interna; proprio sotto l’influenza del mondo esteriore comincia a svilupparsi nell’apparato psichico un elemento moderatore, il super-io.
Ciò che era dapprima il timore del castigo diviene divieto morale. Il conflitto fra l’istinto e il mondo esterno diventa conflitto fra l’io e il super-io. Non dimentichiamo, tuttavia, che tutti e due sono di natura materiale, poiché il primo si nutre della vita organica, il secondo si è edificato, in ultima analisi, sull’io, nell’interesse dell’istinto di conservazione.
L’istinto di conservazione (narcisismo) limita l’istinto e l’aggressività. Così due bisogni fondamentali, che dapprima - nel lattante e più tardi in numerose situazioni - formano un tutt’unico, entrano in opposizione e, di conflitto in conflitto, spronano allo sviluppo; e questo non a caso, ma a causa proprio della costrizione sociale. Se i conflitti interiori ed esteriori determinano in modo generico lo sviluppo, l’esistenza riempie delle sue rappresentazioni e dei suoi contenuti attuali sia i fini istintivi che gli obblighi morali. La psicoanalisi può quindi conformare interamente la tesi di Marx, secondo la quale è precisamente l’esistenza sociale che determina la “coscienza”, vale a dire le rappresentazioni, i fini degli istinti, le ideologie sociali, ecc., e non il contrario.
Essa dà a questa tesi un contenuto concreto per quel che riguarda lo sviluppo infantile. Ciò non esclude tuttavia che l’intensità dei bisogni (condizionati somaticamente) e anche alcune differenze qualitative dello sviluppo siano determinate dall’apparato sessuale.
Non vi è qui la “deviazione idealistica” - rimprovero che mi hanno fatto molti marxisti – ma accordo completo con la tesi di Marx, secondo la quale gli uomini fanno la propria storia, ma soltanto in determinate condizioni sociali. In una lettera, Engels protesta contro questa idea che la produzione economica e la riproduzione della vita reale costituiscono il solo fattore determinante nello sviluppo delle ideologie. Esse costituiscono questo fattore determinante, ma soltanto in ultima istanza[11].
Tradotta in sociologia, la tesi principale di Freud, quella dell’importanza del complesso di Edipo per lo sviluppo dell’individuo, significa molto semplicemente che l’esistenza sociale determina questo sviluppo. Le tendenze e gli istinti umani, forme vuote pronte a ricevere dei contenuti sociali, subiscono un’elaborazione (sociale) nei rapporti col padre, la madre, i maestri, e soltanto allora assumono la loro forma e il loro contenuto definitivo.
La dialettica dello sviluppo psichico non appare soltanto dal fatto che il conflitto è suscettibile, a seconda del rapporto di forze delle contraddizioni presenti, di dar luogo a risultati opposti, ma anche da quest’altro fatto, di esperienza clinica, che i tratti caratteriali possano, in un dato conflitto, trasformarsi nel loro diretto opposto, presente già in germe nella prima soluzione del conflitto. Un bambino crudele può diventare l’adulto più sensibile, benché un’analisi penetrante possa scoprire l’antica crudeltà nella sua sensibilità. Il bambino più sudicio può, divenuto grande, essere un maniaco della pulizia; il curioso diventerà il più scrupoloso dei discreti. La sensualità si trasforma facilmente in ascetismo.
Più una proprietà si manifesta con intensità e più facilmente essa si trasforma nel suo contrario, in determinate circostanze (reazione).
Ma con lo sviluppo e la trasformazione, l’antico non sparisce del tutto. Mentre una parte della qualità si trasforma, per dar luogo alla qualità contraria, l’altra parte rimane intatta, benché subisca con il tempo delle modifiche morfologiche, dovute ai mutamenti di tutta la personalità. La nozione freudiana di ripetizione rappresenta una parte importante nella psicologia dello sviluppo mentale e appare come perfettamente dialettica ad un profondo esame. In ciò che è stato riprodotto, noi troviamo ciò che è vecchio e ciò che è completamente nuovo, l’antico avvolto in panni nuovi, in una nuova funzione. L’abbiamo già visto nel sintomo. Ed accade la stessa cosa nella sublimazione.
Prendiamo un bambino che giocava volentieri con gli escrementi, che si divertiva più tardi ad edificare castelli con della sabbia umida e che, divenuto adulto, finisce per manifestare una seria inclinazione per l’architettura; nelle tre fasi si trova la primitiva inclinazione, e tuttavia sotto una forma ed una funzione diversa. Un altro esempio ci è fornito dalla storia del chirurgo e del ginecologo: il primo sublima il proprio sadismo (tagliare), il secondo il suo piacere infantile visuale e tattile. Il giudicare questi fatti non può essere opera che della critica empirica e, in nessun modo, della critica metodologica.
Chi non ha analizzato un chirurgo non ha il diritto di negare quest’affermazione.
Ma dal punto di vista metodologico, si può formulare una seria obiezione: cioè che l’attività umana dipende dalle condizioni economiche di esistenza. Ora, la psicoanalisi pretende solo che una o l’altra forma di sublimazione dipendano dalle condizioni esistenziali soggettive, nel senso di rispecchiare il carattere (sadico, narcisistico, ecc.) degli individui. Per il resto la forma di sublimazione è, non occorre dirlo, interamente determinata dalle condizioni economiche; difatti è soprattutto la posizione economica di un individuo che lo porterà a sublimare il suo sadismo come macellaio, come chirurgo o come poliziotto.
Una tale sublimazione può anche diventare possibile per delle ragioni sociali; da cui il malcontento nei riguardi della posizione imposta dalle condizioni sociali. Dal punto di vista metodologico bisogna anche domandarsi come il carattere innegabilmente razionale dell’attività si concilii col suo significato irrazionale, che è pur esso innegabile. E’ per guadagnarsi la vita, dunque per delle ragioni economiche, razionali, che il pittore dipinge, che l’ingegnere costruisce, che il chirurgo opera e che il ginecologo assiste. Il lavoro, inoltre, è un fattore sociale, quindi perfettamente razionale. Come si può conciliare questo fatto con la spiegazione psicoanalitica secondo la quale l’individuo, nel proprio lavoro, sublima un istinto ch’egli soddisfa per questa via indiretta?
Molti psicoanalisti non apprezzano nel suo giusto valore il carattere razionale dell’attività umana. Si trova fra di essi una confusione filosofica che non vuole vedere nei prodotti dell’attività umana se non la proiezione e la soddisfazione degli istinti. Un analista ha però fatto notare, ironicamente, che un aeroplano era certo un simbolo del pene, ma che nello stesso tempo poteva servire a volare da Berlino a Vienna.
Il problema del rapporto fra il razionale e l’irrazionale[12] si pone anche in un altro ordine di fatti. I lavori della terra, si tratti di aratura o di semina, per la società come per l’individuo, tendono alla produzione di alimenti. Ma questi atti hanno anche il senso simbolico di un incesto con la madre (“la terra, madre nutrice”)[13]. Il razionale attira il simbolico, si riempie di significato simbolico. Il rapporto fra l’attività razionale e il significato irrazionale, simbolico, che essa possiede, appare nel ritmo di due funzioni: penetrazione di uno strumento in una qualsiasi materia, piantagione di un germe e produzione di un frutto, da parte della materia lavorata in questo modo. Così il simbolismo è giustificato. Il fatto che la madre debba, come la terra, portare i suoi frutti, dopo essere stata lavorata con uno strumento (simbolo del pene), mostra che ciò che sembrava privo di senso ne possiede e che tutto il simbolismo poggia sul fondo di realtà. Molte popolazioni primitive erigono dei falli - simboli di fecondità - sui campi che hanno seminato, e questo atto magico, obiettivamente inutile, chiarisce un certo aspetto del rapporto fra il razionale e l’irrazionale: si tratta qui di un tentativo magico fatto per meglio raggiungere un determinato scopo, mettendo in azione dei mezzi irrazionali. L’atto razionale, in questo caso lavoro e semina, non è per questo trascurato.
Il rapporto sessuale che appare irragionevolmente nell’agricoltura come un elemento simbolico è, in se stesso, utile e sensato, serve alla soddisfazione del bisogno sessuale, come l’atto di seminare serve all’istinto di conservazione. Una volta ancora noi vediamo che non vi sono delle contraddizioni assolute e che la contraddizione fra il razionale e l’irrazionale è risolta così in modo dialettico.
Il fatto dialettico che nel razionale si trovi dell’irrazionale, e viceversa, dev’essere considerato più da vicino. L’esperienza psicoanalitica permette di dare a questo discorso una risposta. Essa insegna che le attività umane socialmente utili possono acquistare un significato simbolico, ma non l’acquistano necessariamente. E così accade nel sogno, per esempio, quando sorge l’immagine di un coltello o di un albero: esso può essere un simbolo del pene, ma non lo è necessariamente, poiché il soggetto può aver pensato ad un coltello o ad un albero reale. E quando il simbolo appare nel sogno, il senso razionale non ne è affatto escluso: infatti, se si cerca di sapere attraverso l’analisi perché il pene è stato rappresentato proprio sotto la forma di un coltello o di un albero, invece che come un bastone o un altro oggetto, si trova, nella maggior parte dei casi, una spiegazione razionale. E’ così che una ninfomane si masturbava con un coltello che, senza dubbio, rappresentava un pene. Ma la scelta del coltello era stata determinata dal fatto che sua madre le aveva un giorno lanciato un coltello che l’aveva ferita. Nella sua masturbazione predominava l’idea che con il coltello essa dovesse distruggere il suo organismo. Questo modo di agire, divenuto più tardi irrazionale, era dapprima del tutto razionale e serviva alla soddisfazione sessuale.
Alla luce di questi esempi che potremmo moltiplicare all’infinito, si vede che tutti gli atti che appaiono irrazionali, quando li si esamini, hanno avuto, in un determinato momento, un significato razionale. Ogni sintomo, irrazionale in se stesso, possiede un senso quando l’analista lo sa mettere in rapporto con la sua origine. Il risultato di questa concezione è che tutta l’azione infantile-istintiva, che corrisponde alla tendenza razionale verso il piacere, diviene azione irrazionale quando ha subìto una rimozione o una sorte analoga.
L’elemento primitivo è dunque il razionale.
Prendiamo ad esempio la costruzione meccanica; vi troviamo degli elementi irrazionali, come la soddisfazione simbolica di un desiderio inconscio[14]. Il che vuol dire che, nella sublimazione, una forza istintiva che aveva già nell’infanzia aspirato alla soddisfazione si è trovata deviata dal suo fine primitivo dall’educazione e si è orientata in un’altra direzione. Ma l’impulso è diventato irrazionale nel momento in cui il soggetto ha realmente rinunciato allo scopo primitivo, pur continuando a tendere verso di esso nella sua immaginazione. Se l’istinto trova nella sublimazione un obiettivo nuovo, il vecchio impulso divenuto irrazionale si confonde con la nuova azione razionale e appare così come la sua giustificazione irrazionale. E’ quanto dimostra schematicamente anche l’istinto della conoscenza che si soddisfa più tardi, per esempio, nell’attività del medico.
Prima fase: l’istinto sessuale di conoscenza è razionalmente orientato verso l’osservazione del corpo e degli organi genitali. Scopo razionale: soddisfazione dell’istinto di conoscenza.
Seconda fase: la soddisfazione diretta è esclusa. L’istinto non è più soddisfatto, l’impulso diventa irrazionale nelle condizioni sociali esistenti.
Terza fase: l’istinto trova una nuova forma di attività che presenta un’analogia di contenuto con la prima. Il soggetto diventa medico e contempla di nuovo dei corpi e degli organi genitali, come una volta da bambino. Egli fa dunque la stessa cosa e tuttavia qualcosa di diverso; nella misura in cui la sua attività deriva dalla situazione infantile essa è inutile ed irrazionale; per quanto riguarda la sua attuale funzione sociale, essa è sensata.
Il che significa dunque che la funzione sociale decide del carattere razionale o irrazionale di un’attività, nello stesso modo in cui la trasformazione del carattere di un’attività, che passa dal razionale all’irrazionale e viceversa, dipende dalla posizione sociale dell’individuo in quel momento determinato. Lo stesso modo di agire del medico, che può essere privo di senso nel suo gabinetto di consultazione, diviene sensato nella sua vita privata, per esempio, nell’atto sessuale: e quel che era sensato nel suo gabinetto perde questo carattere nella stessa situazione privata.
Ma queste considerazioni autorizzano ad affermare che la psicoanalisi, grazie al suo metodo - che le permette di scoprire le radici istintive dell’attività sociale dell’individuo - e grazie alla teoria dialettica degli istinti, è chiamata ad illuminare nel dettaglio le ripercussioni psichiche dei rapporti sociali di produzione, ossia a spiegare la formazione delle ideologie “nella testa umana”.
Fra questi due estremi: la struttura economica della società e la sovrastruttura ideologica, di cui la concezione materialistica della storia ha definito nel complesso i rapporti causali, la concezione psicoanalitica della psicologia dell’uomo sociale inserisce una serie di anelli intermedi.
Essa può mostrare che la struttura economica della società non si trasforma direttamente in ideologia “nella testa umana”; il bisogno di nutrimento, infatti, le cui forme di espressione dipendono dalle condizioni economiche, agisce, modificandole, sulle funzioni dell’energia sessuale, molto più plastica; e questa reazione sociale ai bisogni sessuali, ch’essa limita nei loro fini diretti, dà luogo continuamente, sotto forma di libido sublimata, a nuove forze produttive nel processo del lavoro sociale, in parte direttamente, sotto forma di forza di lavoro, in parte indirettamente, sotto forma di risultati altamente sviluppati della sublimazione sessuale, come la religione, la morale in genere, la morale sessuale in particolare, la scienza, ecc. In questo modo, la psicoanalisi si inserisce razionalmente nella concezione razionalistica della storia, in un punto preciso e determinato: nel punto in cui cominciano a presentarsi i problemi psicologici, quei problemi evocati da Marx nella frase in cui dice che il modo di vita materiale si trasforma in idee nel cervello umano. Il processo della libido nello sviluppo sociale è, per conseguenza, secondario; esso dipende da questo sviluppo sociale, benché intervenga in esso in maniera decisiva, poiché la libido sublimata diviene forza di lavoro e forza produttiva.
Ma, se il processo della libido è l’elemento secondario, bisogna allora chiedersi quale sia il senso storico del complesso di Edipo. Si è visto che la psicoanalisi concepisce in modo dialettico, anche se inconsapevolmente, tutti i processi mentali; solo il complesso di Edipo sembra essere nella sua teoria un isolotto fisso in mezzo a fenomeni che si muovono.
E’ forse il complesso di Edipo concepito in modo non storico, come qualcosa di immutabile, come un dato fisso della natura umana? O piuttosto non è la forma familiare base del complesso di Edipo che si mantiene relativamente fissa da secoli?
Jones[15] sembra ammettere la prima ipotesi; in una discussione con Malinowski[16] sul complesso di Edipo nelle società matriarcali, egli afferma che questo complesso è la «fons et origo» di tutto. Questa concezione è senza dubbio idealistica, perché presentare i rapporti del bambino con il padre e la madre, rapporti che costituiscono una scoperta contemporanea, come identici in tutte le società, equivale ad ammettere che il modo di esistenza sociale è invariabile.
Supporre che il complesso di Edipo sia eterno, sarebbe credere che la forma della famiglia che gli serve di sostegno sia assoluta ed immutabile, ed equivarrebbe a pensare che l’umanità, per natura, sia sempre stata tale e quale essa ci appare oggi. Il complesso di Edipo vale per tutte le società patriarcali; ma, secondo le ricerche di Malinowski, le relazioni fra bambini e genitori sono così diverse nelle società matriarcali che non si può quasi parlare del complesso di Edipo in queste società. Secondo quest’autore, il complesso di Edipo è un fatto determinato sociologicamente, la cui forma si modifica con la struttura sociale. In una società socialista il complesso di Edipo deve sparire, purché la sua base sociale, la famiglia patriarcale, perda la propria ragion d'essere e sparisca. E l’educazione collettiva dei ragazzi è talmente sfavorevole allo sviluppo delle idee morali quali si mostrano ora nella famiglia, le relazioni dei bambini fra di loro e con gli educatori talmente molteplice e mobile, che la nozione di “complesso di Edipo” - che significa che si desidera la propria madre e che si vuole uccidere il proprio padre, il rivale - perde di ogni senso. Si tratta di intendersi sulle definizioni e di sapere se si chiamerà “complesso edipico” l’incesto reale, quale esisteva ai tempi primitivi, o se si riserva a questa espressione il desiderio di incesto rimosso e la rivalità con il padre reale. Questo significa soltanto che una delle tesi fondamentali della psicoanalisi vedrà la propria validità restringersi a delle forme sociali determinate.
Questo significa anche che il complesso di Edipo è caratterizzato, almeno nella sua forma attuale, come fatto socialmente e, in un’ultima analisi, economicamente condizionato. Date le divergenze degli etnologi è attualmente ancora impossibile risolvere il problema dell’origine della rimozione sessuale.
Freud che in Totem e Tabù, s’appoggia sulla teoria darwiniana dell’“orda primitiva”, fa del complesso di Edipo la causa della rimozione sessuale.
Ma l’osservazione della società matriarcale non ha mostrato chiaramente nessuna traccia. Secondo le ricerche di Bachofen-Morgan-Engels, è possibile concepire il complesso edipico e la forma familiare che è alla sua base come una conseguenza della rimozione sessuale. In ogni modo la psicoanalisi si priverebbe certamente di nuove possibilità di investigazione nel campo sociale e pedagogico, se volesse negare la dialettica che ha essa stessa messo in evidenza nella vita mentale.
IV. LA POSIZIONE SOCIOLOGICA DELLA PSICOANALISI.
Se prendiamo ora la psicoanalisi come oggetto di considerazione sociologiche, ci troviamo di fronte le seguenti questioni:
1) A quali fatti sociologici la psicoanalisi deve la sua nascita? Qual è il suo significato sociologico?
2) Qual è il suo posto nella società attuale?
3) Qual è il suo compito nel socialismo?
Rispondiamo a queste domande.
1) Come tutti gli altri fenomeni sociali, la psicoanalisi è legata ad una data tappa dello sviluppo sociale; anch’essa appare ad un determinato stadio dei rapporti di produzione. Come il marxismo, essa è un prodotto dell’era capitalistica, ma non è direttamente legata, come il marxismo, alla struttura economica della società.
Tuttavia, i legami indiretti che li collegano possono essere messi chiaramente in evidenza: la psicoanalisi è una reazione alla sovrastruttura ideologica, alle condizioni culturali e morali che formano l’atmosfera dell'uomo sociale. Si tratta qui delle condizioni sessuali quali derivano dalle ideologie religiose in argomento. La rivoluzione borghese del XIX secolo spazzò via in gran parte il modo di produzione feudale e oppose le proprie idee liberali alla religione e alle sue leggi morali. Ma la rottura con la morale religiosa si preparava già (in Francia per esempio) dall’epoca della rivoluzione francese; la borghesia sembrava portare in sé il germe di una morale, particolarmente di una morale sessuale, opposta a quella della Chiesa.
Ma, una volta consolidato il proprio potere e l’economia capitalistica, la borghesia divenne reazionaria, si riconciliò con la religione, di cui aveva bisogno per mantenere nell’oppressione il proletariato apparso alla ribalta, e riprese anche, sotto una forma un po’ modificata ma in fondo intatta, la morale sessuale della Chiesa.
La condanna della sessualità, la monogamia, la castità preconiugale e, per conseguenza, le distorsioni della sessualità maschile ebbero quindi un nuovo significato economico, capitalista questa volta. La borghesia, che aveva rovesciato il feudalesimo, riprese in gran parte le abitudini e i bisogni culturali della feudalità; essa dovette egualmente distinguersi dal “popolo” con le leggi morali adatte, che restringevano anche sempre più i primitivi bisogni sessuali. Nella classe borghese, per ragioni economiche, la libertà sessuale è completamente soffocata fino al matrimonio, e la gioventù maschile cerca le soddisfazioni dei sensi fra le donne e le ragazze del proletariato. Così, su di una base capitalistica, è riapparsa la doppia morale. Questa morale avvilisce la sessualità dell’uomo e distrugge quella della donna: della donna che, proprio in virtù della sua evoluzione, deve restar “casta” nel matrimonio, vale a dire frigida, poco attraente, addirittura ripugnante; il che ribadisce la doppia morale: l’uomo continua a cercare la soddisfazione fra le donne del proletariato, che egli disprezza per sentimento di classe, e nello stesso tempo è obbligato a salvare le apparenze di una “moralità” irreprensibile; dentro di sé egli si ribella contro la moglie, ma esteriormente fa mostra di sentimenti esattamente contrari e inculca la sua ideologia al figlio e alla figlia. Ma la rimozione, l’avvilimento sessuale durevole, divengono dialetticamente un elemento distruttore dell’istituzione coniugale e dell’ideologia sessuale.
Si comincia con la prima tappa della distruzione della morale borghese: le malattie mentali si moltiplicano. La scienza borghese, imbevuta anch’essa di pregiudizi, disprezza la sessualità come oggetto di indagine e lascia cadere uno sguardo sdegnoso sugli autori che si impegnano in questi scottanti argomenti con sempre maggiore intensità. Delle affezioni mentali dell’isteria e del nervosismo generale, in continuo aumento, essa fa puramente e semplicemente il risultato dell’eccesso di lavoro. Alla fine del XIX secolo, prende forma una ribellione contro una scienza inchiodata a degli impedimenti morali, ed è questa la seconda fase, la fase scientifica del declino della morale borghese. Dal seno stesso della classe borghese sorse uno studioso ad affermare che il nervosismo è la conseguenza della morale sessuale culturale[17] e che le nevrosi in genere sono, per il loro carattere specifico, malattie sessuali, che hanno origine da un’eccessiva repressione sessuale. Questo studioso, Freud, viene disprezzato, messo al bando dalla scienza, trattato come un ciarlatano.
Ma egli mantiene le sue posizioni e, per decine d’anni, resta solo. In quest’epoca nasce la psicoanalisi, oggetto di disgusto e di orrore non soltanto per la scienza, ma per tutto il mondo borghese, perché essa minaccia le radici della rimozione sessuale che è uno dei pilastri di numerose ideologie conservatrici (religione, morale, ecc.). Essa fa la sua apparizione nella vita sociale nel momento in cui, nello stesso campo borghese, si rivelano gli indizi di un movimento rivoluzionario contro queste ideologie. La gioventù borghese protesta contro la casa paterna e crea il proprio movimento, “movimento della gioventù”, il cui senso nascosto è la tendenza alla libertà sessuale. Ma, poiché non si è avvicinato al proletariato, questo movimento diviene insignificante e sparisce, dopo aver raggiunto parzialmente i suoi obiettivi. I giornali borghesi liberali avevano attaccato sempre più violentemente i pregiudizi religiosi. La letteratura borghese cominciava ad adottare dei punti di vista sempre più larghi sulle questioni morali. Tutti questi fenomeni, che precedettero o accompagnarono l’apparizione della psicoanalisi, si attenuarono. Il fatto è che, quando le cose diventano serie, nessuno osa andare più fino al nocciolo del problema e trarre le conclusioni che si impongono. L’interesse economico prevale e provoca perfino un’alleanza fra il liberalismo borghese e la Chiesa.
Sociologicamente il marxismo significava che l’uomo cominciava a prendere coscienza delle leggi economiche, dello sfruttamento di una maggioranza da parte di una minoranza; e anche la psicoanalisi significava che si cominciava a prendere coscienza della rimozione sessuale sociale. E questo è, dal punto di vista sociale, il senso fondamentale della psicoanalisi freudiana. Esiste tuttavia una differenza essenziale. Quando una classe sfrutta e l’altra è sfruttata, la rimozione è un fenomeno comune a tutte e due le classi.
Storicamente la rimozione è anche più antica dello sfruttamento di una classe da parte di un’altra. Ma essa non è quantitativamente uguale nelle due classi.
Agli inizi del capitalismo, non vi sono state, quasi, limitazioni o rimozioni della sessualità nel proletariato, a giudicare dal Capitale di Marx e dalla Situazione della classe operaia in Inghilterra, di Engels.
La forma sessuale del proletariato era caratterizzata e influenzata soltanto dalla sua lamentevole situazione sociale (si può dire altrettanto ancora oggi, d’altronde, del sottoproletariato). Ma nel corso dello sviluppo capitalistico, quando la classe dominante, nella misura in cui i suoi propri interessi lo esigevano, si accinse a prendere dei provvedimenti sociali, cominciò un imborghesimento continuo del proletariato. La rimozione sessuale operò allora la sua rovina nella classe operaia, senza tuttavia assumere le proporzioni considerevoli che aveva raggiunto nella piccola borghesia: sempre più realista del Re e osservante dell’ideale morale del suo modello, la grande borghesia, in modo più scrupoloso di quanto non lo faccia quest’ultima, che, nella sua coscienza interiore, ha già respinto da lungo tempo questa morale.
La sorte della psicoanalisi nella società borghese è dunque legata all’atteggiamento della borghesia verso la rimozione e la repressione della sessualità.
2) Il problema che si impone è il seguente: la borghesia può sopportare la psicoanalisi senza, a lungo andare, subire dei danni, se le nozioni e le formule psicoanalitiche non si liquefanno e non perdono a poco a poco tutto il loro significato?
Lo stesso creatore della psicoanalisi non ha predetto nulla di buono per l’avvenire di quest’ultima. Egli pensava che il mondo, non potendo sopportarla, avrebbe sminuito in una forma qualsiasi le sue scoperte. E’ chiaro che egli non alludeva che ad una parte della società, alla classe borghese; il proletariato non sa ancora niente della psicoanalisi; non ha ancora imparato a conoscerla. Se non possiamo ancora sapere quale sarà il suo atteggiamento verso la psicoanalisi, una quantità sufficiente di indizi ci permetteranno però di studiare già quello del mondo borghese.
Il significato sociale della rimozione sessuale spiega perché la psicoanalisi non sia ammessa. Ma che cosa ne fa, il mondo borghese, della psicoanalisi, nella misura in cui esso non la condanna?
Ci sono due aspetti da considerare: da una parte la scienza, soprattutto la psicologia e la psichiatria, dall’altra parte il pubblico profano. Il dubbio che Freud espresse un giorno in forma ironica, vale per l’una e per l’altro: se si a ccetta la psicoanalisi, diceva, sarà per mantenerla e per distruggerla?
Quando si incontra la psicoanalisi rimaneggiata da coloro che non la conoscono realmente, non si trova più l’opera di Freud: «Per la sessualità, passi ancora, ma pensate alle esagerazioni [...] E che cosa ne fate dell’etica umana? L’analisi? Molto giusto, ma[...] la sintesi non è meno necessaria». E quando Freud si mise ad edificare la sua dottrina dell’io sulla sua tecnica sessuale, il mondo scientifico tirò un sospiro di sollievo: finalmente Freud cominciava a mettere un freno alle sue assurdità; finalmente il discorso ritornava a quanto vi è di “superiore” nell’uomo, e in particolare alla morale... E non passo molto tempo prima che non si sentisse parlare d’altro che dell’ideale dell’io, mentre la sessualità era “naturalmente sottintesa”. Si parlò di una nuova era dell’analisi, di un Rinascimento... In una parola, la psicoanalisi divenne socialmente ammissibile.
Non meno desolante, e più ripugnante, è la situazione del grosso pubblico. Sotto la pressione della morale sessuale borghese, si è appropriato della psicoanalisi come di una moda che gli permette di soddisfare la sua lubricità. Si analizzano mutualmente i propri complessi; in salotto, all’ora del thè, si parla del simbolismo del sogno. Si discute, senza la minima competenza. Si è per o contro l’analisi. E l’uno si entusiasma per la grandiosa
”ipotesi”, mentre l’altro, non meno ignoro, è convinto che Freud è un ciarlatano e la sua teoria una semplice bolla di sapone. Del resto - domanda il “critico” - cosa vuol dire questa ipertrofia esclusiva della sessualità come se non ci fosse niente di più elevato? E anche lui non sa più parlar d’altro che di sessualità.
In America si formano delle associazioni e dei clubs di discussioni psicoanalitiche: il momento è favorevole, bisogna che sia messo a profitto: si consuma la propria sessualità insoddisfatta e si guadagnano intanto molti soldi per mezzo di una pratica che osa chiamarsi psicoanalisi.
La “psicoanalisi” è diventata un buon affare.
Abbiamo appena visto come stanno le cose fuori della psicoanalisi. Come stanno nella psicoanalisi? Diserzione su diserzione; i ricercatori non resistono alla pressione della rimozione sessuale. Jung mette sottosopra tutta la teoria psicoanalitica, tuttavia sempre solidamente piantata sui suoi piedi, per farne una religione dove non si fa più nessuna questione di sessualità.
E la rimozione sessuale porta Adler alla tesi che la sessualità non è che una manifestazione dell’istinto di potenza, e con tale affermazione egli si stacca dalla psicoanalisi.
Rank, che era stato uno degli allievi più dotati di Freud, diluisce il concetto della libido nella psicologia dell’io, giunge alla sua teoria del corpo materno e del trauma della nascita, finendo per rinnegare le nozioni fondamentali della psicoanalisi. Senza sosta la rimozione sessuale opera contro la psicoanalisi. Il lavoro di raddolcimento e di attenuazione, tendente al compromesso, eseguito dagli psicoanalisti stessi, mostra quanto questi ultimi siano socialmente ed economicamente asserviti. Dopo la comparsa dell’opera di Freud intitolata
L’io e l’es, si parla ancora a malapena della libido, e si cerca di ricondurre all’io tutta la teoria delle nevrosi; si proclama che la scoperta del senso di colpa costituisce la prima autentica gloria di Freud e che soltanto ora si arriva al fondo delle cose.
La tendenza al compromesso e alla capitolazione davanti alla morale sessuale borghese appare, nel modo più netto, nella terapeutica delle nevrosi, dove si tratta di applicare praticamente all’individuo, nella società capitalistica, una teoria altamente rivoluzionaria.
La situazione sociale dello psicoanalista gli impedisce di spiegare francamente che la morale sessuale di oggi, che il matrimonio, la famiglia borghese, l’educazione borghese, non possono conciliarsi con la cura psicoanalitica radicale delle nevrosi. Si ha un bel riconoscere che le condizioni familiari sono desolanti, che l’ambiente del malato è di solito il maggior ostacolo alla sua guarigione, si esita - per delle ragioni facili a comprendersi - a trarre da queste constatazioni le conclusioni che esse richiedono. Si giunge anche a snaturare il senso del principio di realtà e dell’adattamento alla realtà, intendendo con esso la totale sottomissione alle esigenze sociali che hanno generato la nevrosi.
L’attuale modo, nettamente capitalistico, di sopravvivenza della psicoanalisi la soffoca, dunque, dal di dentro e dal di fuori. Freud ha ragione: la sua scienza declina. Ma noi aggiungiamo: nella società borghese.
Se essa non vi si adatta, la psicoanalisi non subirà danni; ma se essa vi si adatta, l’attende la stessa morte del marxismo nelle mani dei socialisti riformisti, ossia la morte per lenta degenerazione, soprattutto a causa dell’abbandono della teoria della libido. La scienza ufficiale, né prima né dopo il suo adattamento, non ne vorrà mai sentir parlare, perché il suo asservimento sociale le impedisce di adottarla. Gli psicoanalisti, che la diffusione della psicoanalisi rende ottimisti, sbagliano grossolanamente: questa diffusione segna proprio l’inizio del suo declino.
Poiché la psicoanalisi applicata senza nessuna attenuazione scalza l’ideologia borghese e poiché, inoltre, l’economia socialista costituisce la libera base di un spiegarsi dell’intelletto e della sessualità, la psicoanalisi non può avere avvenire che nel socialismo.
3) Abbiamo visto che la psicoanalisi non può trarre da se stessa una concezione del mondo, un sistema filosofico, e, per conseguenza, che essa non può rimpiazzare nessuno dei sistemi filosofici esistenti; ma essa porta con sé una revisione dei valori; applicata praticamente all’individuo, distrugge la religione, l’ideologia sessuale borghese e libera la sessualità. Ora, queste sono proprio le funzioni ideologiche del marxismo. Anch’esso rovescia i vecchi valori con la rivoluzione economica e la sua filosofia materialistica; la psicoanalisi fa, o potrebbe fare, lo stesso nel campo psicologico. Ma, condannata a restare socialmente inefficace nella società borghese, essa non può divenire efficiente che dopo il successo della rivoluzione sociale. Molti analisti credono ch’essa possa trasformare il mondo per via d’evoluzione e sostituire anche la rivoluzione sociale. E’ un’utopia, fondata sull’assoluta ignoranza delle cose economiche e politiche.
L’importanza sociale futura della psicoanalisi sembra concentrarsi in tre campi di studio:
- Nell’esplorazione della storia dell’umanità primitiva, come scienza ausiliaria nel quadro del materialismo storico. La storia primitiva, condensata nei miti, nelle abitudini e i costumi delle popolazioni primitive attuali, non è accessibile dal punto di vista metodologico alla dottrina sociale di Marx. Questo lavoro può divenire fecondo soltanto se gli analisti ricevono una solidissima formazione sociale ed economica e rinunciano alle concezioni individualistiche e idealistiche dello sviluppo storico.
- Nel campo dell’igiene mentale, che non si può sviluppare che sulla base di un’economia socialista. In un’economia ordinata si può pretendere un’economia libidinale ordinata, cosa completamente impossibile in regime borghese, o accessibile, tutt’al più, a qualche individuo isolato. E’ soltanto nel socialismo che la terapeutica individuale delle nevrosi può trovare un campo d’azione degno di lei.
- Nel campo dell’educazione, come base psicologica dell’educazione socialista. Data la sua conoscenza dello sviluppo mentale del bambino, la psicoanalisi deve essere considerata come indispensabile. Nella società borghese essa è, come scienza ausiliaria della pedagogia, condannata alla sterilità, se non a qualcosa di peggio. In questa società non si può educare il bambino in altro modo che secondo lo spirito borghese; cambiare un sistema educativo con un altro è dedicarsi ad una modificazione illusoria, finché sussiste l’attuale regime; così, prima della rivoluzione, la pedagogia psicoanalitica non può essere applicata che nel senso della società borghese. Ma i pedagoghi che si impegnano per modificare questa società rischiano la stessa sorte di quel prete che, avendo visitato un agente di assicurazioni ateo in punto di morte, lo lasciò senza averlo convertito, ma non senza aver sottoscritto una polizza di assicurazione. La società è più forte delle aspirazioni di qualcuno dei suoi membri isolati.
[1] Vedi E. Kohn, Lassalle, le chef, Editions Psichana litiques Internationales, 1926.
[2] Naturalmente il metodo e la scienza non sono praticamente isolabili l’uno dall’altra; essi si compenetrano. La distinzione non serve che alla comprensione delle nozioni.
[3] K. A. Wittfogel, La scienza nella società borghese [N.d.r.: la grassettatura è del curatore]
[4] «Il materialismo del secolo scorso era in gran parte meccanicistico perché a quell’epoca, di tutte le scienze naturali, soltanto la meccanica [...] era giunta a qualche risultato. La chimica non esisteva che nella sua forma primitiva, flogistica. La biologia era ancora in fasce. L’organismo vegetale e animale non era stato ancora studiato se non grossolanamente e non veniva spiegato che per mezzo di cause puramente meccaniche. Per i materialisti del XVIII secolo, l’uomo era una macchina, proprio come l’animale per Descartes.
Questa applicazione esclusiva della meccanica a dei fenomeni d’ordine chimico e organico, in cui le leggi meccaniche agiscono, sì, certamente, ma sono poste in secondo piano da leggi di ordine superiore, costituisce una restrizione specifica, ma inevitabile, del materialismo francese classico.» (F. Engels, Ludwig Feuerbach e il punto di approdo della filosofia classica tedesca, Ed. International, Savona, 1969).
[5] [N.d.r.: K. Marx, ad Feurbach, n. I, in De l’abolition de l’état à la constitution de la société humaine, Œuvres, vol. III, Philosophie, p. 1029, a cura di Maximilien Rubel, Bibliothèque de la Pléiade, Gallimard, Parigi, 1982. La traduzione originariamente riportata nella versione italiana del testo di Reich, qui ripresa, era tratta dall’edizione International (Savona, 1969), di cui alla nota precedente; non avendo potuto consultare tale versione in originale, ci si è limitati a rilevare l’improponibile lettura offerta di tale brano di Marx nella citazione trascritta nell’articolo da noi riproposto, fra l’altro estremamente diversa da quella rintracciabile nella traduzione delle Tesi su Feurbach diffusa in Italia da Editori Riuniti in K. Marx, F. Engels, Opere scelte, p. 187, Roma, 1969. Per cavarci dal dilemma si è optato per la versione di tale scritto di Marx fornita dall’edizione completa delle sue opere offerta in lingua francese da Maximilien Rubel, il quale costituisce un’indiscussa garanzia di corretta interpretazione del manoscritto originale del Moro.]
[6] [N.d.r.: valgano anche qui le medesime considerazioni di cui alla nota precedente: la traduzione offerta al lettore è tratta dalla medesima già citata fonte fornitaci da M. Rubel, Ibidem, p. 1030.]
[7] Lenin, Materialismo ed empiriocriticismo, in Opere complete, Rinascita, Roma, 1955.
[8] Freud, Tre memorie sulla teoria sessuale, in Sigmund Freud, Opere 1886/1905, Newton Compton, Roma, 1992, pp. 989-1046.
[9] Al di là del principio del piacere; l'IO e l'ES, in Sigmund Freud, Opere 1905/1921, Newton Compton, Roma, 1992, pp. 1099-1139.
[10] Cfr. Lenin, Op.Cit.
[11] «Se ora si stravolge la questione presentando il fattore economico come il solo determinante, si giunge a fare di questa frase una frase astratta, assurda, che non significa nulla» (F. Engels).
[12] “Razionale” è preso qui nel senso di opportuno, utile; “irrazionale” nel senso di inopportuno, inutile.
[13] Naturalmente per l’individuo che compie questo lavoro, non per la collettività.
[14] Ancora una volta per l’ingegnere isolato (Queste note sarebbero superflue se tali tesi non fossero spesso fraintese e collegate alla collettività. Ho chiaramente sottolineato nel primo capitolo che l’oggetto della psicoanalisi è l’individuo).
[15] Jones, Imago, 1928.
[16] Malinowsky, Sesso e repressione sessuale tra i selvaggi, Boringhieri, Torino, 1969.
[17] S. Freud, La morale sessuale “culturale” e la nervosità moderna, in Sigmund Freud, Op.Cit., Newton Compton, Roma, 1992, pp. 179-192. Cfr. inoltre tu tti i suoi lavori sulla teoria delle Nevrosi.
* Il presente testo è stato tratto dalla traduzione fattane da Elvio Fachinelli nel 1966 e comparsa, in quell’anno, su “Quaderni Reichiani”. Il curatore di questa versione ha però giustamente optato per un puntuale raffronto con l’edizione in lingua francese, da cui essa è tradotta, che fu pubblicata per i tipi di Edition Git le Cœur 28, Rue Geoffroy, Saint Hilaire, Paris V, 1929, col titolo Materialisme dialectique et psichanalise: da ciò alcune non superflue differenze con la prima versione offerta a suo tempo da Fachinelli, reperibili nello scritto proposto alla nostra rivista da Sergio Ghirardi. Precisiamo infine che un’altra edizione italiana di Materialismo dialettico e psicanalisi comparve per i tipi di Underground La Fiaccola di Catania nel febbraio del 1972, ma la traduzione offerta anche in questo caso sarebbe meritevole di ampi riscontri sull’originale.
(tratto da http://web.tiscali.it/visavis/)