LORENZO SARTINI
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Omosessualità, genitorialità gay e gender: volete capirci qualcosa?

1/9/2015

 
Immagine
di Luca Nicoli* (tratto da www.nextquotidiano.it)

L’essere umano ha un’identità complessa, entro la quale istinto, affetti, esperienza e cultura sono mescolate per dare origine a quel prodotto unico e misterioso chiamato individuo. L’individuo è dotato di un sesso biologico, che fisiologicamente contribuisce alla sua identità sessuale, ovvero al sentirsi uomo o donna, e all’orientamento, ovvero a chi accende il suo desiderio. Accanto alla fisiologia di base, però, l’interazione sociale e le primissime esperienze di vita possono modificare non certo il sesso biologico, ma l’identità e l’orientamento. Un bambino molto mite può faticare a riconoscersi nell’ambito della competitività aggressiva maschile, oppure una bimba può sentirsi maschiaccio, oppure rifiutare la propria femminilità in tantissimi modi. La psicoanalisi ha riconosciuto da tempo che identità e orientamento sono insiemi molto ampi e complessi, che non si riducono a maschio/femmina. La complessità e l’unicità di ciascuno si caratterizzano infatti dalla molteplicità di fattori mescolati, tra cui aggressività, vitalità, pazienza, riflessione o irruenza, affettuosità, passionalità, distanziamento e mille altre cose ancora. Alcuni di questi aspetti sono temperamentali, altri dipendono maggiormente dal tipo di educazione o di cultura di appartenenza. Dunque ogni tentativo di dividere le caratteristiche in maschili e femminili risulta un po’ un gioco, come il “destra e sinistra” di Giorgio Gaber. Alla legge e alla società interessa il giusto dell’identità sessuale di ciascuno. Certo, esistono stereotipi proposti dai media, ma se uno è più o meno virile, al netto di comportamenti socialmente riprovevoli, è un problema per lo più suo e delle persone con cui si relaziona, ma difficilmente interessa la politica e l’opinione pubblica.


L’IDENTITÀ SESSUALE E L’OMOSESSUALITÀ

L’orientamento sessuale, ovvero il genere a cui rivolgi il tuo desiderio, è invece di interesse molto maggiore, perché definisce la coppia che tendi a creare, e dunque influenza il tessuto sociale. L’omosessualità, come l’eterosessualità, contiene un universo di differenti caratteristiche, perché mette in gioco la propria identità e l’identità dell’altro. Ci sono uomini eterosessuali che tendono a dominare emotivamente le compagne, altri che si sottomettono, ci sono persone molto eccitabili, altre che fanno a meno del sesso senza problemi. Ci sono persone che desiderano sia uomini che donne, pur avendo un certo tipo di preferenze principali, ci sono uomini eterosessuali che si innamorano di un uomo, uno solo, e con cui possono o vogliono avere una storia. L’omosessualità, quindi, è molto variegata, e difficile da studiare e da raggruppare in un unico gruppo. Secondo gli ultimi studi, ancora molto contraddittori, sembra nascere da una predisposizione genetica, sommata alle prime esperienze e ai primi contatti con il mondo (1). Non si tratta tuttavia di imitazione di modelli adulti, tipo il gioco della barbie o di ken, che semmai ha a che fare con l’identità sessuale, ma con i primissimi rapporti inconsci con i genitori, in modi davvero poco consapevoli e molto naturali, oltre che tutt’ora molto misteriosi. L’omosessualità dunque, al di là dell’identità sessuale, che determina quali vestiti indossare, il tono di voce che sentiamo più adatto a noi, e altri aspetti esteriori, significa che ci piace di solito per una persona del nostro stesso sesso biologico. Non è una questione di scelta razionale, o di abitudine, o di convinzione, ma di naturale predisposizione ad un legame piuttosto che a un altro. Se l’identità sessuale può creare sofferenza emotiva, se per esempio è molto diversa dal sesso biologico (mi sento maschio ma sono femmina), l’omosessualità di per sé non è detto che sia fonte di dolore, come testimoniano i milioni di gay al mondo che non stanno più o meno male delle altre persone. Principalmente, i gay nella storia hanno sofferto per l’esclusione dal proprio gruppo di appartenenza (famiglia, amici, circuito sociale) (2). Pertanto, qualunque “terapia riparativa”, sempre che funzioni (3), non sarebbe proprio una terapia, quanto un indottrinamento all’interno di alcuni dettami culturali.


IL MATRIMONIO OMOSESSUALE

Il matrimonio nella nostra cultura nasce in epoca romana come regolazione civile, sociale e religiosa di una unione tra due persone tesa a rendere legittimi i suoi figli. Dal 1 gennaio 1866 lo Stato Italiano riconosce valore unicamente al matrimonio civile, anche se dal 1984 riconosce gli effetti civili dei matrimoni religiosi. Ad oggi, il Codice Civile regola diritti e doveri dei coniugi, che vanno dalla reciproca assistenza alla cura dei figli. Se le autorità religiose possono non riconoscere o biasimare le coppie omosessuali, non si vede perché uno Stato non possa riconoscere l’unione di due cittadini, a prescindere dal sesso biologico di appartenenza, solo per colpa di una tradizione secolare di discriminazione. Inventarsi il termine “unioni civili” quando il matrimonio è di per sé l’unione civile riconosciuta dallo Stato significa voler alienare un diritto a dei cittadini, per paura che questi ultimi gettino discredito sul matrimonio stesso. Privare i gay del matrimonio ha due scopi: il primo è quello di rassicurare gli eterosessuali che le unioni omosessuali non saranno mai pari alle loro, le quali rimarranno formalmente superiori. Il secondo è quello di vietare loro l’accesso alle adozioni, che il matrimonio invece consentirebbe, dal momento che è stato creato proprio per questo. Questa secondo aspetto è molto più delicato del primo, perché coinvolge una terza persona, minore, la quale deve essere tutelata da parte dello Stato da qualsiasi rischio che sia possibile prevenire.


LA GENITORIALITÀ OMOSESSUALE

Esiste un diritto ad avere dei genitori, mentre non esiste un diritto alla genitorialità. Essere genitori è un privilegio, oltre che una responsabilità, e come tale non può essere garantita a nessuno. I bambini hanno dei bisogni di base, fisici e affettivi, che devono essere sempre corrisposti, e sui quali lo Stato può vigilare per garantire una crescita sufficientemente priva di maltrattamenti o privazioni. Se un bambino viene riconosciuto dai propri genitori biologici, essi hanno il diritto e il dovere di crescerlo, secondo le leggi vigenti e secondo il loro buon senso. Il problema dell’adottabilità da parte dei gay nasce in primo luogo dal fatto che alcuni bambini vivono già con coppie gay, di cui un componente è il genitore (madri lesbiche o padri che hanno avuto rapporti con donne prima o durante la loro relazione attuale). In questi casi, il compagno che cresce il figlio non ha e non avrà alcun diritto, e al bambino è sottratta una tutela di cui in teoria potrebbe beneficiare. Vi è poi la possibilità che le coppie gay desiderino adottare dei figli non loro. A questo punto entra in ballo il problema se due genitori omosessuali possano garantire un ambiente evolutivo affettivamente sano, problema che mi sono posto in prima persona, tra l’altro in modo piuttosto dubbioso, affrontando una questione sociale assolutamente nuova. Gli studi scientifici, che ormai sono un numero cospicuo, non sembrano riscontrare alcuna influenza nociva per lo sviluppo psicosessuale dei figli (4). Non solo, gli stessi studi non hanno riscontrato differenze significative tra figli di famiglie eterosessuali e di famiglie omosessuali sia per quanto riguarda l’identità sessuale, sia l’orientamento. Alcuni studi hanno riscontrato oltre il 90% di eterosessualità tra i figli intervistati. Ovviamente esistono anche alcuni studi contrari, ma scarsi e provenienti da fonti molto meno autorevoli. A volte si tratta di studi orientati o selezionati secondo pregiudizi di parte, o con campioni molto dubbi (5). I principali bisogni affettivi di bambini e adolescenti hanno a che fare con la presenza di adulti prevedibili e affidabili, chiari e costanti nelle loro richieste, disponibili all’ascolto e pazienti nell’assistere alla crescita dei figli, pronti a sorprendersi per le loro capacità ed esperienze, disponibili ad un dialogo e a uno scambio emotivo franco e ad ampio spettro, rassicuranti. Certamente i bambini hanno anche bisogno di avere modelli dell’identità di genere, ma su questo punto si trascura il fatto che gli omosessuali per lo più hanno anche un’identità sessuale ben definita (i maschi si fanno la barba e il nodo alla cravatta, ad esempio), così come il fatto che l’identità sia il risultato di una integrazione personale di tante identificazioni sia con gli adulti che si hanno introrno: zii, nonni, insegnanti, allenatori, sia del mondo televisivo, che oggi fornisce una buona parte del materiale “familiare” che i bambini assorbono. Basti pensare alla famosa (o famigerata?) “famiglia del Mulino Bianco”, ai Robinson, i Simpson, i Cesaroni, una mamma per amica, e tutte le innumerevoli costellazioni familiari presentate quotidianamente dai palinsesti.


IL GENDER

“Gender” è il nome con cui nei paesi anglosassoni vengono definiti gli studi di genere, che si occupano della distinzione tra il sesso biologico e gli aspetti psicologici e culturali legati al genere. Tali studi sono spinti dalle rivendicazioni delle minoranze discriminate (le donne prima, i gay oggi), e avversati da chi si sente minacciato da alcune trasformazioni sociali (generalmente, i partiti conservatori e le gerarchie ecclesiastiche). Dunque è necessario e opportuno separare gli aspetti ideologici da quelli di ricerca, in modo da discutere gli uni in una sede, gli altri in un’altra. Oggi in alcune realtà si è molto spaventati dall’idea che il “gender” sia una negazione delle differenze di identità tra uomini e donne, che sarebbe una idea assurdamente caotica e confusionaria, senza alcuna utilità sociale né psicologica (e come tali penso debbano essere prese le derive fanatiche in tal senso), laddove la maggior parte dei progetti portati avanti seriamente sono volti a mettere in dubbio gli stereotipi tradizionali (il papà va a lavorare perché è maschio, la mamma stira perché è femmina), oppure la disinformazione e i pregiudizi sulle nuove identità quali gay e transessuali (i gay sono pedofili, o sono tutti effeminati, e così via). Se noi pensiamo alla nostra personale esperienza, tutti noi sappiamo che la donna non deve essere né troppo disponibile, né troppo suora, né troppo accollata, né scollata, né truccata, né “sciatta”, che non può invecchiare né essere brutta, che non sa guidare, è meglio se non esce tardi la sera, deve essere allo stesso tempo madre attenta, moglie devota, amante appassionata, lavoratice impeccabile, mentre a un uomo – e so per esperienza quel che dico – si concedono prima avventure amorose a ripetizione, poi col tempo capelli bianchi, pancetta, latitanza familiare e disordine cronico. “Sono stereotipi vecchi”, dirà qualcuno, ma noi viviamo in un paese in cui vengono denunciati 4800 stupri l’anno (13 al giorno) (6), una donna su tre di età compresa tra i sedici ed i settanta anni è stata vittima nel corso della sua esistenza di una qualche violenza fisica o sessuale (parliamo di oltre 6 milioni di donne). E stiamo parlando delle violenze denunciate, che sono ancora una minoranza assoluta. Per quanto riguarda i gay, alcuni miei conoscenti sostengono che oggi non vivono alcuna seria discriminazione. Personalmente conosco diversi uomini e donne, anche adulti che tuttora non rivelano il loro orientamento sessuale al lavoro o in famiglia per paura delle conseguenze, e un ragazzo seriamente mutilato a causa di un’aggressione omofoba. Intorno a me, una buona parte dei maschi sotto i quarant’anni, per offendere scherzosamente gli amici, li appella come froci. L’omosessualità è ancora uno spettro.


OMOFOBIA E MASCHI

In latino c’era l’homo, l’essere umano, e il vir, il maschio, da cui deriva l’aggettivo virile. In italiano purtroppo questa distinzione si è persa, e l’uomo si sente tale solo se è anche maschio. La psicoanalisi ha affrontato da oltre un secolo le paure inconsce delle persone, tra le quali una delle più terribili per i maschi è la castrazione, cioè il non essere più uomo. Esiste un timore inconscio legato all’omosessualità, soprattutto intesa come il provare piacere nel ricevere una penetrazione anale, che è quello di smettere di essere uomini, e diventare qualcosa di più degradato, di rotto. Pertanto l’omofobia è davvero una fobia, cioè il terrore, davanti a scene omosessuali, di esserne catturati ed eccitati, e quindi di essere condannati all’esclusione a vita dal consesso dei maschi. Una certa curiosità omosessuale, invece, è fisiologica, e non conduce per forza a un orientamento sessuale di quel tipo. Dunque avvicinarsi alle aree omosessuali consente di esserne meno terrorizzati, quindi di viversi meno in pericolo davanti a un mondo che cambia così velocemente. Rassicuratevi, per voi e per i vostri figli: probabilmente resterete eterosessuali. E comunque vada, resterete uomini. E umani.


Note:
1 – (fonti multiple: American Academy of Pediatrics, American Psychological Association, American Psychiatric Association, rivista Science, e ovunque tranne nei siti fondamentalisti o complottisti)
2 – Uno studio del 1998 a cura di Mental Health America ha riportato che negli USA, gli adolescenti ascoltavano epiteti offensivi contro i gay circa 26 volte al giorno. Un sondaggio condotto dall’Agenzia europea per i diritti civili nel 2014 ha rivelato che in Italia solo il 5% dei gay si rivela in aula, numero che sale al 40% all’università.
3 – (Am. Psichiatr. Ass, Am. Psycholog. Ass. hanno concluso che non esistono dati a favore del suo funzionamento, e che anzi ci sono alcuni dati che propendono per la dannosità del trattamento)
4 – 26 studi esaminati da Prati e Pietrantoni (2008) sulla Rivista Sperimentale di freniatria, 77 studi scientifici Individuati nell’ambito del progetto Whatweknow della Columbia Law School di New York, 150 studi presi in esame dal report Patterson (2005) presente sul sito della Amercian Psychological Association.
5 – Cito ad esempio lo studio Regnerus (2012), che identificava risultati peggiori per il benessere dei figli di genitori omosessuali. Lo studio è stato criticato dalla stessa Rivista che lo ha pubblicato a causa del campione scelto, per cui meno del 25% dei figli avevano vissuto per più di tre anni con la madre gay, e meno del 2% con il padre gay. Oltretutto, come genitori gay si indicavano molti genitori etero che si erano separati per poi vivere relazioni omosessuali, dunque presentando nello studio molte famiglie segnate da separazioni traumatiche e cambiamenti molto forti nella rappresentazione e nel comportamento dei genitori.
6 – Fonte ISTAT 2012


*psicoterapeuta e psicoanalista, membro SPI (società psicoanalitica italiana), redattore della Rivista di Psicoanalisi

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