LORENZO SARTINI
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Cannabis: la fuma 1 teenager su 4

23/8/2017

 
di Gianluca Ferraris

Per la prima volta dal 2010 aumentano i giovanissimi che consumano marijuana e hashish. Droghe sempre meno leggere e sempre più pericolose. Perché vengono assunte già a 12 anni e spesso insieme ad alcol e altre sostanze.
Quasi 7 milioni di fumatori complessivi, quasi 1,5 milioni fra gli under 25. Per dirla nel modo più semplice possibile, in Italia 1 adulto su 9 e 1 giovane su 5, si sono fatti almeno uno spinello nel corso del 2016. Se nel nostro Paese i numeri del consumo di cannabis - messi in fila dall’ultimo report dell’Osservatorio sulle tossicodipendenze e dal rapporto al Parlamento del Dipartimento politiche antidroga di Palazzo Chigi - mantengono proporzioni più o meno stabili, a preoccupare è un altro trend: per la prima volta dal 2010 a oggi i consumatori nella fascia compresa fra 15 e 19 anni, la più vulnerabile, sono cresciuti in maniera esponenziale passando da 547.000 a 675.000. Cioè dal 21% al 27% dei giovani della loro età.

I ragazzi sono inesperti

Il consumo di hashish e marijuana avrebbe a che fare con gli ultimi casi di cronaca in cui sono morte 2 adolescenti: una 14enne di Milano caduta da una balaustra a causa di un malore dopo aver fumato e una 16enne di Genova uccisa al termine di una serata nel corso della quale, però, alla cannabis si sarebbero aggiunte alcol e metanfetamine. «Il problema, parlando in generale, è quasi sempre questo» osserva Lorenzo Sartini, psicoterapeuta bolognese con una lunga esperienza nei Sert e nelle scuole. «L’assunzione non solo è sempre più giovane e inconsapevole, ma viene spesso associata al consumo di altre sostanze, come le droghe sintetiche e l’alcol». È ovvio però che in un Paese come il nostro, che solo lo scorso marzo ha ammesso l’uso della cannabis a scopo terapeutico e da anni dibatte sulla legalizzazione, almeno parziale, delle droghe leggere, gli effetti delle canne sugli adolescenti - dai presunti danni clinici di lungo periodo al ruolo di apripista per altre dipendenze - continuano a preoccupare i genitori.


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La Dott.ssa Gabriela Dueñas: “La dislessia è un sintomo di problematiche complesse”

22/8/2017

 
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La psicologa e psicopedagogista ha discusso sabato alla Società italiana, invitata dal Mosana (Movimiento por la Educación Nacional y el Movimiento Sanitario Nacional). Ha sostenuto che alcune difficoltà dell’apprendimento non hanno origine genetica, ha criticato la legge sulla Dislessia e ha affermato che “I bambini sono passati ad essere oggetti del mercato del laboratorio e di alcuni interessi”.

 
Gabriela Dueñas è Dottoressa in Psicologia, laureata in ‘Educazione’ e professoressa titolare di Psicologia dello Sviluppo I e II del corso di Psicologia e Psicopedagogia; e del seminario post-laurea ‘Linguaggio e pensiero’ della Laurea Magistrale su ‘Difficoltà di apprendimento’ della Facoltà di Psicologia e Psicopedagogia dell’Università del Salvador. La sua dissertazione ha suscitato un interessante dibattito nel lavoro delle commissioni della giornata su ‘Educazione e Salute’ che si è svolta sabato alla Società italiana [di Salliqueló, una città dell'Argentina, capoluogo dell'omonimo dipartimento nella provincia di Buenos Aires, ndt].

Al termine dell’incontro, la Dott.ssa Dueñas ha conversato con i media locali ed ha lasciato alcune dichiarazioni: “La prima cosa che ho notato è che qui c’è un’équipe, intersettoriale, che lavora su Salute ed Educazione. Sono preoccupati per questa problematica sulla quale oggi lavoriamo e che ha a che vedere con la medicalizzazione e la patologizzazione delle infanzie, queste tendenze a etichettare un bambino con quelle ‘diagnosi’ di ADD [è considerato un termine obsoleto per indicare l’ADHD, ossia il Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività, ndt], TGD [disturbo generalizzato dello sviluppo, ndt], dislessici, per impasticcarli e sottometterli a programmi di addestramento comportamentale con premi e punizioni a partire dai quali vedremo bambini disciplinati a seconda delle necessità del contesto. Invece di rispettare i loro diritti, ascoltarli, pensare a loro come soggetti integrali. Preoccupati da questo problema si sono messi a lavorare in maniera meravigliosa, riuscendo a convocare tutta la regione. Sono molto contenta perché c’è un impegno che ha fatto riempire questa sala un sabato, allora c’è speranza per questo paese. Non dobbiamo dimenticare che i bambini sono il futuro del nostro paese. E se permettiamo che si mercifichi la Salute e l’Educazione e li si prenda come oggetti di consumo stiamo ipotecando il nostro futuro”.



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Studenti

14/6/2017

 
di Giorgio Agamben

Sono passati cento anni da quando Benjamin, in un saggio memorabile, denunciava la miseria spirituale della vita degli studenti berlinesi e esattamente mezzo secolo da quando un libello anonimo diffuso nell’università di Strasburgo enunciava il suo tema nel titolo Della miseria nell’ambiente studentesco, considerata nei suoi aspetti economici, politici, psicologici, sessuali e in particolare intellettuali. Da allora, non soltanto la diagnosi impietosa non ha perso la sua attualità, ma si può dire senza timore di esagerare che la miseria – insieme economica e spirituale – della condizione studentesca si è accresciuta in misura incontrollabile. E questa degradazione è, per un osservatore accorto, tanto più evidente, in quanto si cerca di nasconderla attraverso l’elaborazione di un vocabolario ad hoc, che sta fra il gergo dell’impresa e la nomenclatura del laboratorio scientifico.
Una spia di questa impostura terminologica è la sostituzione in ogni ambito della parola “ricerca” a quella, che appare evidentemente meno prestigiosa, di “studio”. E la sostituzione è così integrale che ci si può domandare se la parola, praticamente scomparsa dai documenti accademici, finirà per essere cancellata anche dalla formula, che suona ormai come un relitto storico, “Università degli studi”. Cercheremo invece di mostrare che non soltanto lo studio è un paradigma conoscitivo sotto ogni aspetto superiore alla ricerca, ma che, nell’ambito delle scienze umane, lo statuto epistemologico che gli compete è assai meno contraddittorio di quello della didattica e della ricerca.


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Schizofrenia e territorio

16/1/2017

 
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Recensione di Armando Bauleo al libro di Alberto Merini, “Schizofrenia e territorio”, Patron, 1979 (tratto da “Psicoterapia e Scienze Umane”, 3/4 del 1981, pagg. 165-167)


“Tutte le nostre consocenze sulla schizofrenia come pure la possibilità di un suo trattamento sono fondamentalmente legate al manicomio”
“… (…) La nuova legge 833 che, abolendo il manicomio, ha spostato sul territorio l’intervento psichiatrico, con tutta probabilità permetterà una conoscenza della schizofrenia diversa da quella avuta fino ad oggi”.
L’introduzione del libro ci predice un passaggio da una possibilità a una probabilità, ciò che è stato possibile e ciò che sarà probabile.
Come sfondo di questo gioco di certezze si colloca la fine di una tappa, quella del manicomio, e l’inaugurazione dell’altra, quella del territorio. In mezzo alle due situazioni storiche c’è la nascita e lo sviluppo della psicoanalisi.
L’insistenza di Merini sulla questione del ‘Territorio’ (è il suo secondo libro su questo tema; il primo, curato da lui, è “Psichiatria nel territorio”, Ed. Feltrinelli) ci obbliga a considerarlo come emergente di una situazione storico-sociale, la legge 180 e la legge 833, che chiudono il manicomio e stabiliscono una ‘Assistenza a livello di comunità’.



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Introduzione a “Dalla Psicoanalisi alla Psicologia Sociale” di E. Pichon-Rivière e A. Pampliega Quiroga

12/12/2016

 
di Raffaele Fischetti
 

Riassunto

L’autore fa un’introduzione del documento “Dalla Psicoanalisi alla Psicologia Sociale” elaborato da Pichon-Rivière e Anna P. Quiroga per collocare la propria posizione nell’ambito di un’accesa polemica esistente nella Prima Scuola Privata di Psicologia Sociale di Buenos Aires e nella Scuola di Psicologia Sociale di Tucuman. Nell’ambito di una agitata situazione sociale che si esprimeva anche nel campo scientifico in termini di dibattito e disputa, gli autori scrivono questo testo (1972). Il passaggio da un campo disciplinare all’altro ha coinvolto profondamente la struttura delle discipline stesse, provocando trasformazioni che Pichon-Rivière chiama con l’espressione “una nuova problematica per”, dove in qualche modo si abbandona il dispositivo psicoanalitico e si costruisce una nuova o “altra” Psicologia Sociale che pensa con la Psicoanalisi, con il metodo psicoanalitico. Vengono introdotte una serie di nozioni per creare un campo con nuove premesse del problema della vita psichica. Tra di esse si esaminano le nozioni di contesto, necessità, comportamento, vincolo, teoria degli ambiti, aree di espressione fenomenica, critica della vita quotidiana.
Parole chiave: Psicologia Sociale; Vincolo; Vita Quotidiana.


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Eduardo Galeano, il calcio ed Enrique Pichon-Rivière

3/9/2016

 
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Eduardo Galeano, proponendo alcune considerazioni sulla valenza sociale e sulla funzione 'creatrice' della partecipazione  alle attività ludico-sociali, dedica un breve capitolo della sua raccolta, ‘Splendori e miserie del gioco del calcio’ (El futbol a sol y sombra, 1995, Edizione italiana edita da Sperling & Kupfer nel 1997), allo psichiatra e psicoanalista Enrique Pichon-Rivière. Pichon-Rivière, grande appassionato di calcio, applicò le sue nozioni teoriche gruppali, inizialmente formulate partendo dalle esperienze di lavoro con i gruppi, alle squadre di calcio e,  già negli anni 40 del secolo scorso, lavorando in un servizio di psichiatria, aveva iniziato ad utilizzare il calcio come pratica riabilitativa di socializzazione per i pazienti del servizio.
Riteneva che lo sport fosse la risultante di gioco e competizione e sosteneva che sportivo sia "chiunque partecipa allo stesso, non solamente con la sua abilità personale e la conoscenza tecnica che possiede dello sport che pratica, ma è l'aggiunta di altro che stabilisce, precisamente, la differenza tra gioco e sport. O sia, lo sportivo deve avere coscienza e responsabilità del ruolo che deve svolgere all'interno della squadra di cui fa parte".
Alla domanda "Chi è il giocatore?" risponde: "Credo che sia la risultante di una serie di elementi che possiamo riassumere in tre punti: 1) fattori fisici; 2) fattori tecnici; 3) fattori psichici."



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Una diagnosi inventata: il Disturbo da deficit d’attenzione (ADHD)

10/2/2016

 
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di Leonardo Montecchi (2004)

Il mondo contemporaneo, caratterizzato dalla globalizzazione, è alla ricerca di nuovi dispositivi di controllo sociale. Anche le diagnosi psichiatriche possono essere dispositivi di controllo del comportamento. Nell’articolo si analizza il caso della produzione del “Disturbo da deficit di attenzione/iperattività” (ADHD) e lo si relaziona alla diffusione del metilfedinato (Ritalin).

Inoltre viene criticato il paradigma dominante del “deficit” in favore del paradigma della “differenza”. L’articolo conclude con una disamina dei farmaci studiati per intervento nelle manifestazioni di massa.
Nuovi dispositivi di controllo sociale che cercano di ricondurre ad un ordine i flussi globalizzanti del mondo contemporaneo sono codificati nel mondo della vita ed entrano pervasivamente nella quotidianità contemporanea.

E’ questo il caso della produzione del “Disturbo da deficit di attenzione/iperattività” (ADHD).
Questo “disturbo” si presenta come una resistenza al processo educativo e non può essere isolata dai vincoli che si instaurano nel campo fra allievi,docenti e compiti educativi.
Il sintomo è definito dal DSM IV come una:

"persistente modalità di disattenzione e/o di iperattività-impulsività che è più frequente e più grave di quanto si osserva tipicamente in soggetti ad un livello di sviluppo paragonabile (…)"



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Agamben contro il delirio occidentalista

24/11/2015

 
"Perché lo stato di emergenza non può essere permanente"
Il filosofo critica la decisione di Hollande di modificare la Costituzione “È pericoloso accettare qualsiasi limitazione della libertà in nome della sicurezza”
MARIE RICHEUX

Questo testo è un estratto dell’intervista rilasciata da Giorgio Agamben a France Culture, la radio pubblica francese, che ha mandato in onda uno speciale sulla strage del 13 novembre e sulla rezione del governo invitando il filosofo a riflettere su questo tema in particolare: “ Francois Hollande ha proposto di modificare la Costituzione cambiando durata e modalità dello “ stato di emergenza” per rispondere al meglio al “ terrorismo di guerra”.

«Lo stato di emergenza non è un scudo per lo stato di diritto come ha detto qualcuno. La storia insegna che è vero esattamente il contrario. Tutti dovrebbero sapere che è proprio lo stato di emergenza previsto dall’articolo 48 della Repubblica di Weimar che ha permesso ad Hitler di stabilire e mantenere il regime nazista, dichiarando immediatamente dopo la sua nomina a Cancelliere uno stato di eccezione che non fu mai revocato. Quando oggi ci si stupisce che si siano potuto commettere in Germania tali crimini, si dimentica che non si trattava di crimini, che era tutto perfettamente legale, perché la Germania era in stato di eccezione e le libertà individuali erano sospese. Perché lo stesso scenario non potrebbe ripetersi in Francia? Quello che voglio dire è che, com’ è avvenuto in Germania, un partito di estrema destra potrebbe domani servirsi dello stato di emergenza introdotto dalla socialdemocrazia.


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L'intrapsichico, l'interpsichico e il transpsichico nella psicoanalisi della coppia

23/11/2015

 
di Roberto Losso

Nel suo testo 'Psicologia delle masse e analisi dell'Io' (1921c), Freud afferma: "Nella vita psichica del singolo l'altro è regolarmente presente come modello, come oggetto, come soccorritore, come nemico, e pertanto, in quest'accezione più ampia, ma indiscutibilmente legittima, la psicologia individuale è allo stesso tempo, fin dall'inizio, psicologia sociale".
La coppia è una situazione esemplare in cui si ha la presenza reale, concreta dell'altro come modello, oggetto, soccorritore, nemico. Alcune di queste cose o tutte insieme.
Nel 1912 Freud si riferiva alla "prematura e in qualche momento inevitabile ostilità dei parenti al trattamento psicoanalitico dei suoi (di qualcuno dei loro)", sconsiglia di tentare di convincerli facendo loro leggere dei testi psicoanalitici e aggiunge: "per quello che si riferisce al trattamento dei parenti confesso la mia più totale perplessità e mi fido pochissimo del suo trattamento individuale".
Alcuni anni dopo (1916/17) Freud torna a confessare la sua impotenza di fronte alla "intrusione dei congiunti" che nell'analisi del paziente individuale "costituisce appunto un pericolo, un pericolo di quelli a cui non si sa come far fronte". "I parenti più prossimi del malato talvolta rivelano scarso interesse al fatto che il loro congiunto guarisca, piuttosto che resti com'è. Dove, come tanto spesso avviene, la nevrosi è connessa con conflitti fra membri della famiglia, il parente sano non esita a lungo nella scelta tra il suo interesse e quello di far guarire l'ammalato". A questo punto Freud aggiunge "In effetti avevamo intrapreso qualcosa che (data la situazione) era inattuabile". Apriva dunque la possibilità che si creassero altre condizioni tecniche in grado di trattare queste situazioni "a cui non si sa come far fronte".


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Il concetto di ECRO e il metodo dialettico

31/10/2015

 
Enrique Pichón-Riviere considera la Psicologia sociale come una critica della vita quotidiana. E in questa permanente interrogazione del quotidiano, si mettono in discussione le nostre pratiche mentre tendono a naturalizzarsi. E in questo senso l’interrogazione delle prassi le de-naturalizza, permette di situare i fatti come ‘fatti’, cioè soggetti produttori/prodotti dalle reti di produzione sociale.
 “I conflitti sociali colpiscono nel nucleo basico, la famiglia. Lì è dove tutte le privazioni tendono a globalizzarsi, dove si configura una struttura depressiva che incontrerà un ‘capro espiatorio’ in uno dei membri della cellula. (…) (ma) la psicologia sociale non mette il suo accento sulla famiglia, lo mette nell’interazione tra la famiglia e la società” (Enrique Pichon-Riviére, 1985).


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